La sussidiarietà tra scuola e territorio
Un esempio di interazione feconda nel Liceo delle scienze sociali
Note preliminari a cura di Giacomo Camuri
Se il concetto di categoria «in senso lato indica un punto di vista, secondo cui si pensano o si giudicano le cose, così come un concetto generale al quale una mente singola (o un gruppo sociale) ha l’abitudine di rapportare i propri pensieri e giudizi», (G. Bontadini, D. Sacchi, in Enciclopedia Filosofica, Milano 2006), risulterebbe assai difficile affrontare un discorso sensatamente rigoroso sulla scuola, nella realtà dell’oggi e negli scenari di un prossimo cambiamento, senza tener presente le categorie, che nella pratica educativa ispirata al principio epistemologico della ricerca-azione si sono affermate in un arco più che trentennale di sperimentazioni.
L’idea stessa di «scuola dell’autonomia» postula un modello d’apprendimento dinamico e un sistema formativo fluido e modulare, che trovano appropriati cardini nelle categorie ormai portanti di rete e di orientamento, essenziali non solo per la trasversalità dei loro campi a una pluralità di esperienze e di saperi ma per l’efficacia educativa che le loro intersezioni hanno dimostrato proprio sul terreno privilegiato delle relazioni intessute nelle esperienze di stages tra scuola e territorio.
Tra i contributi più originali offerti alla scuola italiana dal Liceo delle scienze sociali occorre annoverare la sperimentazione dello stage formativo, pratica di ricerca-azione in un contesto inter-istituzionale, sostenuta dall’apporto qualificato di competenze professionali plurime e finalizzata allo sviluppo/verifica di capacità e competenze progettuali personali.
Il concetto di rete domina la scena della cultura contemporanea in forza dei risultati acquisiti dalle tecnologie dei media, dallo studio degli ecosistemi e dallo straordinario sviluppo delle neuroscienze: la comprensione del mondo, la conoscenza della natura, l’esperienza del corpo e della mente si riscrivono e si reinterpretano nel linguaggio delle reti informatiche, nei sistemi delle reti ecologiche, nei codici costituiti dalle reti neuronali. E’ indubbia la portata innovativa e talvolta rivoluzionaria del concetto di rete, che definisce sistemi di connessioni che si autoregolano grazie a una capacità di apertura e di incremento, i cui effetti non sono sempre e del tutto prevedibili. Nel passaggio epocale, che ha visto la nozione di rete transitare da specifici ambiti tecnico-scientifici all’orizzonte categoriale di un «universale culturale», le sue connotazioni si sono fortemente tinte di un senso di progresso e di autonomia, tale da far presagire in tempi di globali incertezze le potenzialità quasi messianiche e soteriologiche delle sue pratiche, come dimostra il fiducioso approccio di Barack Obama allo sviluppo delle virtualità della rete in risposta alla crisi sociale, che la disfatta economico-finanziaria ha bruscamente innescato in America.
Fare rete è la strategia contemporanea della storia, che in altre forme ripercorre le strategie oggi meglio conosciute della vita e della mente: fare anima direbbe altrimenti James Hillman riprendendo la lezione eraclitea dell’infinità dei nessi, che l’anima costruisce modulando la sua esistenza sul modello del Logos, discorso incessante, che si dipana nel discorrere, nel creare legami che si dispongono a evolvere in ulteriori intrecci (Fuochi Blu, Milano 1996; Il codice dell’anima, Milano 1997).
Da Rousseau a oggi la riflessione pedagogica ha insistito sull’autonomia, un’autonomia che, anche laddove sembrava muoversi in percorsi privilegiati e aristocratici, si è sempre configurata aperta, situazionale, contestualizzata in insiemi forti di relazioni significative, che hanno imposto a più riprese l’abbattimento dell’autoreferenzialità delle istituzioni scolastiche vetuste e la reinvenzione di percorsi di studio e di pratiche didattiche, che potremmo definire in senso lato tendenzialmente laboratoriali e cooperativi (Franco Frabboni, Franca Pinto Minerva, Introduzione alla pedagogia generale, Bari-Roma 2004).
La nascita del Liceo delle scienze sociali, concepito attorno a un asse storico-antropologico intenzionalmente orientato alla comprensione della tessitura relazionale dei fenomeni culturali e interculturali, non poteva non far proprio − in chiave epistemologica e nella prospettiva dirompente della categoria di rete − la questione cruciale posta dalla storia della pedagogia post-rousseauiana: la costruzione di un progetto educativo finalizzato alla conquista e all’esercizio di un’autonomia critica e responsabile, condizione prima del sapersi fare in seguito professionalmente interpreti delle problematiche di un vivere sociale posto sotto l’egida della complessità. Da qui l’idea di trasformare lo spazio/tempo previsto dagli ordinamenti per le esercitazioni didattiche o gli stages professionali in esperienza d’osservazione partecipante, secondo lo stile e le modalità della ricerca antropologica, in prove d’immersione e carotaggio entro situazioni socialmente significative o problematiche.
Colto nell’interezza del paesaggio urbano e naturale, nella geografia delle sue diverse istituzioni politiche, giuridiche, economiche, educative, culturali, sanitarie e assistenziali, il territorio presenta una ricchezza di opportunità, che mappate con attenzione aprono l’accesso a una possente rete di mondi discorsivi, in cui ciascuno può incontrare parole, pensieri, sentimenti, emozioni, immagini, suoni che motivano, orientano e fanno crescere.
Orientare e ri-orientare appartengono da tempo al lessico familiare della scuola impegnata sul duplice fronte del contenimento dell’insuccesso e della dispersione e della prevenzione delle devianze e dei disturbi della personalità. Il tema dell’orientamento, che talvolta appare più pregnante del problema stesso dell’apprendimento, percorre il mondo della scuola, lo travalica per ripresentarsi nelle molte forme in cui si esprimono il bisogno di formazione permanente e le necessità di riconversioni professionali, dettate da società complesse divenute nel frattempo volubilmente fragili o organizzativamente vulnerabili.
Allargando lo sguardo agli scenari della «surmodernità» caratterizzata, nell’ottica degli studi di Marc Augé, dall’espansione dell’anonimia dei luoghi e dalla cancellazione delle memorie sociali (Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, Milano 1993), ben si comprende la portata critica del concetto d’orientamento, del cui deficit e della cui urgenza sono testimoni i cinquant’anni e oltre di mutazioni geopolitiche − cancellazioni di imperi, rovesciamenti di equilibri economici, inarrestabili correnti migratorie, nuovi olocausti, colonialismi striscianti, impietosa crescita di mercati di morte − che hanno rimodellato i confini del mondo, modificato i paesaggi, creato anomale direttrici nei flussi di genti e di commerci. Come mai prima era accaduto, in brevi frammenti temporali la storia ha preso a cambiare l’uno dopo l’altro i propri punti di riferimento gettando senza mappe milioni di individui in una sorta di non-territorialità (Zygmunt Bauman, Vite di scarto, Bari-Roma 2008).
Percorsi alla ricerca di possibili radici tra luoghi reali e spazi virtuali e esperienze di sradicamento dovute a migrazione o alla distruzione di luoghi trasformati in terre desolate tra cementificazioni e cumuli di rifiuti, come la Leonia delle Città invisibili di Calvino, s’agitano sullo sfondo della richiesta quotidiana d’orientamento che interpella la scuola e nel loro insieme le società dell’ancora chiamato benessere.
In questa prospettiva le reti, che i Licei delle scienze sociali hanno saputo costruire con le istituzioni e le agenzie locali, ampliano e affinano la scala delle mappe delle pratiche d’orientamento offerte dalle scuole e dalle università (open days, incontri, fiere) e nel contempo promuovono e facilitano una conoscenza a maggior ingrandimento del «locale», che può sortire significative esperienze di radicamento, come spesso avviene nello spazio/tempo degli stages formativi vissuti, ora, in prossimità di situazioni di disagio (una comunità per minori, una comunità di recupero, un carcere, un centro anziani, una casa di riposo) o di contesti educativi e di istituzioni culturali (le scuole dell’infanzia, le scuole primarie, i teatri, i musei, le pinacoteche), ora monitorando periferie, centri storici, aree commerciali, zone di interesse paesaggistico come oasi e parchi naturali.
Non è poca cosa per i numerosi studenti stranieri vivere una pratica di stage, che li accompagna con metodo alla conoscenza «interna» dello spazio in cui si trovano a vivere, talvolta da qualche settimana; così è ricco di sorprese e di emozioni lo spazio da sempre abitato, quando, cambiando i punti di vista, mostra dimensioni, particolarità, ritmi, atmosfere, di cui non si sospetta l’esistenza.
D’altro canto è ancora la storia della tecnologia − con lo straordinario incremento degli strumenti di rilevamento cartografico, dalla fotografia aerea alle riprese satellitari, con l’invenzione della radiofonia e delle forme successive di telecomunicazioni, con l’avventura spaziale postbellica, dall’allunaggio alle più recenti messe in orbita di nuove tipologie di telescopi − a mostrare l’importanza strategica dell’acquisizione di sempre nuovi punti di riferimento e a porre al centro della riflessione scientifica e socio-antropologica il problema strutturale dell’orientamento, quale condizione inalienabile della vita sulla terra e della vita della terra nell’universo.