di Mario Secone
Propongo alcune riflessioni sulla ‘filosofia’ di fondo e sulle contraddizioni che animano la sperimentazione ministeriale sulla cosiddetta ‘premialità’ per i docenti.
Essa, in linea con le direttive del ministro Brunetta, è incentrata sulle performance individuali, riconosciute solo ad una minoranza (15/20%), con un premio una tantum; la modalità utilizzata è chiamata “reputazionale”, perché è la considerazione di cui si gode che rivela il merito. Questa modalità consentirebbe di migliorare l’intero sistema, innalzando il livello dell’offerta formativa.
La scuola è un sistema a base cooperativa, che ha come impostazione la collegialità (lavoro in ‘team’), nella visione globale della formazione degli studenti. Immettere in questo contesto una forte competizione individuale è contradditorio e innesca processi perversi, che non ha effetti migliorativi del sistema nel suo complesso e avvelenano però il clima complessivo.
Se si è premiati quando si fa meglio di altri, o, il che è lo stesso, quando gli altri fanno peggio, non si ha nessun vantaggio se tutto il sistema migliora, se i colleghi (competitor) lavorano bene, o addirittura se sono validi e competenti; al contrario, si è stimolati a non costruire percorsi di collaborazione che, per quanto possano migliorare il processo formativo degli studenti, potrebbero valorizzare anche coloro contro cui si è in competizione. C’è interesse a che la stessa reputazione altrui sia bassa, con la tentazione di contribuire a diminuirla. La collegialità, l’interdisciplinarietà, in questo caso, rappresenterebbero un ostacolo al conseguimento del premio. Dal momento che il fine atteso del miglioramento del sistema, sicuramente desiderabile, è irrilevante rispetto alla determinazione del merito, la proposta è inefficace.
Un altro aspetto riguarda il numero esiguo di soggetti che si aggiudicano il ‘rinforzo’, che renderebbe la lotta ancora più spietata, agguerrita. Oppure ci si tira fuori dalla mischia, non tanto per incapacità, ma per buon gusto e dignità (effetto paradossale per cui i ‘meritevoli’ potrebbero escludersi per ragioni di decenza). Qualora non si originassero queste dinamiche di accesa competizione individuale, allora non si raggiungerebbe lo scopo per cui lo si propone, perchè ciò che mi attendo (la competizione spinta) non accade (restiamo collaborativi). In questo caso la proposta risulterebbe inefficiente.
Altro punto debole del progetto, è l’aver separato la valutazione (?) del singolo docente dalla valutazione dell’istituto nel suo complesso: il docente monade sufficiente a se stesso.
Il progetto della premialità risente anche di limiti metodologici e sindacali:
- questo sistema dovrebbe rappresentare la “carriera” degli insegnanti; non ci sarebbero più scatti legati all’anzianità di servizio, ma una base stipendiale (bassa) a cui, una tantum, saltuariamente, si potrebbe aggiungere un’altra mensilità. Se la propria “reputazione” è alta. Come essa si costruisca, come venga oggettivamente rilevata, non è chiarito: pubbliche relazioni? Lobby giuste? Cooptazione? Turnazione? Non è chiaro come e perchè questa reputazione personale possa diventare un’occasione di crescita collettiva;
- non si aumenteranno le risorse disponibili: quindi ogni riconoscimento economico per qualcuno, è compensato da una diminuzione per altri;
- questo processo di riforma, che incide sul contratto e sullo stipendio, avviene con l’esplicita esclusione di una parte significativa del mondo sindacale, determinando un vuoto rappresentativo: è il lavoratore che sceglie chi lo rappresenta, non la controparte in relazione al livello di collaborazione desiderato.
Non è quindi un caso se la partecipazione e il consenso alla proposta sono a livelli bassissimi: solo 35 scuole su 1461 (fonte Miur), il 2,4% degli istituti delle province coinvolte, avrebbero aderito.
Queste condizioni debbono sconsigliare forme, anche implicite, di collaborazione, per non legittimare gli evidenti danni che vengono provocati alla funzione docente e alla scuola; per come è stata proposto, è quindi inevitabile che la nostra convinta e motivata risposta all’attuale progetto sul merito, non possa che essere negativa; questo tipo di riforma può essere imposto solo con la forza, nei termini e nelle modalità in cui essa è oggi utilizzabile.
Si potrebbero, comunque, indicare alternative, se la discussione avvenisse in condizioni accettabili?
Si può ragionare su un meccanismo che spinga, ‘costringa’ gli addetti a costruire percorsi di apprendimento efficaci nella dimensione collegiale in cui opera la scuola, considerando il contesto sociale in cui essa è inserita; e/o premiare quelle prestazioni individuali di sicura ricaduta generale ed evitare la lotta fratricida ad accaparrarsi qualche infruttuosa prebenda; ci sono inoltre progetti, innovazioni didattiche, funzioni obiettivo, che potrebbero trovare ulteriore e migliore riconoscimento.
La questione, poi, se il cuore dell’insegnamento - il percorso formativo nella relazione educativa - possa o debba essere ‘monetizzato’, richiederebbe una riflessione a sé e più articolata (da parte mia, comunque, propendo per il no).
Mario Secone