Passaggi propone il proprio modello di Fare scuola (Stancanelli)

Relazione finale di

Amelia Stancanelli (dir. scol. Liceo Ainis Messina)

 

 

E’ indispensabile una premessa, senza la quale il taglio di questo mio breve intervento non potrebbe essere correttamente inteso, perché molte cose sono cambiate in questo anno che ci separa dal seminario che abbiamo tenuto a Sezze.

E’ cambiato anzitutto lo scenario : ci è stato restituito il Ministero della Pubblica Istruzione; la riforma Moratti è stata - per quel che riguarda la scuola superiore - “congelata”. Le istanze che esprimevamo nel nostro documento conclusivo dell’ anno scorso dovevano essere - e sono state - riviste e ripensate alla luce di queste nuove e differenti realtà.

Siamo cambiati anche noi, ed in modo radicale : possiamo infatti a ragione sostenere di essere diventati soggetto “politico”. Questa è la sostanza più pregnante del nostro “farci rete”, realizzato - grazie alle possibilità aperte dal Decreto sull’ Autonomia Scolastica - dopo anni di gestazione di un movimento che è nato dal basso, sia pure sulla scorta dell’ esperienza proficua dei “poli” creati ed assistiti per i due anni 2000 e 2001 dal Ministero. E di ciò abbiamo avuto, in certo qual modo, una sanzione ufficiale : il 12 ottobre 2006 due esponenti della Rete (Luigi Mantuano ed io) siamo stati ricevuti in “Audizione informale” alla VII^ Commissione - Cultura - della Camera, presieduta dall’ on.le Pietro Folena, unitamente ai rappresentanti di una ventina circa di sindacati, associazioni e soggetti che a vario titolo si occupano di problemi della scuola, riguardo a possibili emendamenti da richiedere nell’ ambito della legge finanziaria. Malgrado le nostre richieste non abbiano avuto un seguito, e malgrado altre successive richieste di udienza non siano state - ancora - esitate, a nessuno può sfuggire l’ aspetto più significativo di questo fatto : la nostra Rete si è in tal modo accreditata, in una sede istituzionale, come interlocutore ufficiale. Cosa che, ci auguriamo possa ripetersi ogni qual vota sia necessario ascoltare la voce della scuola militante. E dunque oggi ci troviamo a ribadire molte cose a noi familiari, che hanno radici profonde, e sulle quali da più di un decennio riflettiamo con continuità e coerenza ma che sono da interpretare alla luce di uno spirito nuovo e in forza di questa nuova dimensione, non più solo culturale ma più che mai ed a buon diritto politica.

 

Amelia Stancanelli

 

 

Se siamo d’ accordo su tutto questo, vi invito a riflettere insieme, ed in modo problematico, sul titolo che mi è stato assegnato, e che ho colto come una sfida positiva: che cosa ci dà il diritto di proporre come “modello” il Liceo delle Scienze Sociali? Un Liceo, cioè, che - non dimentichiamolo - ufficialmente “non esiste” nel panorama italiano (che molti anni fa il CENSIS definì ben a ragione “la scuola del paradosso”), tant’è che l’ ultima proposta di riforma ha potuto tranquillamente e semplicemente non nominarlo neppure, e che rilascia ancora il Diploma Magistrale (cioè la certificazione di un indirizzo dichiarato estinto dal 1997)!. Non credo, malgrado tutto questo, che il nostro sia un peccato di presunzione; sono convinta, piuttosto, che siano i fatti ad averci “accreditato”, e le nostra “buone pratiche” a farci forti di questo diritto.

Partiamo, per fare chiarezza, dal confronto con un altro indirizzo di studi che ormai rientra in qualche modo nell’ ordinamento, e che forse potremmo considerare un nostro “fratello maggiore”, il Sociopsicopedagogico Brocca. L’ innovazione del Liceo delle Scienze Sociali parte già dal nome, dal suo porre in primo piano la pluralità di contro alla parcellizzazione. Il passaggio è dalla centralità delle discipline alla centralità del problema, ed è di enorme rilevanza per la sua ricaduta sul curricolo e sul metodo che si richiede perché esso venga tradotto in pratica operativa. In questo passaggio c’e anche però il rischio della polverizzazione, nel voler porgere orecchio alla molteplicità di istanze, suggestioni, proposte, che ci vengono dal contesto, riguardo le quali la flessibilità stessa dell’ indirizzo ci induce in tentazione. E’ da qui che emerge forte la necessità di fare un progetto di scuola, non una scuola di progetti. Progetto di scuola che può realizzarsi – e abbiamo finora realizzato – grazie anzitutto ad un forte asse culturale nel quale trovare sostanza e punti di riferimento certi. E, non di secondaria importanza, grazie al “pensare plurale” che si realizza solo con il coinvolgimento di tutto il Consiglio di classe.

Scriveva l’ anno scorso ad alcune di noi Lucia Marchetti, in una di quelle lettere che, grazie all’ elettronica, contribuiscono a tenere vivo il nostro legame, e che significativamente intitolava “Titanici ma concreti” : «Noi non abbiamo solo costruito insieme un indirizzo, abbiamo anche delineato e praticato un’idea e un modo nuovo di fare scuola. .... Ci sono alcuni punti fermi, strategici e imprescindibili che fanno la differenza fra una buona scuola e una cattiva scuola, perché – dobbiamo dirlo forte – questa scuola deve cambiare, ma deve cambiare nel profondo, pena una deriva ormai da tempo cominciata. ... Allora io comincio lanciando un sasso, la mia idea sarebbe di scrivere insieme una specie di Carta della scuola di pochi essenziali punti in cui noi ci riconosciamo .... I punti non sono in ordine di importanza e vanno tutti declinati:

  1. Autonomia e costruzione del curricolo
  2. Lavoro integrato tra docenti nel consiglio di classe
  3. Rivisitazione profonda dei saperi e insegnamento integrato
  4. Integrazione fra il dentro e il fuori (della scuola, della classe)
  5. Stage (secondo un modello a cui noi abbiamo molto lavorato di profonda integrazione fra pensare e fare)
  6. Attenzione alle relazionei educative
  7. Rapporto tra saperi e identita’ ...»

 

Declinare questi punti è appunto il lavoro che quotidianamente portiamo avanti nel nostro Liceo. Che è - malgrado tutto - ben altro che un fantasma, ma al contrario ha trovato grande riscontro negli interessi e nelle scelte dei giovani, perché, modellandosi sempre meglio, negli anni, sulle istanze della società, ha saputo dare ascolto alla pluralità delle culture e portare al suo interno il locale e il globale.

L’elemento di maggiore significatività del nostro percorso va visto non solo nel fatto di avere introdotto nella scuola gli studi sociali, praticamente assenti dal panorama scolastico italiano, ma di averlo fatto in un contesto di licealità, con lo scopo cioè non di fornire competenze professionali specifiche, bensì di dare ai giovani conoscenze e competenze adeguate ad una lettura critica della società complessa, per fornirli di una formazione flessibile, al passo con i tempi, che consenta loro l’inserimento in qualunque realtà di studio o di lavoro.

Questo nuovo modello trova i suoi punti di forza in alcuni elementi strategici insiti nel curricolo del Liceo delle Scienze Sociali :

  • le compresenze, che costituiscono un modello innovativo di lavoro tra docenti e consentono all’ allievo di verificare la pluralità del sapere e dei punti di vista delle discipline;
  • la progettazione integrata, un processo che non fa parte della tradizione scolastica italiana, ma è imposto dall’ oggetto stesso di studio dell’indirizzo di Scienze Sociali, la società contemporanea complessa. I docenti di questo indirizzo hanno dovuto imparare a realizzare la multidisciplinarità, procedendo per assestamenti successivi di confronto continuo tra pratica e riflessione, tra esperienza e approfondimento teorico, cosa che richiede una formazione continua ed un lento ‘apprendistato’ didattico;
  • lo stage formativo, che è parte integrante del curricolo e vi riveste un ruolo strategico. Esso si è imposto fin dall’inizio come un segmento imprescindibile, dotato di forte significatività, sia per l’oggetto di studio – la società contemporanea complessa - sia per la ‘famiglia occupazionale’ a cui è rivolto, cioè professioni che si occupano di cura o di organizzazione sociale in senso lato. Innestandosi in una esperienza liceale, lo stage formativo è cosa diversa dall’ alternanza scuola-lavoro, ma al contempo realizza tutti gli aspetti formativi ed esperienziali più significativi di un confronto interattivo con il territorio inteso nel senso più ampio. Esso infatti costituisce l’occasione principale per una riflessione sul mondo sociale esterno, una riflessione fra soggetti in formazione, esperti di diversi settori e docenti, fra le giovani generazioni e gli adulti competenti. Ha come strumento principale di ricerca l’osservazione partecipante, la progettualità, la reciprocità tra saperi ed esperienza. Consente agli alunni di mettersi alla prova in una situazione di rischio controllato e quindi di risolvere problemi autentici e non fittizi come sono spesso quelli scolastici. Porta a sintesi le operazioni costruite sui saperi, a cui aggiunge la dimensione pratico-operativa e mette in gioco le conoscenze nei più svariati settori della realtà sociale. Infine riguarda tutto il Consiglio di classe, e deve coinvolgere tutte le componenti della scuola.

 

“Nasce” in questo Liceo anche un nuovo modello di docente. Infatti la felice condizione del professionista riflessivo, che ogni sperimentazione esige, diventa la condizione stessa di vita per gli operatori delle Scienze Sociali. Un altro punto di forza di questa sperimentazione è rappresentato dal confronto fra docenti della scuola secondaria e docenti universitari, sollecitato dal Consiglio Italiano delle Scienze Sociali e perseguito anche dalla Rete che ne fa esplicita menzione nel proprio Statuto.

Non possiamo tuttavia nasconderci la difficoltà del lavoro degli operatori scolastici, il cui sforzo di autoformazione deve misurarsi con un contesto generale in cui è scarso l’interesse per gli studi sociali, considerati deboli e poco rilevanti sul piano scientifico, se non addirittura scomodi e dirompenti, e colmare, da un lato la disattenzione degli accademici e, dall’altro, i limiti della propria formazione universitaria, settoriale e disciplinare.

 

Non è certamente facile andare avanti sulla strada che abbiamo segnato.

Abbiamo visto in tutti questi anni come sia stato arduo mantenere i contatti, una volta venuti meno l’ input e il sostegno ministeriale. Eppure - magari perdendo per strada le frange più deboli, le realtà meno motivate e interessate - cocciutamente abbiamo perseguito il nostro scopo e siamo ancora qui, a guardare avanti. Il merito di avere potuto mantenere la circolazione delle idee e degli scambi tra noi si deve certamente in grandissima parte al sito dell’ Istituto “Manzoni” di Suzzara che ormai da tutti è considerato il sito ufficiale della rete, grazie soprattutto all’ infaticabile e pregevole lavoro di Alberto Facchini. Sentiamo però pressante l’ esigenza di potere gestire il sito in completa autonomia, e per questo abbiamo anche chiesto patrocinio e sostegno al Ministero, nello scorso mese di febbraio, senza peraltro avere a tutt’ oggi ricevuto alcuna risposta.

Il supporto dello spazio web e del sito si pongono come esigenza primaria, dal momento che il problema di “non perderci di vista” è basilare per la sopravvivenza della Rete. E’ importante inoltre che l’ iniziativa sia in ciascuno dei soggetti, al di là delle ovvie necessità di gestione e coordinamento affidate a pochi.

Altra fondamentale esigenza emersa in questi giorni di lavoro è quella di darci una autoregolamentazione che non mortifichi, ma al contrario valorizzi la ricchezza e molteplicità di espressioni nate dal lavoro all’ interno delle nostre scuole. Il nostro indirizzo infatti non può vedere venir meno in alcun modo la coerenza e la fedeltà all’ asse storico-antropologico che ne costituisce l’ ossatura, sulla base del documento nazionale, che tutti riconosciamo imprescindibile. E’ necessario, ancora e nuovamente, alla luce di tanti anni di lavoro, riflettere sui curricoli e sottoscrivere un patto formativo

che sia garanzia di traguardi comuni da raggiungere in termini di competenze e conoscenze per i nostri studenti.

Poiché siamo consapevoli - senza trionfalismi ma con la modesta certezza dell’ impegno profuso e dei risultati conseguiti - di avere costruito nella realtà italiana poli di eccellenza, il cui tesoro di esperienze non può e non deve andare disperso, è per noi indispensabile richiamare alcune irrinunciabili esigenze che abbiamo già avanzato nel nostro intervento alla VII^ Commissione, e che cercheremo di motivare nuovamente e sinteticamente, nella convinzione che siano più che mai attuali e pressanti :

1. Che venga dato un sostegno economico agli istituti che gestiscono le varie attività della Rete, così che possano essere nuovamente, e più incisivamente, centri propulsori della formazione e della ricerca. Ricordiamo che le sei scuole polo hanno avuto nei due anni citati una dotazione finanziaria di 50-60 milioni di lire ciascuna l’ anno, e che con questa cifra - certamente non ragguardevole - hanno organizzato capillarmente la formazione dei docenti in tutta Italia, da Imperia a Pantelleria. Ricordiamo ancora che quelle scuole hanno effettuato un monitoraggio dei curricoli delle scuole afferenti, cosa che oggi appare più opportuna e necessaria che mai, se è vero - come è vero - che si pone con forza il problema di “governare” l’ Autonomia in modo che sia strumento reale e coerente di libertà e non prenda la pericolosa deriva del disordine e dell’ anarchia.

Siamo consapevoli che la stagione dei “poli” è una esperienza conclusa, e tuttavia riteniamo che sia possibile individuare una strada nuova attraverso la quale riprendere il controllo dei processi. Sarebbe un grosso passo avanti nell’ intero panorama della scuola italiana, e non solo per il nostro Liceo.

2. Sulla scia di questa richiesta, forse utopica, ne avanziamo un’ altra non meno utopica ma non meno importante, e ugualmente riferibile alla scuola nel suo insieme : che venga reintrodotto l’ organico funzionale, ma con molta oculatezza, destinandolo a quelle scuole che si pongono come realtà “di servizio” per altri istituti, in modo che possano disporre di personale che presieda, con tempi di lavoro di un certo respiro, alla formazione dei docenti ed al coordinamento dell’ innovazione. Investire sulla formazione è infatti, come ben sappiamo, premessa indispensabile per ogni prospettiva di qualità.

In tema di formazione, inoltre ci pare sia giunto il momento di rivendicare alla Scuola un ruolo centrale nella formazione dei nuovi docenti, poiché riteniamo di poterla gestire insieme all’ università, e non certo, come avviene adesso, in posizione subalterna. Il lavoro di tante scuole che hanno saputo introdurre l’ innovazione e portarla avanti nella quotidianità va valorizzato e deve costituire risorsa per la comunità educante e per la società.

Riflettiamo, infine, sul problema da cui abbiamo preso le mosse: il modello del Liceo delle Scienze Sociali può essere generalizzabile nella realtà scolastica italiana? In altri termini, vogliamo rimanere sparuto drappello d’ èlite, o tentare di proporci come “laboratorio” di una scuola nuova e aderente ai tempi? Molti riscontri, e non solo la coscienza del lavoro svolto, ci dicono che questa seconda ipotesi è praticabile. Infatti la scuola che abbiamo creato - al di là delle specificità dei propri contenuti e delle proprie linee fondanti – risulta pienamente rispondente alle richieste non solo, come dicevamo, delle complessità e della globalizzazione, ma anche dai modelli di apprendimento che ormai, anche per l’ influsso dei molteplici agenti di formazione e delle nuove tecnologie, non sono più soltanto lineari, ma sequenziali e integrati. I punti di forza del nostro curricolo - compresenze, didattica integrata, stage formativo e confronto interattivo con il territorio - sono modelli di lavoro socializzabili come pilastri di una scuola di qualità.

 

Ma forse, a monte di – e malgrado - tutto quanto detto fin qui, siamo ancora al punto di dovere proclamare a gran voce il nostro diritto di esistere. Il ministro Fioroni ha dichiarato, per certi versi giustamente, che non vuole legare il proprio nome ad una “nuova” Riforma, perché troppe volte ambiziosi progetti sono miseramente naufragati. Ci auguriamo però che la “politica del cacciavite” non impedisca che si possano dare in tempi ragionevolmente brevi alla scuola superiore quelle risposte troppo lungamente attese. Una situazione di sperimentazione generalizzata che dura dal 1974 è decisamente eccessiva! Ci sono indirizzi – come il nostro, ma anche, per fare altri esempi, il Musicale, e, con qualche distinguo, il Linguistico – che forniscono un servizio insostituibile in rapporto ad alcune evidenti esigenza dell’ utenza e del mondo delle professioni, senza però vedere riconosciuta la legittimità di un titolo di studio congruente con i propri curricoli, perché non previsti “in ordinamento”.

Per quanto riguarda più da vicino il Liceo delle Scienze Sociali, auspichiamo una revisione di fondo di alcune linee di tendenza del precedente progetto “congelato” che per noi sono castranti e mortificanti. Auspichiamo che il progetto di scuola che abbiamo tracciato in anni di ricerca e lavoro, e che va a colmare un vuoto nel panorama della Scuola Italiana rispetto al panorama europeo venga inserito con la propria specificità ed identità nel contesto della Scuola Superiore, in modo da poter contare anche su una identità ed un riconoscimento sociale, superando questa immagine aleatoria e sfuggente che nei fatti il nostro indirizzo ancora mantiene nell’ immaginario dell’ utenza, al di là di ogni nostro impegno e fatica.

Auspichiamo ancora che nell’ individuazione dei diversi indirizzi liceali si vada alla definizione di obiettivi nazionali snelli ma densi e pregnanti, esaustivi ma non minuziosamente prescrittivi, e che questo compito venga affidato - di nuovo, e finalmente! - ad “addetti ai lavori”, primi tra tutti, naturalmente, gli operatori della scuola.

Pensiamo infine che “Passaggi” abbia oggi offerto le proprie credenziali per essere tra questi.

Grazie.

Amelia Stancanelli