NELL'ABBRACCIO DELLA TERRA
Giacomo Camuri
(responsabile coordinamento didattico-scientifico Teatro Scuola)
Scavati lungo le pendici delle alture, sulle montagne dell'entroterra o sulle colline costiere che degradano al mare, gli antichi teatri attestano, nella forma architettonica delle cavee, una lunga storia spirituale concepita nell'abbraccio della Terra. Prevalentemente edificati in prossimità di luoghi dalle forti caratterizzazioni sacrali – basti pensare ai teatri di Dodona presso l'oracolo di Zeus, di Delfi sede delle profezie della Pizia, sacerdotessa di Apollo, di Epidauro centro di culto e di cura dedicato al dio della medicina Asclepio, o dell'isola per antonomasia sacra, di Delo – gli antichi teatri hanno dato di volta in volta voce, per le movenze e i canti dei cori e per le parole degli attori, ai misteri tremendi della Terra o alle disposizioni misericordiose e accoglienti di certi suoi ambienti capaci di lenire dolori e sofferenze.
Per migliaia di spettatori assiepati in occasioni di pellegrinaggi, di feste e di grandi giochi atletici gli spalti ricurvi degli antichi teatri hanno costituito per secoli la cornice ideale dell'incontro con la compagine unitaria di un mondo multiforme, cangiante, vivente. La Physis, la Natura di cui i primi filosofi della Ionia hanno indagato i principi, è apparsa verosimilmente tangibile rivelazione nel gioco geniale degli echi e dei riflessi creati nell'incavo degli edifici teatrali: là dove lo spazio centrico dell'orchestra, il focus convergente di tutti gli sguardi, segna, quasi bocca eruttiva di un vulcano, il varco che congiunge l'oscura e feconda nudità della Terra alle luci del sole e degli astri notturni, alla potenza dei venti e degli altri agenti atmosferici, alle fiamme delle fiaccole e dei fuochi rituali, alle acque che sgorgano o che corrono nelle vicinanze o ancora alle onde del mare che gli occhi lambiscono in lontananza
Ancor prima che Francesco d'Assisi, il giullare, sullo sfondo di una più che millenaria confessione di fede nel Creato, mettesse mano in modo mirabile alla tessitura del Cantico con quella laude a sora nostra matre Terra che “produce fructi con coloriti flori et herba”, la storia del Teatro più e più volte ha messo in scena la Terra, i suoi molti volti così ineludibilmente legati al destino degli uomini, alle loro identità culturali, alle storie dei loro spaesamenti e delle loro nostalgie.
Vi è una familiarità con la Terra, sora e matre, che ci costituisce e cresce con noi sin dalla prima infanzia in quei lembi di terra, i nostri paesaggi familiari, in cui, così scriveva il grande poeta friulano Andrea Zanzotto in un breve saggio del 2006 Il paesaggio come eros della terra, si incardina “la serie interminabile di tentativi (tattili, gestuali, visivi, olfattivi, fonatori...) compiuti dal piccolo d'uomo per giungere ad esperire le cose come si verificano”. Così Ernesto de Martino, il padre dell'antropologia italiana, non avrebbe potuto altrimenti annotare, diversi anni prima, negli scritti preparatori all'incompiuta La fine del mondo, a commento delle prime missioni spaziali che “anche gli astronauti, da quel che se ne dice, possono patire di angoscia quando viaggiano negli spazi, quando perdono nel silenzio cosmico il rapporto con quel campanile … che è il pianeta terra e il mondo degli uomini: e parlano, parlano senza interruzione con i terricoli, non soltanto per informarli del loro viaggio, ma per non perdere il senso della loro terra”. E di questo radicamento della parola nella Terra, così ben testimoniato dai significati che si raccolgono attorno alle idee di terra patria o di madre patria, è il Teatro primariamente simbolo con quell'incessante meditazione ora tragica ora lirica che le grandi opere dal mondo greco all'età romantica e via ancora presentano attorno all'umana esperienza dell'essere al mondo, in mondi che collassano allorché vengono meni i nessi con i suoli d'origine.
In un tempo così fortemente segnato dai drammi della perdita di terre patrie, dall'oblio del senso identitario di interi territori divenuti preda dell'abusivismo e del traffico illecito di rifiuti, ma nel contempo anche proiettato verso la riconquista di un rapporto filiale con il pianeta, si pensi a “Nutrire il pianeta” il tema stesso di EXPO 2015, il Teatro, vissuto nella sua dimensione propriamente antropologica e formativa, non può che far emergere la consapevolezza di una memoria che impegna tutti, attori seppur piccoli o adolescenti e pubblico, a gesti di responsabilità etica. Non è inutile a tal proposito tener ben presente che agli albori della storia d'Occidente la mitologia greca stabiliva la discendenza di Mnemosine, la Memoria madre delle Muse, da Gea, la Terra “dall'ampio seno, sede sicura, eterna, di tutti gli immortali che abitano le nevose vette d'Olimpo” (Esiodo, Teogonia, 116-8).