Tessere e ritessere…
Nel comporre questa pubblicazione, che doveva necessariamente risultare snella, si rimane colpiti dalla mole di lavoro prodotto in dieci anni. E’ la prova provata di come sia possibile che dal vivo della scuola nasca una comunità di buone pratiche, un possibile modello di scuola, ma anche un modello di training professionale, in un contesto – quello della scuola italiana – che pare oggi segnato da profonde difficoltà nel garantire livelli accettabili di istruzione, ma anche nell’individuare scelte culturali convincenti sul piano della formazione.
Si rimane colpiti dal lavorìo incessante di tessere e ritessere, ricamare e rammendare una tela aggrovigliata, da parte di insegnanti, dirigenti e studenti per salvare un indirizzo che appare sempre un po’ clandestino, a volte accolto nelle sedi ufficiali, più spesso osteggiato o ignorato, ma senza perdere mai di vista l’orizzonte generale, le domande di fondo, in una tensione continua a cercare di innovare la scuola.
La storia di questi dieci anni nasce dall’idea di alcuni dirigenti con i loro docenti di utilizzare l’istituto dell’autonomia per uscire dall’isolamento e darsi valore reciproco per sostenere un indirizzo – di scienze sociali – che ancora non era presente negli ordinamenti della scuola italiana, ma che veniva sperimentato fin dai primi Anni Settanta.
Raccogliamo qui i materiali relativi ai convegni nazionali, ma molto altro è stato fatto: convegni locali, corsi di formazione, pubblicazioni1, esperienze documentate, ecc. che si possono consultare nel sito della rete.
Ma veniamo a quelli che ci paiono i tratti distintivi delle buone pratiche che possiamo ricavare dalla storia fin qui costruita.
Un’idea di Rete. Nell’ambito dell’Autonomia è un modello di relazione orizzontale per cui le scuole non competono ma condividono i concetti di comunità e responsabilità. Alcune fanno da servizio alle altre, un servizio di tipo amministrativo, di contatto con l’università, ma ogni anno cambia il luogo del convegno a seconda delle scuole o delle città che si propongono, in un fortissimo rapporto con le istituzioni locali e con il territorio che viene considerato una importante risorsa formativa. Nel 2008, al convegno di Messina, lo statuto viene approvato e registrato dal notaio e si formano anche due Reti Locali, Arethusa, della regione Sicilia e Demetra, della provincia di Bologna. La Rete tiene sempre aperto il contatto con l’Amministrazione centrale – spesso di collaborazione e sostegno - e con la politica nazionale e locale. Si può osservare come sempre i convegni si concludano con una tavola rotonda in cui si discutono le prospettive ampie della politica culturale a cui partecipano studiosi, politici del governo in carica e ispettori centrali.
Nel 2009 a Giovinazzo nasce l’Associazione SISUS, una comunità di professionisti che condivide esperienze e pratiche nel campo della ricerca e dell’insegnamento delle Scienze Umane e Sociali e come spazio di incontro a scopo culturale e di formazione, e da questo momento la collaborazione con la Rete sarà costante.
Un progetto di scuola, non una scuola di tanti progetti. Se si scorrono i titoli dei dieci convegni si può desumere il paziente lavoro di costruzione e ricostruzione, di aggiustamenti ricorsivi che gli insegnanti con i loro dirigenti hanno svolto per la manutenzione del curricolo, un progetto che cerca di tenere insieme saperi, esperienza, riflessione, cura della relazione educativa, organizzazione, rapporto con l’esterno (della classe, della scuola, del territorio e del Sé), un progetto che non smette mai di porsi domande sul COSA insegnare e COME, un progetto che punta a una forte integrazione fra saperi , un modello di apprendimento cooperativo, una didattica laboratoriale e una relazione fra docenti intesa come confronto e sostegno reciproco non giudicante.
Cura della relazione. Lavorare fra adulti professionisti è una fatica molto grande, occorre pazienza, disponibilità, ascolto e molto impegno. Lavorare insieme agli studenti richiede grande attenzione, ma soprattutto richiede l’idea che loro possano essere protagonisti di pezzi della propria formazione. In questa fase storica di preoccupante abbandono scolastico e di palese insignificanza di quel che si trasmette a scuola , la Rete ha proposto esperienze molto belle e pratiche diverse di coinvolgimento degli studenti nella costruzione del lavoro quotidiano e dell’interpretazione dei saperi. Sempre più i nostri convegni hanno visto la loro presenza, sia nella fase preparatoria sia nella gestione e sia nel contributo attivo ai temi che venivano affrontati.
Lo stage formativo. E’ in particolare nello stage che le scuole della Rete hanno realizzato i principi teorici e hanno rotto un modello tradizionale di fare scuola. Si può osservare dai programmi dei convegni, ma anche dalla ricca vetrina di titoli nel sito web, che lo stage diventa sempre più chiaramente un elemento centrale e strategico del nuovo modo di fare scuola. Per lo studente si tratta di un’esperienza che cambia radicalmente il suo modo di intendere lo studio, ma in particolare lo aiuta ad analizzare i problemi VERI della realtà da diverse prospettive, lo abitua alla prudenza, alla pratica del dubbio e questo è un esercizio che modifica anche la relazione con l’insegnante e con i saperi che vengono interrogati per quanto hanno da dire nell’interpretazione della realtà.
Accanto agli aspetti certamente positivi vanno tuttavia messe in luce le criticità. Le Reti, poiché sono organizzazioni ‘leggere’, possono risultare fragili e, come si diceva a Messina, vanno curate e sostenute, non bastano gli statuti e gli accordi iniziali. Nel nostro caso il modello di adesione costituito dal dirigente con il collegio non ha sempre funzionato e i referenti faticavano a rappresentare tutta la scuola, spesso portavano avanti le istanze di piccoli gruppi. A volte l’avvicendarsi del dirigente o di alcuni docenti faceva venir meno la volontà di aderire alla Rete. Per questi motivi i convegni hanno messo al centro più volte approfondimenti sul tema dell’autonomia e della Rete come sua espressione.
Una seconda criticità, forse la più rilevante, riguarda il destino dei saperi che questo liceo ha coltivato. I nuovi Regolamenti accolgono in minima parte la chiave culturale delle scienze umane e sociali e i documenti finali dei diversi convegni insistono sulla debolezza dei nuovi licei sul piano epistemologico.
Tuttavia la ricerca nel campo della formazione non si ferma, la tessitura continua e dalla elaborazione delle nostre scuole si ricavano almeno due piste di riflessione e di buone pratiche: il campo degli studi storico-sociali come uno degli assi fondamentali dell’istruzione, e un possibile modello di scuola come risposta alle diverse domande di formazione del mondo attuale.
Ma non si può concludere questa breve introduzione senza ringraziare tutti coloro che ci hanno accompagnato in questo viaggio, alcuni sono gli studiosi e gli esperti citati in fondo al testo, ma in particolare vogliamo dire un grazie affettuoso a Clotilde Pontecorvo e ad Anna Sgherri che hanno seguito con costanza e sollecitudine le nostre fatiche e hanno sostenuto in modo dialettico le nostre scelte.
Lucia Marchetti