La descrizione del volume fatta da Clotilde potrebbe ingenerare l’idea che da tante voci diverse e in così stringate sintesi sia venuto fuori un patchwork eterogeneo e forse anche un po’ confuso.
La rigorosa ripartizione in tre aree, afferenti ciascuna ad un focus ben definito, è già di per sé un’ottima guida utile a fugare ogni sospetto del genere. Ma per meglio delineare la coerenza interna e l’unitarietà del volume metteremo brevemente in evidenza quel fil rouge che emerge chiaramente dalla lettura di ogni singolo contributo.
Tanti infatti sono i punti coincidenti, le riflessioni, le conclusioni che emergono e per così dire si “rincorrono” da un saggio all’altro, a testimonianza, se ce ne fosse bisogno, che alcune evidenze si impongono quasi da sé.
IL PIACERE - È la prima cosa, forse la più insolita, che vogliamo sottolineare. Così dice Luigi Berlinguer : «E poi il gioco. E perchè no? il gioco. Basti pensare alla Finlandia, all’enorme peso attribuito appunto al gioco, alla componente ludica, nell’estensione della giornata scolastica, dalla dottrina oggi contrapposta al fenomeno di casa nostra dei “compiti a casa”. Due indirizzi, due esperienze: una differenza radicale, vissuta con ostilità dalla nostra cultura. Un’altra mentalità scolastica, quindi, un’altra concezione. La Finlandia, tutta l’Europa nordica, oggi in testa nelle graduatorie di efficienza, meritano certo uno studio approfondito dei risultati conseguiti…». L’ importanza del “piacere” viene ribadita da più parti e a più voci, a partire dalla sua fondamentale importanza per l’ organizzazione di contesti di mutuo apprendimento e di confronto creativo. Non a caso Recalcati (2014) con la sua Ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento è tra le citazioni più ricorrenti. Ascoltiamolo: «Senza desiderio di sapere non c’è possibilità di apprendimento soggettivato del sapere; senza transfert, trasporto, erotizzazione, non si dà possibilità di un sapere legato alla vita, capace di aprire porte, finestre, mondi»
LA LABORATORIALITÀ - Leggendo in filigrana i capitoli uno per uno, vi troviamo l’attenzione per una metodologia didattica comune, che si esprime soprattutto in una dimensione operativa, laboratoriale e sociale. Significa, per l’insegnante, porsi accanto agli alunni come facilitatore delle conoscenze e non come trasmettitore delle stesse, per “sporcarsi le mani” insieme a loro. E ancora, come ci dicono Camuri e Ronco, citando Francesca Gobbo (2000), si tratta di un vero e proprio imperativo sul piano dell'iniziativa didattica: “la preliminare e necessaria progettazione di un Laboratorio che nel contempo avvii la trasformazione di un gruppo classe in un gruppo motivato di ricerca e individui, al di là dei confini della scuola, nello spazio del territorio limitrofo, luoghi sociali e istituzionali in cui poter scoprire ed esercitare l'artigianalità intellettuale di un lavoro di indagine e di conoscenza”. Questo è valido per le Scienze Umane e Sociali come per l’Alternanza Scuola-Lavoro, per le Scienze Naturali e le Lingue Straniere come per l’Arte e la Musica, ma anche per l’Italiano e la Matematica, le Lingue Classiche e la Storia…., e i nostri Autori ce ne danno chiara dimostrazione. LA TRASVERSALITÀ - La necessità dell’integrazione tra saperi emerge anche là dove si tratta dello specifico disciplinare, a partire dalla difficoltà a superare l’isolamento delle singole discipline che determina uno scollamento fra conoscenze (particolari) e realtà (generale). Karl Popper, nel 1956, sosteneva che «non ci sono discipline; né rami del sapere, o, piuttosto, di indagine: ci sono soltanto problemi e l’esigenza di risolverli». Il quadro dell’insegnamento che ci si presenta attualmente, e più che mai nella scuola secondaria, è invece quello di una offerta poliedrica e sfaccettata dello scibile umano nelle sue diverse forme e conquiste, con accentuazioni diverse dovute ad attitudini di alunni e insegnanti. La scuola - se ha una funzione primariamente formativa e non deve porsi come obiettivo una presunta professionalizzazione - dovrebbe cercare di evitare sbilanciamenti. Ma il modello di trasmissione del sapere è ormai poco adatto a una società complessa e globalizzata, dove tutto è interconnesso e collegato. Il modello di insegnamento imposto dalla specializzazione disciplinare conduce infatti a un vero paradosso: in campo musicale, il compito di guida nell’esecuzione è affidato a colui che conosce tutti gli strumenti, e, in virtù di questa conoscenza generale, il direttore d’orchestra riesce ad armonizzare e far collaborare i solisti più diversi e i suoni più disparati. Nella scuola delle discipline, invece, a che cosa assistiamo? Tanti grandi solisti eseguono la loro partitura, lasciando all’alunno il compito di armonizzare tutti gli assolo: all’alunno, quello che ne sa di meno! Un modo per superare la parcellizzazione disciplinare è quello di cambiare atteggiamento generale : seguendo un detto di Michel de Montaigne, Edgar Morin propone di mirare a produrre “teste ben fatte” piuttosto che “teste ben piene”. Questo significa usare le discipline, almeno inizialmente, come mezzi per affrontare da più aspetti i diversi problemi. Bisognerebbe che le discipline (nel loro specialismo) acquisissero consapevolezza di non essere “monadi” autosufficienti, acquisissero cioè consapevolezza di un orizzonte di senso comune per potere interagire le une con le altre (intervenendo alla risoluzione di problemi). Questo significa avviare un percorso che pone attenzione al modo di apprendere: non è un problema di contenuti, ma di ri-apprendere a pensare. Ora, senza volerci addentrare qui in riflessioni troppo dettagliate quali le differenze tra multi-trans-inter-disciplinarità, possiamo comunque a ragione affermare che il tipo di approccio appena descritto percorre tutte le pagine del nostro volume, non con astratte teorizzazioni bensì con espliciti esempi e riferimenti operativi.
LA DIDATTICA PER COMPETENZE - Questa tematica che sembrerebbe ormai ovvia e scontata, non è ancora abbastanza praticata, e noi gente di scuola sappiamo bene come sia difficile tradurre il modello teorico di competenza nella pratica scolastica e soprattutto trovare un perché che vada oltre la burocrazia ministeriale e la routine degli adempimenti formali. Inquadrata e motivata a grandi linee nei saggi di Tagliagambe e Stefanini, la necessità dell’ insegnamento per competenze emerge soprattutto come consapevolezza di ciò che bene ci dice Perrenoud (2003): «L’approccio per competenze è forse solo l’ultimo mutamento di un’antichissima utopia: fare della scuola un luogo in cui ognuno apprenda liberamente e intelligentemente cose utili per la vita. Di che cosa avranno bisogno i giovani? Di saperi. Senza dubbio. Ma di saperi viventi, da mobilitare nella vita lavorativa ed al di fuori del lavoro, suscettibili di essere trasferiti, trasposti, adattati alle circostanze, condivisi, integrati, l’idea della competenza non afferma se non la preoccupazione di fare dei saperi scolastici strumenti per pensare e per agire, al lavoro e al di fuori di esso». Parliamo, come ci dice Annamaria Ajello, (in Spinosi 2010).di un apprendimento acquisito in profondità… Non è quindi apprendere per competenze, ma apprendere diventando competenti. Senza volermi soffermare qui in stucchevoli ripetizioni di cose appena dette: noi crediamo che occorra recuperare il contesto di valore che aveva connotato il dibattito culturale e politico della fine degli anni Novanta sulla interconnessione tra saperi, curricolo, competenze e lavoro di squadra, in nome del successo formativo di tutti.
CONFRONTO INTERNAZIONALE - Un altro importante aspetto considerato in tutti i contributi riguarda il confronto con le altre culture, in primo luogo quelle Europee. Ci si trova qui davanti a due condizioni diverse: la prima riguarda gli insegnamenti comuni a più culture quali quello della lingua madre, della Lingua Straniera, delle Letterature, della Matematica, delle Scienze Naturali e della Storia; una seconda condizione può riguardare invece gli insegnamenti a noi peculiari come quello della Filosofia o delle Scienze Umane e Sociali così come appaiono in alcuni tipi di scuole. In ambedue i casi si tratta di prospettive educative di grande spessore culturale, di cui è importante tener conto in modo differenziato.
FORMAZIONE DEGLI INSEGNANTI - La necessità di una ristrutturazione maggiormente produttiva ed efficace del settore, portata a sintesi nell’Appendice Seconda, viene riconosciuta in tutti gli interventi come il vero nodo da sciogliere innanzi tutto per realizzare una scuola di qualità, e per potere poi realmente tendere all’innovazione. Fortunatamente si registra in questo ultimo anno una rinnovata attenzione - con la più recente normativa a margine della "Buona Scuola" - sulla formazione degli insegnanti, anche se si profila il timore che sia resa poco "gradita" ai destinatari, gravata com'è, per adesso, di pastoie burocratiche di non facile ... digestione! Siamo convinti - e ne diamo testimoniaza in queste pagine - della necessità assolutamente prioritaria di innescare nel settore della formazione un processo di miglioramento continuo e verificabile, durevole nel tempo, che garantisca ai docenti una professionalità in continuo divenire
L’ASPIRAZIONE AL CAMBIAMENTO preannunciata dal titolo, infine, pervade ogni pagina, non certo come mera utopia, bensì calata nella sostanza della realtà scolastica, motivata e circostanziata con argomentazioni stringenti di persone che quella realtà conoscono bene e in cui vivono tutti i giorni.
Nel concludere questo mio breve intervento è per me gradito, oltre che doveroso, tornare al ricordo di Anna Sgherri Costantini cui abbiamo dedicato questo libro che davvero - come è detto in epigrafe - “ci sarebbe piaciuto molto poter scrivere con Lei”.
Vogliamo credere fermamente che, malgrado i contesti così profondamente mutati, le affascinanti vie dell’innovazione della scuola, che abbiamo percorso con Lei, siano ancora aperte davanti a noi e che questo nostro lavoro sia un piccolo tassello di un nuovo, grande dibattito nel nostro Paese.
A Lei dunque ancora una volta il nostro grande e affettuoso GRAZIE!