Responsabilità e maestri (Enza Colatutto)

 di Enza Colatutto

 

Il tema della responsabilità mi affascina da tempo, ma è diventato punto di riferimento delle mie riflessioni, proprio da quando ho iniziato a insegnare nel curricolo delle scienze sociali.

Nel mio pensiero l’ho quasi sostituito con quello più freddo di professionalità, a cui pure riconosco molti meriti, e aggiungo nelle mie solitarie riflessioni il concetto complesso di maestro.

Vorrei seguire un percorso puramente didattico/disciplinare, ma non so se sono in grado di farlo, perché numerose sono le suggestioni e/o le interferenze che mi colgono, quando cerco di sistematizzare il mio fare scuola.

Il programma, da attuarsi in una classe delle scienze sociali, va costruito anno per anno, sia pur con quella forte quanto ovvia distinzione tra biennio e triennio, infatti anche nelle classi in cui meglio ti sembra di comprenderne la globalità, anzi proprio in quelle, è talvolta peggiore il rischio di semplificare o di farsi prendere da slanci di ottimismo. Ecco perché non è né semplice, né scontato, attuare un’attenta osservazione delle modalità con la quale gli studenti scelgono tra una conoscenza o un’altra o quando sembrano non scegliere mai, valutare i loro risultati, se non addirittura le loro sensibilità personali e di gruppo.

Nel curricolo delle scienze sociali ci muoviamo in base a dei macro obiettivi finali fissati nell’ambito della lettura della società e della capacità di relazionarsi anche in situazioni complesse, con l’uso di metodologie della ricerca specifiche, coerenti, scientifiche, all’interno di una contestualizzazione storico antropologica. Questo, nella profonda consapevolezza che il sapere non si misura in termini quantitativi e che ogni apprendimento modifica i soggetti attivi o passivi e l’apprendimento stesso.

 

 

 

Punti di snodo

 

Responsabilità - essere presenti, farsi carico dell’errore

Maestro – “Maestro è chi, arrivato prima, ci chiede di raggiungerlo anche se la via dobbiamo trovarla da noi[1] e ci aiuta a trovare la strada per continuare a cercare quello che è giusto.

Fare scuola – essere maestri “E come non si può fare i corazzieri se si è alti un metro e cinquanta, cominciamo a chiederci perché si può insegnare per il solo fatto di possedere una laurea, senza alcuna richiesta in ordine alla competenza psicologica, alla capacità di comunicazione, al carisma. Sì, proprio il carisma.” [2]

Essere lenti – il tempo dell’ascolto, il tempo per osservare, il tempo del fare e del non fare

Competenze – tutto quello che penso di poter essere capace di fare bene

Conoscenza di sé – non aver paura nel raccontare se stessi

Codici alfabetici – attraversare linguaggi, non temere la scrittura collettiva

Il pensiero – costruzione di una dimensione individuale e collettiva, un luogo dell’anima e/o un luogo del gruppo

La relazione – ritrovare il senso di comunità

 

Vorrei non abbandonarmi alla metafora del viaggio, ma continua a prendermi per mano, siamo troppo spesso viaggiatori in situazioni di fortuna, anche quando la navigazione sembra procedere sicura e spedita, è così che ho imparato a ricercare la realtà, ho compreso che la costruzione della mappa deve essere collettiva, che fondamentale è la relazione di fiducia, la nascita di reti di senso, le tappe intermedie hanno spesso il sapore della casualità, “il caso favorisce le menti già preparate” sentenzia Pascal nei suoi Pensieri.

La guida è il maestro? Qualcuno quindi che quel viaggio lo ha già compiuto, sia pure con diversi mezzi e strumenti, e ora può indicare la strada nei momenti di smarrimento, ma anche essere capace di mettere in ipotesi altre rotte, altre soste. Qualcuno che ci aiuti anche a essere lenti “.. perché andare a piedi è sfogliare il libro e invece correre è guardarne soltanto la copertina. Bisogna essere lenti, amare le soste per guardare il cammino fatto, sentire la stanchezza conquistare come una malinconia le membra, invidiare l’anarchia dolce di chi inventa di momento in momento la strada.” [3]

 

Se è vero che le competenze si costruiscono sulla base delle conoscenze e queste si valutano sul loro padroneggiamento, è altrettanto vero che la prima e indispensabile conoscenza di sé, ha per competenza applicata la capacità di raccontarsi, per dirla con Duccio Demetrio, “ ..la biografia è una faccenda seria, molto seria[4]

Il raccontarsi, dunque, come viaggio formativo, come avventura culturale e umana.

Attuare questo con un gruppo di adolescenti vuol dire essere disposti a viaggiare in universi astratti e lontani in quanto scarsamente verbalizzati, essere curiosi e interessati a tutte le esplorazioni, a tutte le domande, essere arditi.

Nella mia esperienza, in questo percorso si incontrano diversi livelli sia di narrazione, sia di conoscenza.

In un primo livello si afferma con evidenza che i rapporti tra noi stessi e gli altri e tra noi stessi e l’ambiente sono di assoluta incomprensione, gli eventi sono sbiaditi, superficiali, tutto è ricondotto al soggetto, per salvarlo si ama o si odia, quasi impossibile la rielaborazione. Soltanto in successivi livelli si analizzano i rapporti e le cause, si inizia a sperimentare, vorrei dire che si ha meno paura, si è più sicuri, ci si avvale dell’ esperienza, l’altro si può guardare, si può osservare, ci si avvicina al suo confine, ma essendo comunque ancora ben certi di non doverlo varcare.

 

La fase successiva è quella etica, di comprensione, qui si ha coscienza dell’incertezza, tanto è il lavoro quanto lontano è il risultato, si abbandona l’atteggiamento speculativo per appoggiare un pensiero in costruzione, fondato su modelli che sono da mettere in opera, “…il mondo umano messo ovunque a confronto con le incertezze, è trascinato in una nuova avventura… La conoscenza è dunque proprio un’avventura incerta, che comporta in se stessa e permanentemente il rischio di illusione e di errore.[5]

la sede di Puntafaro (ME) del convegnoComprendo ora, come solo a organizzarlo questo cammino appaia strampalato, si propone di andare non si sa dove, non si sa bene con quali mezzi, chiede di abbattere paure, pregiudizi, diffidenze senza indicare con sapienza come potranno essere sostituiti. La proposta che prende forma è di lavorare con un pensiero debole, associare la debolezza all’etica, anzi farne una forma di etica accanto alla dimensione della scelta e a quella della responsabilità.

Inventare comportamenti inadeguati a modelli inadeguati è diventata infatti la nostra paradossale situazione esistenziale, nell’attesa di poter sostituire nuove strutture e relazioni a quelle già superate.[6]

In questa fase la lettura e in generale l’uso di codici alfabetici è fondamentale:

Ad un certo punto della storia la gerarchia dei sensi fu infatti modificata dalla scoperta della scrittura – forse la prima vera rivoluzione cognitiva della storia … costituì una vera e propria svolta per la vita dell’intelligenza, che fu ricchissima di conseguenze … rese disponibile una sorta di straordinaria memoria, individuale e collettiva, in cui si poterono conservare informazioni che prima si dovevano conservare a mente.[7]

Si assiste all’integrazione di una precedente gerarchia dei sensi, importante per addentrarsi all’interno delle proprie conoscenze, ma che ora va superata in nome della elaborazione di un metodo, un processo cognitivo che possa orientare la ricerca e lo studio, inoltre l’esperienza acquisita e accertata entra di prepotenza nella relazione cognitiva.

 

La conoscenza, ci ricorda sempre Morin, deve essere costantemente rivisitata e riveduta dal pensiero, questa è la vera sfida, riappropriarsi del pensiero, quindi il viaggio ha ora una meta chiara, un porto al quale approdare.

In questo viaggio siamo stati costretti a ipotizzare ambienti, luoghi, eventi, atti, comportamenti, a considerare diverse dimensioni del tempo, il tempo delle cose, il tempo della vita, il tempo dell’anima, cioè il tempo cognitivo

Ciascuno di noi vive la sua vita, ha il suo corpo, i suoi ricordi, le sue inclinazioni, le sue conoscenze, i suoi affetti. Ciascuno di noi conferisce di volta in volta unicità a un certo numero di cose e a un certo numero di persone. Ciascuno di noi individua un suo mondo, un frammento di realtà sotto il cono di luce della sua attenzione. Il mio qui e ora è ciò che sta sotto il cono di luce della mia attenzione in questo istante, ed è unico [8].

 

Vorrei aggiungere un presupposto fondamentale appreso da Gregory Bateson:

la mappa non è il territorio e il nome non è la cosa designata [9], e se ancora qualcuno ha voglia di seguirmi in questo viaggio, appare in tutta la sua evidenza che qui più che una guida serve un maestro, cioè qualcuno che si faccia carico della visione completa del viaggio, dotato di intuizione, di immaginazione nella comprensione della realtà, che abbia voglia di rischiare, che sappia fare propria l’essenza del concetto di responsabilità dalla partenza all’arrivo, che sappia non perdere ciò che ha trovato e quello che ha incontrato e abbia memoria dei fallimenti ai quali si è andati incontro, delle perdite subite.

Un rapporto di fiducia? No, la parte essenziale della relazione è nella capacità di essere ascoltatori e osservatori, nella necessità di un rapporto empatico, unica chiave per essere con i viaggiatori.

 

Ecco perché rievoco il termine maestro, parola desueta, forse romantica, di de amicisiana memoria, non so, mi torna in mente un film “Essere e avere” di Nicolas Philibert, vi si narra dei giorni di una scolaresca e del loro maestro e dell'esistenza di una comunità, altra bellissima parola/contenitore, di un'umanità che attraversa le stagioni tra il lavoro e le piccole cose di tutti giorni, film che, come ha scritto recensendolo il quotidiano francese Liberation, è un elogio del lavoro di insegnante, un mestiere che, l’avevamo dimenticato, è il più bello del mondo.

 

 

 

Porti di approdo

 

 

Ci sono le emozioni e c’è il pensiero, c’è la vita emozionale c’è la vita della ragione; e solo nella misura in cui ci sia concordanza e conciliazione fra l’una categoria e l’altra è possibile avvicinarsi ai problemi conoscitivi ed esistenziali senza squilibri … Non c’è, così, alcuna conoscenza, alcuna esperienza, nella vita che non sia accompagnata da una tensione emozionale: premessa a ogni utilizzazione delle conoscenze acquisite razionalmente.

Eugenio Borgna, L’arcipelago delle emozioni.

 

 

… credere in un’unità biologica o culturale, o nella loro identità, definirsi come individui rispetto a se stessi, rispetto all’esperienza, in ognuno di questi casi operiamo una scelta etica. Ma la scelta che facciamo è legata intimamente alla nostra vita, alla nostra storia, alla nostra cultura, alla nostra esperienza: è dunque anche una scelta cognitiva. Uno dei momenti più pregnanti in cui questi due momenti, l’etico e il cognitivo, sono più che interconnessi è il momento della decisione.”

Donata Fabbri, Strategie del sapere (op. cit.)

 

 

Per dare una fisionomia familiare a ciò che familiare non è, è necessario mettere in moto i due meccanismi di un processo di pensiero basato sulla memoria e su risultati scontati. Il primo meccanismo si sforza di ancorare le idee insolite, di ridurle a categorie e immagini ordinarie, di porle in un contesto familiare… Scopo del secondo meccanismo è di oggettivare queste idee, cioè di trasformare qualcosa di astratto in qualcosa di quasi concreto, di tradurre ciò che è nella mente in qualcosa che esiste nel mondo fisico. … Dal momento che le rappresentazioni sono create da questi due meccanismi, è essenziale che ne comprendiamo il funzionamento."

Serge Moscovici, Le rappresentazioni sociali.

 

 

“Negli studi vengono sempre sviluppate le facoltà discorsive e rappresentative, mai la facoltà intuitiva. E tuttavia anche questa deve essere sviluppata”

Simon Weil, quaderni III

 

 

"Noi speriamo sempre e in ciascun momento della nostra vita. Ogni momento è un pensiero, e così ogni momento è in certo modo un atto di desiderio, e altresì un atto di speranza."

Giacomo Leopardi, Zibaldone.

 

"

Chi fa un ritratto, dipinge se stesso. L’importante, perciò, non è il modello ma il pittore, e il ritratto varrà solo quanto varrà il pittore, non un atomo di più."

Josè Saramago, Manuale di pittura e di calligrafia.

 

 

“Nel mio mondo, la parola compromesso è sinonimo di vita. E dove c’è vita ci sono compromessi. Il contrario di compromesso non è integrità e nemmeno idealismo e nemmeno determinazione o devozione. Il contrario di compromesso è fanatismo, morte. Sono sposato con la stessa donna da quarantadue anni: rivendico un briciolo di competenza, in fatto di compromessi”.

Amos Oz, Contro il fanatismo.

 

 

 

Infine:

La critica che faccio prima di tutto a me stessa, è che non sono riuscita a inserire la logica e la dimensione del lavoro collegiale, del consiglio di classe, e/o del dipartimento (nelle scuole in cui questi esistono, alla fine, sostituiscono gli incontri per materia!). E su questo non so rispondere, anche perché non riesco ad accettare mediazioni rispetto alla comprensione del tutto, mentre è ovvio che sia rispetto alle ore di compresenza, sia all’organizzazione dello stage e a quella delle attività comuni con appoggio esterno, lavoro con correttezza e serietà, cercando anche di contenere le ansie da prestazione che girano un po’ a tutti i livelli. Detto questo mi contraddico subito, perché non avrei mai messo nero su bianco queste riflessioni e quindi scritto questo intervento, se un collega prezioso non mi ci avesse quasi costretta e di questo lo ringrazio.

Enza Colatutto

 

 

 


Note

 

[1] Filippo La Porta, Maestri irregolari, Bollati Boringhieri, Torino 2007

[2] Umberto Galimberti, L’ospite inquietante, Feltrinelli editore, Milano 2007

[3] Franco Cassano, Il pensiero meridiano, Laterza, Roma-Bari 1996.

[4] Duccio Demetrio, Il gioco della vita, Guerini e Associati, Milano 1999.

[5] Edgar Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Cortina Editore, Milano 2001

[6] Donata Fabbri, Alberto Munari, Strategie del sapere, Dedalo Edizioni

[7] Raffaele Simone, La terza fase, Laterza, Roma-Bari 2000

[8] Edoardo Boncinelli, Tempo delle cose, tempo della vita, tempo dell’anima, Laterza, Roma-Bari 2006

[9] Gregory Bateson, Mente e natura, Adelphi, Milano 1984..