Clotilde Pontecorvo – 31 marzo 2007
(intervento non revisionato dall'autore)
Vi ringrazio dell’invito, sono qui per presentare un libro, ma mi trovo in difficoltà perché mi sento molto interna, faccio una cosa strana, ma utile, vi leggo l’indice di questo testo: Trent’anni dopo - le scienze sociali nella scuola secondaria. È stato possibile grazie all’impegno del Consiglio Italiano delle scienze sociali, anch’esso costituito trent’anni fa, di cui faccio parte e la mia vita accademica è passata per questa esperienza.
Il libro è articolato in dodici capitoli con un’appendice e ricchi riferimenti bibliografici, molto utile per una consultazione.
Inizia con un’introduzione:
- Come fare scuola con le scienze sociali, un possibile modello di scuola
- Elaborare curricoli ed esempi di buone pratiche con appendice
Nella parte dei curricoli, quale impianto per le scienze sociali, discipline da attraversare e da trasformare, uno studio critico, un contributo di Anna Sgherri sull’autonomia. Lucia Marchetti e Stefania Stefanini – un itinerario verso una costruzione di una diversa identità professionale per l’insegnante di scienze sociali. Leonello Bettini – l’asse storico antropologico del liceo delle Scienze Sociali, strumenti di riflessività e di manutenzione. Luigi Mantuano - criteri di decodificazione della contemporaneità nell’indirizzo di scienze umani e sociali. Giacomo Camuri – la prova del labirinto – didattica della complessità e pedagogia dell’avventura – riflessioni di metodo per un liceo delle scienze sociali. Paolo Cinque – lo stage come strumento formativo.
La seconda parte inizia con il contributo di Josette Clemenza – gli occhi sulla città.
Nottolini, Beretta, Boschini, Pesce dell’Istituto di Verbania – Pratiche di formazione e manutenzione del gruppo classe – Nuccia Farina – lavorare in terra di confine – sette anni di scienze sociali nell’isola di Pantelleria. Antonella Fatai – una didattica attiva ed efficace per riscoprire la matematica. Sabbioni, Marchetti, Chieregato – Le scienze naturali come sapere integrato.
La gamma di lavoro, come vedete è molto ampia e ho avuto delle reazioni molto positive. Ora vi do una lettura attraverso della mia introduzione.
Prima di tutto trent’anni dopo, sono ripartita dalla lettura di quel librino Le scienze sociali nella scuola secondaria superiore, elaborato con tanto entusiasmo riformatore appunto trent’anni fa e ci sembrava di essere già in ritardo. Non vi nascondo qualche sconforto rispetto alle richieste di allora sulla necessità di un nuovo impianto culturale per leggere la contemporaneità. Nel disegno illuministico che ci animava, ritenevamo che la nostra proposta avrebbe potuto dare delle buone indicazioni al riformatore, sono passati tanti anni e ci possiamo chiedere cosa sia cambiato, se non il lavoro positivo delle vostre sperimentazioni e del vostro lavoro.
Alcuni dati numerici, il primo è che il dato di passaggio dalla scuola media alla secondaria è oramai vicino al 100%, anche se il 10% esce dal sistema a sedici anni. Nel 1970 era meno del 70%, cambiamento notevole. Vi do un altro dato, vi saranno 911 tipi di maturità nel 2007, tipi di cui 185 rispondono a tipologie di istituti funzionanti secondo i vecchi ordinamenti e ben 726 secondo sperimentazioni autorizzate, il che vuol dire che gli insegnanti non sono stati fermi ed è il riconoscimento della funzione dell’autonomia che comunque ha dieci anni. Ora l’innovazione educativa è stata molto profonda e tuttavia è stata, a parte la vostra struttura organizzativa forte, per altri versi è stata del tutto casuale, non c’è stato disegno. Anche l’intervento di Anna Sgherri ci fa capire la difficoltà del ministero in anni di forte alternanza politica, di condurre o monitorare questo cambiamento. Il testo presenta interessanti proposte didattiche incardinate da parte di docenti che sono presenti in diversi contesti educativi. Oggi riprendo i due nodi di questo discorso: uno dei nostri dilemmi è stato quello che noi proponevamo le scienze sociali per tutta la scuola secondaria, invece poi la proposta è stata raccolta solo dai Licei o Istituti delle Scienze Sociali, e il secondo forse risolto sul piano teorico, ma non operativo che è la dialettica tra scienze sociali e scienze umane.
Infine io concludo questa presentazione indicando al Ministro a cui mi rivolgo, faccio come le leggi di Socrate, io parlo al Ministro, dicendo come da questo modello possa scaturire un modello di riforma valido per molti altri tipi di contenuti disciplinari o indirizzi scolastici.
Veniamo al primo punto, le scienze sociali per tutti e le scienze sociali caratterizzanti un indirizzo di studio. Se si rilegge il libretto del ’77 si capisce che raccoglieva idee anche degli studenti, cioè istanze di cambiamento venute fuori dal movimento del ’68 e successivi. Mi piacerebbe discutere con voi come è cambiata se è cambiata la richiesta degli studenti, certo che quella di allora aveva forti caratteristiche diciamo politiche, e che forse adesso avrebbe diversa connotazione. Io ritengo che sia sempre importante rivolgere le scienze sociali alla scuola di tutti, ma questo non esclude il valore della scuola che ha queste discipline come caratterizzanti. Nel documento del 2006 dei ministri dell’Istruzione del G8 si dice che la conoscenza delle scienze sociali e umane sono elementi importanti per lo sviluppo delle persone e per la coesione sociale, ci potrebbero stare molto altre cose, ad esempio qualcosa sui diritti umani, ma ci contentiamo, essendo otto ministri di varia estrazione politica e di provenienza, ma può essere una guida che può essere utilizzata.
Da questo dilemma passerei all’altro e mi baso sulla trattazione attenta e articolata di Paola Di Cori: scienze sociali o scienze umani, di questa distinzione è stato fatto un uso ideologico o se volete politico. Rimesso in auge dall’ex ministro Moratti nel suo piano di riforma, ma io ritengo che sia poco sensato e irrilevante, anche se rischia di dare molto fastidio alle sperimentazioni in atto, nel momento in cui si assegna la disciplina pedagogia come caratterizzante dell’esame finale che in questo liceo così caratterizzato, la pedagogia non ha più alcun senso formativo. Più di trent’anni fa arrivai a questa conclusione quando già nel ’74 si iniziò a mettere nero su bianco, con spregiudicatezza come avviene spesso nel nostro paese, la formazione universitaria anche per gli educatori dell’infanzia. Nel 1997 elaborando in termini concreti con il ministro Berlinguer i programmi della formazione universitaria di tutti gli insegnanti, si chiese al ministro di abolire il valore legale del titolo di studio delle magistrali per l’abilitazione all’insegnamento nella scuola elementare. Questo fatto ha cambiato il senso dell’istituto magistrale e li ha costretti a profonde modifiche, gli istituti magistrali erano i più diffusi nel nostro paese con un ruolo molto importante nell’elevazione dell’istruzione del paese, ruolo che ha ormai perduto.
Comunque lo studio della pedagogia è rimasto, è stato meglio giocato con un ruolo ridimensionato.
Paola Di Cori analizza la necessità di una diversa integrazione, mettendo da parte la tematica ideologica, se i nostri padri erano allora Marx, Parsons, Weber, oggi i primi due hanno perso rilevanza e sono molti e diversi gli autori di riferimento che voi avete ampiamente utilizzato e più ampie e diverse le tematiche:
- lo sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa
- l’informatizzazione del mondo
- il femminismo e le differenze di genere
- l’emergenza ambientale
- la costruzione della soggettività e delle identità plurime
- la bioetica
- i diritti umani, i crimini contro l’umanità
Quindi lo spazio della cultura nelle scienze sociali è diventata molto più rilevante,sono centrali le esigenze formative ma diversi i riferimenti e le consapevolezze. Ci sono anche delle scienze umane che sono ancora rilevanti e con cui si sono stabiliti rapporto molto produttivi, ad esempio non si può negare il nesso tra il pensiero logico e narativo, il ruolo della narratività nella letteratura e nella storia, quindi nuove allenze, i nessi con le arti visive, con la linguistica e la comunicazione. Sono nuovi slittamenti disciplinari, molto diversi da quelli di allora, questo è interessante e si ritrova nel libro. Pensate che è negli ultimi vent’anni si comincia a parlare di menoma, è la didattica la sede più adatta per sperimentare, è più difficile creare questi nessi all’università. Pensate che io non sono riuscita a inserire nel programma universitario nemmeno la filosofia del linguaggio, io insegno psicologia a Roma, è vero abbiamo Tullio De Mauro, ma gli studenti debbono andare a lettere e così per gli insegnamenti storici che gli studenti debbono andare a cercarseli.
Da Di Cori: le scienze sociali fanno considerate come entità problematiche e incerte come case aperte e ospitali visitate da amici, da parenti, ma anche da estranei, nella loro attuale complessità e strutturazione a rete.
Qui è sottolineato il ruolo della didattica, questo è il senso della scuola, sono più scettica su quello che può dare l’università, non sottovalutate l’impostazione e l’originalità che può venire dalla scuola. Nel contributo di Anna Sgherri emerge come il ministero si sia trovato in difficoltà a gestire questo processo di innovazione, poi ci sono stati più di trecento istituti magistrali che dovevano cambiare carattere e quindi il ministero ha sostenuto il cambiamento, ma lo ha anche controllato, impedendo innovazioni radicali. Passiamo ai contributi sostanziosi del curricolo. Il saggio di Marchetti e Stefanini racconta la storia dalla parte dei docenti per la costruzione della loro professionalità e questo è stato il senso credo anche di questo vostro incontro e della vostra organizzazione. Questo è un aspetto molto rilevante è l’idea costruttivistica della conoscenza, cioè che si fa con i propri pari e l’elaborazione di un asse culturale consapevole che dia all’indirizzo un’impostazione culturale forte che risponda alle molteplici istanze del mondo attuale.
Il secondo contributo, quello di Bettin, chiarisce la chiave interpretativa dell’indirizzo storico antroplogica e le scelte didattiche di conseguenza, sottolineando che l’antropologia ci insegna a riconfrontarci continuamente con i nostri preconcetti o con le nostre assunzioni implicite, c’è una critica sull’uso spregiudicato di certi testi, come la Mead, senza la necessaria riflessività anche sulle nostre operazioni di ricerca oltre che di didattica. L’indicazione che ci dà è l’analisi dei contesti, delle relazioni, delle interrelazioni, delle retroazioni come proposta da Edgar Morin.
Il contributo successivo è di Luigi Mantuano che sostiene innanzitutto la necessità di una teoria e di un ripensamento del curricolo che deve includere lo stage come componente formativa, allo scopo di decodificare la contemporaneità per cui la scuola è luogo di incontro e vitale anche per gli insegnanti. La proposta è quella di sostituire le categorie classiche delle scienze sociali con delle nuove forme di meticciato culturale, quella che lui chiama una pulsione di erranza osservabile sia nei movimenti migratori, sia nelle pratiche di organizzazione del lavoro e del tempo libero. Esaltare il nomadismo sociale in tutte le sue espressioni, la priorità della relazione educativa messa sullo stesso piano dello stage nelle scienze sociali. Si basa sulla magistrale definizione di Marcel De Certau che cos’è un seminario, rispettando ciò che non viene detto e ciò che vi succede all’insaputa. La rivista Achab lo ripropone, si trova in rete, fatta da un gruppo di studenti della Bicocca.
Si insiste sulla necessità del coniugare, pensare e fare e su dare spazio al locale, far vedere le storie per far capire. In questo volume specifico c’è un contributo di Paolo Cinque che fa capire la differenza tra lo stage e i tradizionali tirocini e nel rapporto scuola/lavoro.
Lo stage rinnova completamente il paradigma del liceo in generale e mi appare momento del centrale modello di scuola che si può ricavare da queste esperienze. Cinque sostiene che il lavoro sul territorio è il curricolo visto dall’altra parte, tradotto in una comunità di pratiche. Giacomo Camuri esplora nel suo saggio le conseguenze sul piano didattico di una pedagogia della complessità, il liceo come un meta laboratorio di metodi e pratiche che le scienze sociali hanno messo in atto. Si serve di Georges Perec e propone otto percorsi in diversi spazi: - lo spazio dell’inciampo, lo spazio dello sguardo, lo spazio della scrittura, lo spazio degli interstizi, lo spazio della parola, lo spazio del corpo, lo spazio della cultura, lo spazio della mente. È un’esposizione complessa, ma molto sollecitante. Camuri conclude alla Lacan dicendo che c’è una nuova nascita di individui disposti alla conoscenza.
La seconda parte del volume contiene una serie articolata di buone pratiche che presentano modalità coerenti e originali di realizzazioni curricolari. La distinzione delle due parti è un po’ strumentale, perché in realtà sono molto integrate.
Josette Clemenza – la città come aula, la città come testo, la città dei bisogni e anche dei bisogni sotterranei, e la città dei servizi. Un viaggio tra Messina e Firenze, fino a Valencia come città progettata, sempre con atteggiamento critico. Si conclude con l’elogio dell’incertezza per liberarci dall’ovvio.
Infine il contributo conclusivo dell’istituto Cobianchi di Verbania sulle pratiche e manutenzione del gruppo classe, come un’istanza forte a cui dedicare attenzione. I nuovi adolescenti che compongono le classi là dove si è costruita una magia didattica, con attività di formazione che coinvolge fortemente gli studenti.
Nuccia Farina affronta l’esperienza voluta e consapevole nell’isola di Pantelleria con un coinvolgimento da parte degli studenti nella realtà locale.
Fatai sulla percezione della matematica, molto attuale perché la nostra scuola allontana dalla matematica, mentre questa disciplina potrebbe essere molto divertente e trovo giusto che ne trattino i licei delle scienze sociali.
Sabbioni, Marchetti, Chieregato – Le scienze naturali come sapere integrato. Questo è il primo tipo di scuola nel quale potreste predicare qualche verbo, l’analogia tra scienze naturali e scienze sociali rende questo curricolo molto interessante. Si chiede un ruolo più importante anche orario per le scienze naturali. Concludo che questa lettura aiuta, dà contributi, ci fa capire che un buon insegnante è un buon ricercatore, è autonomo ma pubblico e verificabile come l’autonomia richiede.
Questa è condizione essenziale perché l’insegnante non è mai esecutore di ciò che viene dall’alto, ma progettatore libero e consapevole della sua attività educativa e didattica, solo così c’è educazione, lo so è molto più complesso così il ruolo dell’insegnante, un insegnante deve studiare, imparare, ma deve anche divertirsi, avere il gusto dell’insegnamento, diventare così insegnanti riflessivi e non le vestali della classe media.
Clotilde Pontecorvo