Trieste, 29 –31 marzo 2010
Sulla soglia
Il dialogo educativo tra scuola e territorio
Credo rappresenti una sorta di apprendistato delle frontiere, la base da cui apprendere come si fa a varcare la porta che ci introduce a ciascuna cultura. Per questo l’accesso all’educazione rappresenta una delle sfide principali del mondo globale di oggi
Marc Augé
|
Il Convegno di quest’anno si è caricato di immagini che richiamano luoghi (soglia, frontiera, territorio); la stessa immagine legata al convegno, un arco di epoca romana, che affonda le sue radici nel passato e quindi nel tempo, afferma in modo perentorio la propria presenza nello spazio. L’uso di un vocabolario spaziale può rappresentare per noi un aiuto per poterci collocare; ma nel nostro caso i luoghi evocati ci rimandano ad una situazione di incertezza, di oscillazione, di apertura e di cambiamento.
La soglia, come e forse più di ogni altro luogo simbolico, si determina attraverso le letture che ne diamo, attraverso gli sguardi che le rivolgiamo: ed in questi giorni di lavoro attribuiremo forse molteplici significati a questa nostra condizione liminare.
Sarebbe riduttivo vedere la soglia solo come una cesura tra un dentro (un prima rassicurante), fatto di esperienze, di pratiche educative, di sperimentazioni consolidate, ed un fuori (un dopo incerto), in cui ci troviamo esposti all’indeterminato, a scelte non condivise, a prevedibili delusioni e difficoltà. La soglia può anche essere “tensione verso”, può portarci all’incontro, alla scoperta, al cambiamento. Come scriveva Aldo Capitini, <<mi pare che l’educazione debba dare il senso di una tensione, di una insoddisfazione per ciò che c’è>> e, potremmo aggiungere, per quello che ci potrebbe essere nel prossimo futuro.
Il Liceo delle scienze sociali è una scuola che si è costruita sulla relazione tra i saperi, sulla mediazione e sul confronto con il territorio. In quanto indirizzo sperimentale è stata impegnata fin da subito a tracciare e varcare confini, a determinare delle appartenenze, a pensarsi come comunità. E’ una scuola che è nata ed ha imparato a stare in un luogo di frontiera, ha dovuto praticare il mescolamento dei saperi, le loro relazioni ed articolazioni. La tensione educativa è un po’ nel suo DNA ed in quello delle e degli insegnanti che hanno portato avanti un lavoro di rete, di confronto e collaborazione.
In questo momento la soglia può rappresentare anche la giusta distanza per vedere come stanno andando le cose, per capire il processo in atto senza esserne travolti e senza che venga travolto il lavoro fatto in questi anni, senza perdere il patrimonio di esperienze accumulate e rinnovate, senza smarrire il nostro progetto di scuola che, come recita il Documento fondativo del 2000, è centrato sulla conoscenza della pluralità delle culture, delle strutture e delle stratificazioni sociali, delle articolazioni normative ed economiche, dell'insieme delle dinamiche formative e della dimensione psicologica propria dei comportamenti individuali e collettivi.
Alcuni di noi, nei giorni seguenti all’uscita dei nuovi quadri orari, interrogandosi sul che fare - una domanda che con un andamento carsico, proprio qui a Trieste, attraverserà queste giornate di lavoro – hanno individuato dei paletti, dei segnavia che potrebbero aiutarci a non perdere l’orientamento:
- l’identità del curricolo, come senso complessivo da attribuire al piano di studi
- l’equilibrio tra le aree disciplinari
- le integrazioni tra i saperi, attraverso la loro analisi e la loro traduzione sul piano della didattica
- la relazione educativa, come l’insieme delle pratiche che fanno della scuola un luogo di formazione.
A questi si può aggiungere la salvaguardia dell’esperienza dello stage formativo, come elemento caratterizzante il curricolo e risorsa epistemologica, come pratica educativa problematizzante, che permette alle studentesse e agli studenti di pensare se stessi e il mondo simultaneamente, senza separare il pensiero dalla ricerca/azione.
Non sarà impresa facile, considerate le condizioni oggettive in cui ci ritroveremo ad operare il prossimo anno scolastico (riduzione monte ore, assenza di investimenti, aumento del numero di studenti nelle classi, tagli del personale, programmi abbozzati).
In questo momento la scuola pubblica italiana è messa alla prova, non solo nella sua funzione educativa assegnatale dalla Costituzione, ma nella sua stessa funzione culturale; di fronte a una società che alza barriere, che produce politiche e linguaggi fautori di visioni segregazioniste del mondo, di idelogie del ghetto e dell’esclusione, alla scuola spetta il compito dell’elaborazione culturale, della costruzione critica del pensiero; la scuola deve assumersi la responsabilità di contrapporre alle politiche repressive e di controllo sociale un processo educativo che contribuisca a rafforzare e ampliare lo spazio della democrazia e della cittadinanza.
Sempre più attuali risultano dunque le parole messe a conclusione del testo La scuola deve cambiare, quasi dieci anni fa: <<La nostra società ha oggi più che mai bisogno di scuola. Ha bisogno di un luogo salvo in cui tutti possano trovare il tempo e le risorse per riflettere sulla vita, sul mondo e su di sé, un luogo in cui elaborare il pensiero, in cui ricostruire lo spessore storico degli avvenimenti, in cui immaginare un possibile futuro, in cui cimentarsi con il metodo e con la costanza del lavoro, in cui praticare attivamente la democrazia. Ed è più che mai necessario farlo tra generazioni, essere capaci di passare il testimone, assumere la responsabilità del mondo>>.
A Trieste ci proveremo.
Davide Zotti
Testi di riferimento
AA.VV., La scuola deve cambiare, L’ancora del mediterraneo, 2002
M. Augé, Tra i confini. Città, luoghi, integrazioni, Mondadori, 2007
L. Borghi, La città e la scuola, Elèuthera, 2000
P. Freire, La pedagogia degli oppressi, EGA, 2002
C. Geertz, Antropologia interpretativa, Il Mulino, 2009
P.A. Rovatti, Possiamo addomesticare l’altro? La condizione globale, Forum, 2007