di Pietro Biancardi
Relazione di sintesi della conversazione tenuta il 06/04/01 presso il DAMS, nel seminario: "La musica di consumo in Italia".
Novecento, contemporaneità, attualità, sono parole che spesso sentiamo e che noi stessi usiamo come sinonimi, per cui ci stupiamo quando troviamo qualcuno che tende a distinguerle o che chiede precisazioni. Ecco, io credo che a tal proposito, il primo problema sia quello di chiarire in quale contesto collochiamo questi termini. In ambito storiografico, ad esempio, o meglio, in relazione alla trasmissione del sapere storico - che è il settore di mia competenza - questi vocaboli sono stati interpretati ed utilizzati per molto tempo, sia dagli storici che dagli insegnanti di storia, in modo soprattutto problematico : è insegnabile il Novecento? E' possibile orientarsi in una mole così vasta di avvenimenti e di questioni aperte e di fronte a tale varietà e quantità di fonti? Si può fare storia dell'attualità? E' insegnabile un passato troppo contemporaneo? (1) Di fronte a tali dubbi, che ancor oggi sovrastano gran parte del dibattito, risponderei attraverso una voce autorevole, quella di Marc Bloch, il quale, riflettendo sul mestiere dello storico, metteva a fuoco una questione importante per tutti noi : "L'incomprensione del presente nasce fatalmente dall'ignoranza del passato. Forse però non è meno vano affaticarsi a comprendere il passato, ove nulla si sappia del presente". (2)
Nessuno nasconde la complessità di uno studio del Novecento, per la mole di ricerche e di contributi storiografici, per la pluralità di posizioni teoriche e metodologiche che la storiografia presenta, per le indicazioni molto diverse su rilevanze, cesure, periodizzazioni che ci vengono, appunto, dagli storici. Ma se siamo concordi nella convinzione che non c'è identità consapevole là dove non c'è conoscenza e memoria, sono convinto che tutte queste obiezioni e dubbi non possono essere sufficienti a negarci lo studio della storia recente.
Occorre, certo, procedere con attenzione e metodo ed insieme è necessaria anche una riflessione sull'idea di contemporaneità, sul Novecento, sul rapporto tra modernità e postmodernità, nodi teorici che sinora sono rimasti spesso sullo sfondo, ad esempio, del confronto aperto intorno alle scansioni cronologiche e alle cesure del secolo. Trovare le coordinate per ripercorrerlo, infatti, significa anche ripensare al proprio tempo e alla propria identità di contemporanei, capire lo sviluppo non lineare dalla modernità all'attualità; significa individuare ciò che del Novecento non passa, ossia le permanenze, analizzare le diverse periodizzazioni che gli storici hanno proposto, e problematizzarle, ma soprattutto è necessario un lavoro di concettualizzazione, ossia di costruzione di categorie che rendano intelligibile il passato, prossimo o remoto, ma soprattutto il presente.
I processi di modernizzazione della società attuale e il rischio di sradicamento dal passato richiedono una riflessione profonda, mentre il dibattito è ancora molto fluido. Ad esempio, Mariuccia Salvati sottolinea la necessità di non identificare i termini "contemporaneità" e "Novecento", i quali, lungi dall'essere sinonimi, per lei definiscono invece campi di indagine diversi: "Novecento" è termine carico di significati e parola tipica della cultura europea, caratterizzata dalla cesura rispetto all'Ottocento e che vive la crisi del progresso e l'incertezza rispetto al futuro; mentre per storia contemporanea ci si riferisce allo scenario mondiale che si apre a partire dal "presente". Dunque, tenere distinta la parola Novecento dalla storia del XX secolo nel mondo, anche perché per Salvati "contemporanea" è parola disposta alla "speranza", mentre "Novecento" al ricordo. (3)
Sempre per Salvati la percezione e lo studio della contemporaneità implicano la consapevolezza delle trasformazioni radicali che interrompono la continuità con il secolo precedente, e ciò significa, in ultima analisi, essere presenti alle contraddizioni del proprio tempo. Non c'è dubbio che lo sviluppo della civiltà virtuale e multimediale ha prodotto un'accelerazione della storia, un consumo rapido del presente, che ha segnato una rivoluzione dal punto di vista mentale e cognitivo. "Consumo veloce delle informazioni e pericolo dell'oblio"; ecco perché in questo passaggio di millennio il rapporto tra storia e memoria va riproposto con rinnovata consapevolezza, soprattutto se la memoria è finalizzata ad "attualizzare" il passato, come sostiene Leonardo Paggi, riflettendo su Walter Benjamin: "Il sapere storico, facendosi rammemorazione, rompe il tempo lineare per ritrasformare i fatti in significati e includere in questa via, dentro se stesso, un sapere storico". (4)
Dopo queste riflessioni sullo studio del nostro tempo, ritorniamo a riflettere, sempre problematicamente, sui termini in discussione.
Siamo, dunque, soliti parlare di "storia contemporanea": eppure, se ci soffermiamo un attimo a riflettere su questi due vocaboli, sembra emergere una contraddizione in termini; "contemporaneo" significa, infatti, tra l'altro, "che accade nello stesso tempo", mentre "storia" è concetto che rinvia a qualcosa di "passato", anzi, per il senso comune, a qualcosa che è passato in modo così definitivo da imporsi agli uomini del presente come qualcosa di concluso, e quindi su cui si può riflettere e trarre insegnamenti. Come, quindi, può aversi una storia che sia contemporanea?(5) Banalmente si può rispondere dicendo che la definizione è occasionale e per di più legata al contesto culturale italiano; certo, la grande partizione tradizionale della storia pone la distinzione tra "antica" (le civiltà sviluppatesi prima dell'evento centrale per la cultura occidentale, ossia la nascita di Gesù) e "moderna" ( quella incominciata "da poco"). E' stata la cultura Umanistico Rinascimentale che ha introdotto tale visione, quando la cultura occidentale ha cominciato a percepirsi come un rifiorire, in forma nuova, di quei valori che avevano fatto grandi gli antichi, chiudendo così un'epoca descritta come buia e vista come transizione, appunto come "età di mezzo". Dunque, quando fu inventata la storia moderna, non si prestò molta attenzione sul fatto che questo termine funzionava bene per segnare un inizio, ma poi respingeva l'idea di una conclusione; ed in effetti, noi oggi usiamo l'aggettivo moderno per contraddistinguere un risultato finale, uno stadio che si presenti come più avanzato possibile. Se questo vale per gli oggetti, vale anche per le idee?, e per l'opera d'arte? Per la storia è accaduto questo: la rottura rispetto a Medioevo ed Antichità è stata facile da avvertire: chi ha inventato il concetto di modernità ha anche fissato l'immagine della rottura con il passato che ne stava alla base. Ma quando si poteva far finire quell'epoca ed individuare una nuova "rottura"? La questione è complessa ed ancora irrisolta sul piano degli studi storici. Le varie storiografie "occidentali", infatti, non presentano un consenso generalizzato sulla data che segna la fine del mondo "moderno" e l'inizio di un nuovo evo qualificabile in altro modo, di solito "contemporaneo", per sottolineare il fatto che esso non è ancora concluso ed è quello in cui viviamo. Il problema di fissare la data di "svolta" non è semplice, perché rimanda a chiarire:
- da quale punto di vista?
- privilegiando quali variabili?
- rilevando quali indicatori?
A metà degli anni Sessanta, Geoffrey Barraclough, in un'opera che ha avuto grande fortuna, tra l'altro cercava lo spartiacque tra due epoche, quella moderna (che per il mondo anglosassone arrivava sino alla prima guerra mondiale) e quella "postmoderna", che i più ritenevano riduttivo risolvere negli "affari in corso". (6) Barraclough evitò la ricerca di una sola data simbolo e propose di considerare invece un "periodo di transizione", individuabile negli ultimi decenni dell'Ottocento ed addirittura per lui allungabile sino agli inizi degli anni Sessanta del Novecento, con la presidenza Kennedy: lunghissimo periodo in cui si ha il declino progressivo e non lineare dei caratteri dell'età precedente ed insieme l'affermarsi dei caratteri della nuova era e del nuovo universo storico. Non c'è dubbio che lo studio di Barraclough è stato importante, in primo luogo per la volontà di riflettere andando oltre la ricerca di un solo "evento-simbolo" e poi perché ha aperto un grande dibattito tra gli storici.(7) Sempre su datazioni e periodizzazioni della contemporaneità, uno tra gli ultimi e più conosciuti contributi è quello di Eric Hobsbawm il quale, dopo aver a lungo studiato l'Ottocento, in una delle sue ultime opere esplicita questa sua visione: in quest'ultima fase della storia mondiale ci sono stati due secoli diseguali: un lungo Ottocento (da Napoleone alla prima guerra mondiale) ed un breve Novecento (dalla prima guerra mondiale al 1989); ora, anche la lettura di Hobsbawm, per molti versi affascinante ed interessante, è stata oggetto di numerosi appunti critici. (8)
Appare pertanto chiaro che per la storia contemporanea, ancor più che per le altre epoche, i problemi di periodizzazione non si possono presentare in maniera assoluta; le periodizzazioni, infatti, sono forme di organizzazione del pensiero storico, ossia semplici strumenti per l'organizzazione logica del discorso storico, che dunque servono per aiutarci ad inquadrare ed a "comprendere" dei fatti, inserendoli nel tessuto del contesto, così da renderli significativi. Non c'è dubbio, inoltre, che se si può tentare di individuare quando è iniziata, risulta impossibile indicarne la conclusione, anche perché occorre quella sedimentazione necessaria per verificare se veramente viviamo in un contesto nuovo. Ma ciò non significa rinunciare a questa sfida di problematizzazione e comprensione: significa soltanto muoversi con estrema prudenza, rigore, disponibilità a rivedere, ma resta necessario ed irrinunciabile questo "sporgersi"; l'età contemporanea può essere studiata attraverso l'individuazione di certe linee di sviluppo di fenomeni che in precedenza non si erano presentati o si erano presentati in maniera molto diversa. E', infatti, con tale impostazione che al liceo "studiamo" il Novecento, attraverso appunto l'analisi delle "rilevanze" indicate dagli storici,, rilevanze da intendersi sia come coordinate di fondo, angolazioni, prospettive, chiavi di lettura, sia come temi prioritari, questioni storiografiche fondamentali.
Arrivati a questo punto, concentriamoci sull'idea di contemporaneo, e a tal riguardo farò ora ampio riferimento a varie considerazioni scritte su tale tema da Silvio Lanaro e che condivido pienamente. (9)
Quando comincia il mondo cui apparteniamo, intendendo per mondo istituzioni, comportamenti, culture che nutrono il nostro modo di vedere ed agire? Varie sono le possibili risposte, tutte argomentate e connesse ad eventi che così diversi tra loro ma che presentano tutti una fortissima carica periodizzante. Resta il dato che nella nostra scuola - e il questionario somministratovi lo conferma - si continua ad assegnare alla rivoluzione francese il ruolo di "evento inaugurale" dell'età contemporanea. Ma forse il vero problema sta nell'impossibilità di individuare una "periodizzazione generale" veramente soddisfacente, per cui risulta forse più perseguibile e corretta la strada che arriva a periodizzare in base a precisa variabile ed anzi specificando problematizzazione e tematizzazione. Nonostante queste difficoltà, possiamo dire che è opinione ormai largamente accettata che i tratti distintivi dell'età contemporanea sono modernizzazione e secolarizzazione. Per Gino germani, infatti, il principale tratto distintivo dell'età contemporanea è "l'ampiezza dei processi di modernizzazione". (10) Ma cosa dobbiamo intendere per modernizzazione ? Quei processi di cambiamento che consentono ad una determinata società di raggiungere l'insieme delle condizioni materiali, sociali, culturali che comunemente vengono definite con i termini moderno e modernità, e dunque, per la società industriale moderna, essi sono costituiti da una conoscenza scientifica, da una tecnologia, da una struttura economica che sembrano assicurare sempre maggior dominio dell'uomo e massimizzare la produttività del lavoro. A monte di tali innovazioni, sta quella variante del "disincanto del mondo" che ha assunto il nome di secolarizzazione; dice Germani: "la secolarizzazione è […] un processo complesso che comprende tre fondamentali modificazioni della struttura sociale e che coinvolge:
- il tipo d'azione sociale: dal predominio dell'azione prescrittiva [conforme alla tradizione], cioè, si passa a una più ampia diffusione dell'azione elettiva [fondata sulla libera scelta];
- il cambiamento sociale: dalla istituzionalizzazione della tradizione si passa, cioè, alla istituzionalizzazione del mutamento;
- le istituzioni: da un insieme relativamente indifferenziato si passa ad una differenziazione e specializzazione crescenti di istituzioni dotate di una certa autonomia nelle loro norme e valori".
Ora, se è la modernizzazione ad innervare l'età contemporanea, perché si continua a collocare quest'ultima dopo un'età "moderna", che si aprirebbe con le grandi scoperte geografiche e si chiuderebbe con il crollo dell'ancien regime in Francia? Inoltre, dal 1977 circa, ossia da quando è stato contestato il funzionalismo architettonico, è entrato nell'uso corrente il termine "postmoderno", che è presto passato a connotare anche dottrine filosofiche e letterarie, ritenute espressioni di questa società postindustriale, che si profila all'orizzonte con lo shock petrolifero del 1973, quando si intravedono i limiti dello sviluppo e si infrange il mito del progresso perpetuo. Ma allora: postmoderno fa le veci di postcontemporaneo? E allora, il contemporaneo cos'è, o meglio, cosa è stato?
Più si scava e più sembrano emergere difficoltà; ma forse questi ostacoli possono essere aggirati - come suggerisce Lanaro - da una nozione della storia contemporanea come "storia di una presente a geometria variabile". Si è, infatti, già detto che l'ossessiva ricerca dell'evento inaugurale spesso distorce, per cui se invece ci domandiamo che cosa sia a noi veramente contemporaneo, possiamo scoprire con relativa facilità che ad esempio ordinamenti amministrativi risalenti a oltre un secolo fa ci sono più "vicini" di strumenti di governo dell'economia comparsi assai più tardi, ma divenuti ben presto desueti. In verità ogni epoca ha avuto i suoi storici "contemporanei", ossia studiosi che si occupavano del passato prossimo e dei fatti che maggiormente si ripercuotevano nel presente. Perché, dunque, oggi vi è una diffidenza così grande nei confronti di questa storia, al punto da giudicarla semplice cronaca retrospettiva e da ritenerla incapace di raggiungere sufficiente attendibilità "scientifica", in quanto facile preda di arbitrio ideologico. Non v'è dubbio che a ciò contribuisce il fatto che la storia contemporanea, con le sue specificità e la sua pluralità ed anche novità di fonti, non può assoggettarsi ai canoni di tradizione; soprattutto la cultura "positivistica" dell'oggettività e del metodo rigoroso ha creato un fuoco di sbarramento contro la "histoire immediate", che perdura, nonostante la crisi del Positivismo, come pregiudizio e nel senso comune. E' altresì vero che, in questo Novecento, la riflessione sull'età contemporanea ha dato vita anche ad una rivoluzione epistemologica, con una forte riabilitazione del cosiddetto "paradigma erodoteo", fondato sulla centralità del rapporto tra l'uomo e l'ambiente naturale e sociale, e al relativo ridimensionamento del "paradigma tucidideo", fondato sulla centralità del rapporto tra uomo e istituzioni politiche e militari. Resta, comunque, e diffusa, l'ombra, e non solo nel senso comune, sulla storia contemporanea di essere storia inevitabilmente tendenziosa, come se ciò non potesse essere per la storia di ogni età. In realtà, analizzando vari casi, si può osservare che la storiografia dell'età contemporanea è quasi sempre una storiografia "di tendenza", specie quando deve intrattenersi su rivolgimenti che sono stati preceduti o attraversati da aspri conflitti di armi e, o di idee, ma anche che la scelta di un osservatorio preferenziale non è necessariamente incompatibile con l'esattezza delle coordinate, con la serietà argomentativa, con l'efficacia probatoria.
Dunque: "contemporaneità come presente a geometria variabile",(9); una tale visione è inoltre incentivata dall'avvento della cosiddetta "mediosfera", ossia di un universo in cui i mezzi di comunicazione di massa trasmettono in tempo reale parole, annunci, suoni, immagini. Tale potere di rifrazione dei media finisce per incrementare lo spessore del presente, un presente "forte", non più semplice istantaneità, fase di passaggio e di transizione, bensì "categoria imperativa della comprensione di noi stessi". Ora, questo presente dai confini frastagliati può essere compreso se alle proposte di periodizzazione si è in grado di affiancare nuove concettualizzazioni e categorie interpretative; inoltre, la smisurata abbondanza delle fonti e la varietà tipologica dei reperti documentari offre alla storiografia sull'età contemporanea la possibilità di vagliare anche le ipotesi alternative che si sono via via presentate ai soggetti che hanno agito su una scena qualsiasi, e quindi storia contemporanea anche come "area del possibile", proprio perché "…la storia non è una morta sequenza di fatti e processi inevitabili, ma il terreno vivissimo e brulicante delle scelte di uomini e donne: la storia fatta dagli innumerevoli presenti di chi, grande o piccolo, ha voluto -come noi oggi - scegliere".(9)
A conclusione di queste riflessioni, mi pare che si possa dire che più si approfondisce la questione del Novecento e dell'età contemporanea, più "i contorni cronologici si frastagliano, e il nodo del Novecento assume il valore di una cifra simbolica che si estende nella categoria storiografica della contemporaneità, non periodizzata né periodizzabile entro termini assoluti, ma definibile attraverso la sua qualità di "tempo condiviso", presente che riconosce in sè la profondità dei suoi passati"(11); intreccio tra vissuto, progetto, memoria e riflessioni sul senso del passato, così da costruire identità e legami consapevoli, nella dimensione appunto della contemporaneità, tra presente/futuro/passati.
Pietro Biancardi
da
"Popular Music, Aspetti e problemi"
Contributi dal seminario
"La musica di consumo in Italia: economia, sociologia, stile"
a cura di Paolo Somigli
QUADERNI DI M/R 55 LIM Diretti da Luigi Pestalozza
2005 Libreria Musicale Italiana
Lim Editrice srl, via di Arsina 296/f , Lucca
(1) Annabella Gioia, "Contemporaneità e trasmissione del sapere storico", in "Italia Contemporanea", giugno 2000, n. 219.
(2) Marc Bloch, "Apologia della storia", Torino, Einaudi, 1969.
(3) Mariuccia Salvati, "L'idea di età contemporanea. Appunti per una ricerca", L'Annale Irsifar 1997, Roma, Carocci, 1998.
(4) Leonardo Paggi (a cura di), "Le memorie della Repubblica", Firenze, La Nuova Italia, 1999.
(5) Paolo Pombeni (a cura di), "Introduzione alla storia contemporanea", Bologna, Il Mulino, 1997.
(6) Geoffrey Barraclough, "Guida alla storia contemporanea", Bari, Laterza, 1996.
(7) Claudio Pavone (a cura di), "'900 I tempi della storia", Roma, Donzelli, 1997.
(8) Eric J. Hobsbawm, "Il secolo breve", Milano, Rizzoli, 1995.
(9) Silvio Lanaro, "L'idea di contemporaneo", in AA.VV. "Storia contemporanea", Roma, Donzelli, 1997.
(10) Gino Germani, "Sociologia della modernizzazione", Bari, Laterza, 1971.
(11) Aurora Delmonaco, "Paradigmi storici" in "Iter.Scuola cultura società", anno I, gennaio-aprile 1998.