Ci sono ancora rimbrotti, accuse incrociate, giustificazioni, attenuanti prevalenti alle aggravanti per questo e per quello. Ognuno dal proprio casato avanza crediti, qualche debito, insomma chi più ne ha più ne metta per scrollarsi di dosso responsabilità e qualche esame di coscienza. Il caso del carcere Beccaria, dei minori evasi, tiene banco ancora, serve a fare man bassa di rivendicazioni e di richieste moltiplicate per non si sa quanto tempo.
A spron battuto con le telecamere, con i caratteri cubitali, le interviste roboanti, a specialisti, esperti, ciascuno con le proprie medagliette appuntate sul petto, per assolvere o per condannare senza indugi o ulteriori necessarie domande. C’è addirittura chi si augura che questa vicenda possa dare: “uno scossone al ministero della Giustizia per mettere a fuoco il collasso del carcere in questione, una struttura dove manca un direttore da 20 anni e dove ci sono lavori in corso da 16, dove non ci sono operatori in numero adeguato, competenti e soprattutto che siano capaci di lavorare in equipe”. In questi giorni s’è girato materiale sufficiente a girare un gran bel film, s’è inscenata una sorta di cassa di risonanza all’ennesima potenza per inasprire le pene, per nascondere sotto le brande arrugginite ogni responsabilità, per inquadrare i detenuti adolescenti brutti e cattivi. Eppure lo sappiamo bene che i giovani è vero che a volte fanno del male, ma sognano di fare del bene. Invece per un’altra drammatica realtà, per una vera e propria carneficina, per un ammutolito e costante ammazzamento dietro le sbarre, neppure una parola, neanche una alzata di sopra ciglia, figuriamoci la compassione di una parola con il suo significato specifico, che non è riconducibile alla solita tiritera del personale in sotto numero, alle diverse attività scolastiche e di formazione che saltano, come quei percorsi finalizzati al riscatto sociale una volta fuori.
Dall’inizio dell’anno OTTANTATRE suicidi con quello di ieri l’altro. Per lo più giovani, ragazzi che hanno pochissime risorse personali su cui contare, quindi possibilità di fare delle scelte consone, cui nessuno si occupa fattivamente di insegnare “con il proprio esempio”, che la stessa libertà che prima o poi interverrà, altro non è che una vera e propria assunzione di responsabilità. Per dare ragione a chi non ne ha, qualcuno si ingegna a disegnare una sintesi in cui si legge che sono in aumento le violenze, le sommosse, le aggressioni, non certamente i suicidi, la disperazione lasciata a briglia sciolta, la malattia fisica e mentale, nonché l’ingiustizia e illegalità.
C’è omertà, neppure tanto celata, sul “sostanziale disinteresse della politica e dei governi che si succedono alle vicende penitenziarie”. Spogliando questa informazione artefatta e a dir poco derelitta dalla sua ineffabile e colpevole ipocrisia, c’è l’urgenza di intervenire sulle ideologie e le inculture create ad arte dentro il carcere, affinchè alla fatica di una irrinunciabile rieducazione e riparazione, non si prediliga la più feroce indifferenza sulla miserabilità di chi colpevole o innocente è costretto a sopravvivere dentro una cella.