Sono stato molto lieto dell'invito, rivoltomi dalla preside Stancanelli, a partecipare a questa iniziativa in onore ed in ricordo di Anna Sgherri, che si propone di confrontare, non so se con qualche malizia, la “Buona scuola” di Anna con l' attuale ipotesi di riforma.
Con Anna ci siamo incontrati in un momento professionale particolarmente significativo per entrambi - era la fine degli anni ottanta- momento che coincise con la fase delle cosiddette “sperimentazioni” di “ordinamento e struttura”, previste dall'art 3 del DPR n 419 del 1974 (era uno dei famosi “decreti delegati”), promosse dalla Direzione dell'istruzione Classica, scientifica e magistrale in vista di future riforme dell'ordinamento liceale, fase che personalmente ricordo con nostalgia - e non solo perché eravamo tutti molto più giovani - ma per la passione e l'impegno di molti dei protagonisti di allora e per quella convinzione diffusa di essere protagonisti di un tentativo di cambiamento dal basso dei vecchi percorsi liceali e dell'istituto magistrale, ritenuti bisognosi di aggiornamenti nei contenuti e nei metodi.
E, proprio vero che ogni generazione è convinta di essere “per la prima volta” protagonista del cambiamento e di operare “svolte storiche” e “ rivoluzioni copernicane”!
Io avevo appena vinto il concorso a dirigente e, venendo da precedenti esperienze professionali tutte giuridiche - contenzioso e disciplina negli anni '70 - fui proiettato, come dirigente della sperimentazione, nel mondo vero della scuola, del dibattito sui curricoli, del confronto, anche aspro ma costruttivo, in cui le posizioni non erano mai unidirezionali ed “assertive” ma, come si direbbe oggi, ci si “metteva veramente la faccia”, con incontri diretti con dirigenti e docenti che avevano lo spazio e l'opportunità per discutere realmente proposte e soluzioni per i processi di innovazione (attraverso “seminari di studio” e produzione di materiali), utilizzando a tal fine anche lo strumento dell'aggiornamento su rete.
Anna aveva anche lei vinto da poco un concorso ispettivo - il primo con la nuova normativa - che aveva superato il modello un po' autoritario, anche se di grande prestigio, dei vecchi ispettori centrali (penso a Tomassino, alla Berselli, a Santoro) ed aveva selezionato un gruppo di ispettori tecnici periferici - figura fino ad allora sconosciuta almeno nelle scuola secondaria - di grande professionalità ed entusiasmo, formatisi sui valori della scuola “partecipata” dei decreti delegati - siamo alla metà degli anni '80 - e convinti che le riforme non siano mere espressioni di “ingegneria istituzionale” e dunque non debbano “calare dall'alto” ma, al contrario, siano processi che vedano l'incontro tra l' esperienze delle scuole - che riflettono sulla loro azione didattica - ed un personale “esperto” - in primis i nuovi ispettori ma anche università ed associazioni professionali, nonché, all'epoca,gli IRRSAE - capace di stimolare le innovazioni proposte ma anche riconoscere e valorizzare, sistematizzandole, le “migliori pratiche”, rendendole in tal modo trasferibili ad altri contesti, seppure con i necessari adattamenti.
Ricordo ancora l'entusiasmo, la professionalità e l'impegno di Anna, di Elena Bertonelli, di Lucia Ciarrapico, di Chiara Croce, di Antonio Portolano, di Luciano Favini, di Sandra Perugini Cigni, di Marta De Vita, di Anna Piperno e di Clavarino e di tanti altri che crearono un clima veramente irripetibile.
Ma ricordo anche tanti presidi e professori che erano protagonisti alla pari di questo dibattito dalla Giancotti alla Miola a Mori, allo stesso Rembado, tanto per citarne alcuni.
Furono quelli gli anni in cui si sviluppò, attraverso le sperimentazioni di cui all'art 3 del DPR 419/1974, in coerenza con lo spirito dei decreti delegati, un processo di superamento del vecchio liceo gentiliano, introducendo nuovi percorsi di studio - tra tutti ricordo il liceo linguistico, prima di allora solo privato, ed il liceo pedagogico, psicopedagogico e delle scienze umane e sociali - ma, soprattutto, si proposero curricoli più ricchi e più flessibili, con il rafforzamento dell'area linguistica e matematico-informatica, organizzati per obiettivi di apprendimento - in relazione ai quali sviluppare l'autonomia didattica e di ricerca - e non per programmi rigidi. Negli stessi anni, a conferma di un “clima generale”, ci furono le sperimentazioni di Caruso nell'Istruzione tecnica, sviluppate poi da Trainito, e di Martinez nell'istruzione tecnico professionale (“Progetto 92”).
Gli esiti di queste complesse esperienze furono ricchi di luci, soprattutto sotto il profilo delle motivazioni e della ricerca educativa ma anche di ombre, pur se non ci fu un vero bilancio finale per l'intervento di successive iniziative ministeriali di sistema (Riforme Brocca e Berlinguer). Certamente pesò allora la mancanza di un sistema di valutazione, poi introdotto da Berlinguer, capace di intervenire tempestivamente su derive autoreferenziali che, in alcuni casi resero perfino incoerenti i percorsi curricolari rispetto agli esiti attesi, tanto più in presenza del valore legale dei relativi titoli di studio (penso ai licei linguistici negli istituti magistrali).
Ma tuttavia ritengo che il ruolo di accompagnamento e supporto svolto da quegli ispettori, con incontri frequenti con gruppi di dirigenti e di docenti, diede vita ad una esperienza di grande spessore, in cui i temi della didattica, delle competenze, dei “nuclei fondanti” delle discipline e del loro statuto, dell'autovalutazione, divennero centrali nel dibattito delle scuole più avanzate e lasciarono una eredità di elaborazioni fondamentali per i successivi interventi “riformatori” costituiti prima dal “progetto Brocca” - i Piani di studio del biennio sono del 1991, quelli del triennio del 1992 - e poi dall'intervento complesso di Berlinguer (legge 30, autonomia, parità e Invalsi) - interventi tutti purtroppo non realizzatisi compiutamente per il successivo cambiamento del quadro politico.
Ricordo in questi anni lo straordinario impegno di Anna, teso a fare sintesi continua tra le proposte del Ministero e le richieste della scuola, senza indulgere né nella difesa incondizionata degli obiettivi assegnati dal “centro”, né nelle eventuali derive autoreferenziali delle singole scuole ma, al contrario, attenta alle esigenze reali degli apprendimenti, interpretando correttamente l'autonomia delle scuole come una “funzione” orientata al successo formativo.
Fu in quella fase che, con alcuni colleghi e con l'Irrsae Marche, promosse e realizzò un' importante sperimentazione, che andrebbe ancor oggi studiata, sulla misurazione del differenziale tra le competenze possedute dagli alunni all'inizio e alla conclusione del “biennio Brocca” (Progetto “Prometeo”). Fu, credo, una delle prime esperienze di valutazione non dei livelli assoluti delle competenze possedute dagli alunni in un determinato momento ma del “miglioramento” da essi realizzato, durante il biennio, rispetto ai livelli di partenza.
Vorrei ricordare al riguardo che già i Programmi del progetto “Brocca”, tenendo conto proprio delle esperienze delle sperimentazioni “autonome” erano articolati per Finalità, Obiettivi di apprendimento e Indicazioni specifiche per le singole discipline, superando in tal modo i vecchi rigidi programmi ministeriali che predefinivano contenuti e tempi dei curricoli.
La preside Stancanelli, nostra cortese ospite, mi ricordava che ci siamo conosciuti all'incontro organizzato con Anna ed altri ispettori in una sala del ministero dei beni culturali, la famosa “sala dello Stenditoio”, quando in piena estate, credo fosse giugno, si decise di far partire in 56 scuole il progetto Brocca sin dal settembre successivo. Ciò fu in realtà possibile proprio perchè quelle scuole venivano quasi tutte dalle precedenti sperimentazioni ed avevano pertanto collaudati strumenti di governance ed esperienze mature nell'elaborazione, gestione e autovalutazione del curricolo.
La traumatica interruzione del processo di riforma che era stato così efficacemente portato a sintesi da Berlinguer alla fine degli anni '90, e soprattutto il mancato esplicito chiarimento circa le ragioni del dissenso tra due anime della sinistra ha avuto un peso assai negativo sulle motivazioni di tutti i dirigenti e i docenti che nelle riforma Berlinguer aveva effettivamente e largamente creduto, (penso all'avvicendamento con De Mauro nell'ambito di un Governo di centrosinistra), e, a mio avviso, sono per certi versi ancora alla base anche del conflitto oggi in atto sulla riforma Giannini.
Forse bisognerebbe che ci fosse un vero chiarimento senza continuare a contrapporre tesi reciprocamente del tutto assertive ed autoreferenziali.
Ricordo ancora l'amarezza di Anna per la brusca interruzione di un 'esperienza così ricca di speranze e di prospettive!
A proposito della “lezione” di Anna per fare una “buona scuola”, farò ora un brevissimo riferimento alla fase attuale - cosa che in fondo ci richiede implicitamente il titolo del nostro incontro odierno - per capire in che modo il suo “metodo” potrebbe risultare ancora utile per “inverare” nella didattica reale le proposte della riforma della legge 107.
Sono convinto innanzitutto che il quadro di riforma dell'attuale Governo, generosamente difeso pubblicamente da Luigi Berlinguer, sia in effetti figlio di quella stessa stagione di cambiamento prima ricordata, che mirava ad attribuire all'autonomia delle scuole un ruolo centrale nel definire curricoli flessibili ed adeguati alle concrete domande formative degli alunni, tenendo conto dei contesti.
Una significativa continuità va, a mio avviso, del resto riscontrata nell'obiettivo di fondo di tutti i processi di riforma di questi anni - dalla Conferenza nazionale della scuola del '90 di Mattarella alla legge 107 della Giannini - e cioè quello di promuovere una scuola che superi la tradizionale impostazione metodologico didattica - cattedratica, uniforme e trasmissiva dei saperi - per sviluppare invece un insegnamento più “personalizzato”, metodiche interattive e laboratoriali, capaci di promuovere competenze reali (testa ben fatta anziché testa piena avrebbe detto Edgar Morin), peraltro più coerenti anche con gli attuali apprendimenti in ambiente tecnologico. Ciò comporta una diversa organizzazione della didattica, che nasca dall'esigenza di collegare gli insegnamenti formali, informali e non formali, e attribuisca al docente un ruolo di professionista, mediatore tra i saperi e gli apprendimenti, capace di “dare senso” agli insegnamenti attraverso una corretta analisi disciplinare, che consenta non solo l'utilizzo delle mappe cognitive di ciascuna disciplina ma tutti gli altri elementi del loro “statuto” - “aspetti metodologici, storici, linguistici”, vedendo nelle discipline, come ricordava Frabboni, una sorta di“cannocchiali” differenziati dell'unica realtà. Discipline intese in sostanza come esiti di apprendimenti sociali che promuovano gli apprendimenti individuali.
L'obiettivo è l'acquisizione di competenze da intendersi non solo come competenze professionali ma come la capacità di padroneggiare ed utilizzare le conoscenze operative in contesti diversi. Ciò presuppone il carattere collegiale e il metodo cooperativo nell'insegnamento, aspetti ripresi del resto dalla legge 107 dopo il passaggio parlamentare.
Ma c'è di più. Accanto alla finalità della scuola di trasmettere i saperi da una generazione all'altra, c'è sempre più l'esigenza di trasmettere i valori, di promuovere l'identità dell'alunno e nel contempo lo sviluppo del suo senso di appartenenza rispetto alle diverse comunità (integrazione) e rispetto a sé stesso (interventi per l'integrazione e la legalità, contro bullismo, e omofobia).
Vanno ricordatie poi le nuove domande cui la scuola deve rispondere, dell'esigenza di un più stretto collegamento scuola lavoro e di più efficaci rapporti con il territorio.
In questa prospettiva la riforma Giannini mi sembra si collochi in piena continuità rispetto non solo ai principi in precedenza elaborati ma anche alle stesse concrete disposizioni normative ricavabili dai provvedimenti in passato adottati (si pensi al regolamento sull'autonomia).
Trovo anzi al riguardo un pò ingenerosa, e per certi aspetti controproducente, la ricorrente enfasi “nuovista”, assertiva di un' ennesima “svolta Copernicana”, che è emersa, almeno in passato, in molti commenti, nonostante l'evidente continuità dell'impianto chiaramente riconducibile a quello del regolamento sull'autonomia (DPR n 275/1999), se non addirittura a molti principi delineati nella Conferenza nazionale della Scuola del 1990 promossa dall'allora ministro Mattarella.
Il punto vero è allora quello di capire se, rispetto agli obiettivi sostanzialmente condivisibili della riforma, in gran parte coerenti con quelli di Berlinguer, ci siano nell'attuale legge e nei primi atti applicativi indicazioni concrete che dimostrino la consapevolezza delle criticità emerse in passato su analoghi obiettivi e la capacità di indicare soluzioni credibili per superare tali criticità. Al riguardo credo che la riforma Giannini, pur nella rilevata sostanziale continuità con gli obiettivi del processo di innovazione in atto da molti anni, presenti ancora alcune criticità, già peraltro emerse nel mondo della scuola, come quelle relative alle soluzioni insufficienti adottate per il precariato, inadeguate rispetto al fabbisogno effettivo di docenti nelle scuola, alla enfatizzazione del ruolo dei dirigenti scolastici, peraltro non solo non corrispondente ad effettivi poteri reali, ma, soprattutto, in contrasto con la riaffermate collegialità e cooperatività dell'attività docente, alle discutibili scelte sulla formazione iniziale (troppo lungo il tempo della formazione, troppo divisi i ruoli dell'università e della scuola, non risolto il problema del rapporto tra abilitazione e ruolo). Suscitano anche perplessità la carenza di risorse e di apparati organizzativi per assicurare l'effettiva generalizzazione dell'insegnamento dell'inglese - si pensi alle precedenti negative esperienze, per i medesimi motivi, del Clil nelle superiori e dei docenti specializzati alle elementari - della matematica rafforzata, della musica, dell'arte, delle scienze motorie, delle tecnologie ecc. e di tutte le altre discipline, tenuto altresì conto che l'organico dell'autonomia, oltre ad essere formato in questa prima fase dai docenti delle Graduatorie ad esaurimento - titolari di classi di concorso spesso meno richieste - è comunque destinato prioritariamente alle supplenze brevi, i cui stanziamenti sono stati contestualmente ridotti.
Lo stesso, pur positivo, rafforzamento dei percorsi scuola lavoro - già peraltro previsti da normative precedenti - non sembra aver del tutto risolto il problema delle risorse per l'intera platea degli alunni interessati (circa un milione e mezzo nei tre anni, per 200 ore nei licei e 400 negli istituti tecnici e professionali) e soprattutto deve affrontare il problema della effettiva disponibilità generalizzata delle imprese (non c'è ancora l'albo delle imprese disponibili).
Ma al di là di questi aspetti”amministrativi” e finanziari, che riguardano sostanzialmente i profili di “ingegneria istituzionale”, un brevissimo approfondimento merita soprattutto l'aspetto curricolare dell'ampliamento dell'offerta formativa che, a mio avviso, è trattato dalla legge più alla stregua di una integrazione di discipline (più educazione linguistica ed alfabetizzazione informatica, introduzione dell'insegnamento musicale e finanziario, della storia dell'arte e dell'educazione motoria) che come un problema di ricerca per la definizione dei “nuclei fondanti” e delle competenze attese relativi a ciascuna disciplina ed all'insieme delle discipline, in vista di una vera interdisciplinarietà, funzionale a definire l'apporto che ogni disciplina deve coerentemente offrire al raggiungimento del profilo di uscita e degli obiettivi di apprendimento di ciascun tipo di istituto. Il metodo di Anna puntava appunto, al di là delle diverse proposte legislative di riforma, ad un'attenta analisi delle varie componenti dello statuto delle discipline, in particolare ovviamente di quelle storiche, filosofiche e delle scienze umane e sociali, in modo da promuovere le condizioni più favorevoli per creare una rete di supporto ai docenti, ai fini della formazione e della ricerca educativa sugli aspetti metodologici, pedagogici e di nuova didattica delle discipline, in una prospettiva di unitarietà ed identità del curricolo di ciascuna scuola.
Questa azione veniva realizzata - e molti di voi ne siete stati testimoni - attraverso periodici incontri, seminari, progetti di ricerca, interventi di monitoraggio (ricordo ancora il Progetto Prometeo), che adattavano processualmente gli obiettivi proposti dal ministero alla concreta realtà emergente dal confronto svolgentesi all'interno delle reti di scuole.
Ciò dava sicurezza ai docenti ed evitava quei fenomeni di “inadeguatezza” o di adesione solo formale che hanno caratterizzato molti processi di innovazione.
In questa direzione, nell'attuazione della legge 107, penso bisognerebbe lavorare molto con le scuole, con le università e con le associazioni professionali, creando una grande “comunità” di ricerca educativa.
Nel concludere vorrei infine ricordare le doti umane di Anna che anche nelle occasioni più difficili - e non ne sono mancate - è stata per tutti un punto di riferimento per la sua competenza ma anche per la capacità di cogliere con equilibrio i punti di criticità del processo, senza tuttavia arrendersi anche nelle situazioni più complesse, ma al contrario infondendo entusiasmo, motivazioni e senso di appartenenza ad un gruppo. Credo che questa piccola, intensa, “comunità”, che si è ritrovata oggi nel ricordo di Anna costituisca in questo senso una sua preziosa eredità, coerente con la sua profonda affettività ed il suo interesse per gli altri, che coniugava con il rigore e la riservatezza, attenuati tuttavia da un'ironia mai cinica.