Documento sulla "Buona Scuola", il piano che il Governo Renzi offre come proposta di riforma della scuola.
È sicuramente apprezzabile l’attenzione che il documento sulla Buona Scuola riserva alla formazione dei docenti. Ne mettiamo in rilievo i punti a nostro avviso più significativi.
- Si individuano i limiti emersi nella formazione dei docenti:
- Inadeguatezza degli attuali percorsi di studio per la preparazione dei docenti;
- Frontalità – troppo spesso i corsi di aggiornamento consistono in lezioni frontali e quindi in una comunicazione “a senso unico”;
- Inefficacia – difficile se non impossibile verificarne la ricaduta sulla didattica; peraltro essa è determinata anche dalla standardizzazione dei “pacchetti formativi”;
- Scarsa partecipazione – il contesto descritto non incoraggia i docenti a partecipare, perciò l’aggiornamento è troppo spesso vissuto come obbligo burocratico e pertanto poco o niente “appetibile”;
- Interruzione della continuità didattica – per la necessità di ricorrere a supplenze brevi per coprire le assenze necessitate
- Si enunciano alcune linee programmatiche da seguire:
- necessità di un solido sistema di preparazione e sviluppo professionale;
- creazione di un gruppo di lavoro con il compito di formulare il quadro italiano di competenze dei docenti nei diversi stadi della loro carriera;
- necessità che i docenti fruiscano di una formazione costante;
- individuazione della formazione come strumento qualificante per la professionalità dei docenti
- necessità di rendere obbligatoria la formazione in servizio, aggiornandone lo scopo e quindi i contenuti.
- Si stabiliscono quattro elementi fondamentali per la nuova formazione:
- centralità dei docenti, che divengono protagonisti della propria formazione;
- valorizzazione delle associazioni professionali dei docenti;
- centralità delle reti di scuole come centri di ricerca per l’innovazione continua;
- vincolo dei fondi per il miglioramento dell’offerta formativa all’innovazione didattica e alla capacità di miglioramento.
A fronte di tutto questo, che va colto sicuramente come un segnale di attenzione nuovo e fortemente positivo, ma che rimane per il momento una dichiarazione d’intenti che attende ben più precise e circostanziate traduzioni operative, rileviamo alcuni che potrebbero essere punti di forza, ma che rischiano di divenire invece punti di debolezza e di rendere fragile l’intera impalcatura del sistema formativo così come qui ipotizzato sia pure per grandi linee.
I limiti segnalati nell’attuale sistema di formazione dei docenti sono pienamente condivisibili, ma la realtà non è né sempre né dappertutto così brutta come la si dipinge; scuole - singole o in rete - enti e associazioni professionali serie e qualificate da tempo diffondono modelli diversi, eminentemente laboratoriali, e si preoccupano della verifica dell’efficacia e delle ricadute sulla didattica. Ciò va osservato non per sminuire la critica laddove essa è legittima, bensì per sottolineare che non siamo comunque all’anno zero, e che occorre monitorare le realtà positive, valorizzarle e farne tesoro per gli aggiustamenti futuri.
Quanto al fatto che il docente in formazione debba allontanarsi dalla quotidianità della scuola ed essere sostituito, non crediamo possa davvero costituire un problema, dato che si può ovviare con forme di flessibilità didattica, programmazione plurisettimanale ed altre strategie già previste dalla normativa senza danno alla continuità e per gli allievi. Peraltro l’introduzione dell’organico funzionale agevolerebbe ancor più queste possibilità. D’altronde quali alternative si prospettano? Certamente sarebbero auspicabili (ma davvero troppo utopistici) periodi “sabbatici” più o meno lunghi da dedicare all’aggiornamento e alla ricerca, ma non crediamo che sia questa la strada che si vuole percorrere. Traspare dall’intero contesto, piuttosto, l’idea che la formazione si debba “aggiungere” senza soluzione di continuità al carico degli obblighi quotidiani del docente, che - malgrado gli stereotipi duri a morire nell’immaginario collettivo - non sono né pochi né lievi. Bisogna allora distinguere tra i due aspetti concomitanti che concorrono alla formazione : da un lato il lavoro d’aula concepito come sperimentazione, ricerca, laboratorio esperienziale di buone pratiche; dall’altro le necessarie pause di riflessione, approfondimento, rielaborazione, studio e confronto. Ciascuno di essi sarebbe monco senza l’altro!
E veniamo alle linee programmatiche enunciate nel documento.
L’individuazione della formazione continua come diritto-dovere degli operatori scolastici è presente da tempo nei contratti della scuola, e c’è stata anche una stagione contrattuale in cui essa era resa obbligatoria e premiata con riconoscimenti e crediti. Tuttavia senza una definizione chiara e circostanziata dei termini e delle condizioni nonché della necessità di una coerenza rigorosa nel sistema si rischia ancora una volta di vanificare ogni sforzo in questa direzione incentivando una “corsa al bollino” e all’attestato comunque sia, che rinforzerebbe, anziché annullare, la sensazione di trovarsi di fronte ad un ulteriore adempimento burocratico e quindi la sua inefficacia.
Rispetto alla prospettiva di formulare il quadro delle competenze dei docenti, vorremmo fare alcune sottolineature. Nel contesto attuale la scuola deve necessariamente educare a leggere e comprendere la realtà complessa: nella prassi educativa la complessità va declinata in termini di competenze, pratiche, saperi essenziali. La "buona scuola" è pertanto quella che si preoccupa di integrare i saperi: in quest'ottica la formazione dei docenti deve puntare su competenze trasversali innestate su una solida base di saperi professionali forti e coniugate in termini di approcci multiprospettici che agevolino la possibilità di lavorare in team per una progettazione didattica coerentemente condivisa nei Consigli di classe. In concreto, va sottolineato che la formazione iniziale e in servizio ha il compito di riconoscere dignità e dare equilibrio e interconnessione ai percorsi culturali e disciplinari che i docenti hanno cumulato negli anni (abilitazioni plurime, concorsi, specializzazioni, master...). Competenze pedagogiche, competenze disciplinari, competenze trasversali e competenze relazionali potranno in tal modo armonizzarsi nella figura del docente "efficace" che la buona scuola si aspetta.
Guardiamo infine agli elementi fondamentali che si stabiliscono per la nuova formazione.
Ci lascia molto perplessi, invero, il ruolo cruciale che si assegna ai cosiddetti “innovatori naturali”. Benché ciò fotografi una realtà che sicuramente esiste – e proprio le Associazioni Professionali ne costituiscono la palese testimonianza - è necessario un grandissimo equilibrio all’interno delle scuole per evitare di farne un trampolino di lancio delle inevitabili “mosche cocchiere” sempre tristemente in agguato anche nella migliore delle realtà!
D’altra parte il sistema dei crediti per l’avanzamento di carriera, così come ipotizzato nel documento, per sovrappiù con una limitazione entro quote percentuali, rischia di creare nelle scuole una conflittualità permanente con effetti altamente negativi e controproducenti. Pertanto ogni provvedimento in questa direzione va attentamente vagliato e discusso con tutti gli “attori” chiamati in causa ed agganciato a dinamiche di processi trasparenti, certificabili e certificati. Né va sottovalutato il pericolo dello svilimento di una formazione vista come strumento per la progressione di carriera, piuttosto che vissuta come stimolo continuo al miglioramento e alla ricerca di una sempre maggiore efficacia didattica, nonché di arricchimento culturale e professionale. E inoltre, l’introduzione del sistema dei crediti per l’aggiornamento non è pensabile senza un rapporto articolato con le università che rimangono il principale luogo della formazione. Malgrado il persistere in esse di una forte autoreferenzialità, sono tuttavia tanti gli esempi di una feconda collaborazione con scuole, enti e associazioni, su percorsi didattici concreti, condivisibili e condivisi. Il Governo vorrà introdurre e incoraggiare percorsi di formazione-azione misti tra scuole ed università?
Siamo anche noi fermamente convinti che “un docente è il formatore più credibile per un altro docente”, tanto più che l’università troppo spesso si è rivelata distante e totalmente estranea alle problematiche della didattica, tranne le lodevoli eccezioni cui abbiamo fatto riferimento, non però ancora così diffuse come vorremmo. Altrettanto ci convincono l’asserzione e l’auspicio che le reti di scuole si rendano protagoniste di ricerca e innovazione continua.
Dietro queste lodevoli enunciazioni di principio cogliamo però in agguato il rischio – non certo tanto peregrino – che esse costituiscano la premessa di un assoluto scarico di responsabilità da parte dell’Amministrazione centrale e di una conseguente legittimazione per un ulteriore disastroso taglio delle già magrissime risorse a disposizione delle scuole e degli Enti per la formazione. L’Autonomia è cosa lodevole, ed è stata fortemente auspicata, voluta e difesa dal mondo della scuola, ma essa non può essere ancora una volta la “foglia di fico” dietro la quale si nascondono il taglio dei finanziamenti e la spinta verso il ricorso al privato!
Rispetto alla dichiarata volontà di valorizzazione delle associazioni professionali dei docenti, non possiamo non condividerne lo spirito, e con evidente soddisfazione, ma sottolineiamo l’importanza che la progettualità anche per loro sia premiata con la possibilità di attingere a finanziamenti certi ancorché costantemente monitorati. Sicuramente le Associazioni qualificate per la formazione del personale della scuola potranno in tal modo essere parte di quel “sostegno continuo” di cui le scuole necessitano e punti di riferimento per le reti di scuole nel loro impegno di miglioramento e innovazione della didattica.
Ma anche su questo versante c’è un rischio in agguato: è da evitare la giungla degli enti che si propongono per la certificazione dei crediti formativi così come – si è detto - l’accademismo universitario svincolato dalle pratiche didattiche. Le associazioni disciplinari e le reti di scuole potrebbero essere i mezzi privilegiati per farlo: il Governo ha intenzione di coinvolgerle in quanto soggetti principali della formazione e dell’innovazione didattica?
A margine, pur se esula dal tema fin qui sviluppato, è imprescindibile per noi, quali componenti della Società per lo studio e la Ricerca delle Scienze Umane e Sociali, lamentare l’assoluta assenza di un riferimento alla necessità di valorizzare, accanto alle discipline economiche all’interno del percorso dei licei, le Scienze Umane e Sociali che concorrono con quelle alla lettura ed alla comprensione della realtà odierna, complessa, globalizzata, multiculturale.
Importanti documenti europei e internazionali ne esaltano importanza e la necessità; ci piacerebbe che anche la scuola italiana vi riservasse il posto che loro compete.