Una sparatoria, un uomo abbattuto, un’esecuzione in piena regola. Eppure la regola è infranta, le regole non sono più santificate né rispettate.
La scena è da film d’azione, una sorta di Gomorra live, dove si parla di guaglioncelli, di ragazzini sparatori, di minori tutto fare, eppure anche qui qualcosa non sta al suo posto, le parole e i copioni sono argutamente imbellettati per meglio affascinare, invece, i fatti diversamente sono imbrattati di vergogna, del sangue della vergogna. Mentre si rincorre il nemico, la canna della pistola evidentemente non sta ferma, la mano trema, le dita friggono, i colpi vanno all’impazzata, talmente a destra e a manca, che una bimba, sì, una bimba, rimane distesa sul selciato.
E cosa fa il nostro guerriero di turno? La scavalca e continua la sua mattanza, la scavalca infischiandosene bellamente di quella bimba innocente a terra. Qui non si tratta di film, di copioni, di parti da recitare da adolescente difficile, a giovane trasgressivo, per significare che quando non si possiede capacità di subordinare qualche passione a qualche regola, ciò trascina spesso nella devianza, nella criminalità, nel gioco della prepotenza e dei soprusi, dell’indifferenza alle vittime innocenti, che spesso, sempre più spesso rimangono senza giustizia.
Accadimenti come questo non debbono consentire giustificazioni, né attenuanti, tanto meno silenzi dettati dalla paura, fatti come questi impongono una presa di coscienza senza se e senza ma, ben oltre le marce dell’ indignazione, c’è necessità di invadere ogni metro di territorio imbizzarrito, ogni centimetro di mascherata inadeguatezza, ogni luogo e ogni spazio di ingannevole fortezza del potere. C’è necessità di ribaltare il punto di contatto tra passato e presente, per non rimanere ancora prostrati e quindi assenti nei modelli di riferimento certi, perché autorevoli, e dunque accreditati di autorità acquisita sul campo. Criminalità organizzata, crimine, reato, no, qui c’è di più e c’è di peggio, perché quando s’ammazzano i bambini innocenti, non esistono più paletti né limiti a tutela di chicchessia, neppure leggi appropriate a confortare sotto il peso della tragedia.
Questa è una vera e propria urgenza educativa rivolta alla collettività, a coloro che sono società, a quanti accettando di fare un passo in mezzo, là, dove infuria la tempesta, possono spostare le assi di coordinamento comportamentale di ognuno e di ciascuno, non sottraendosi al rispetto dell’altro, educare a non rubare la dignità dall’altro, per non confermare quotidianamente l’incontro consapevole con i vicoli ciechi, l’impatto inconsapevole con la violenza della strada, il suo corollario di falsi miti. Una bimba è rimasta scomposta sulla strada, prossimità del dolore più atroce, del dolore più ingiusto, del dolore più inaccettabile, una bimba innocente, colpita, scavalcata, lasciata a morire come Cristo in croce.
Forse anche questa amara riflessione non eleverà il grado di civiltà necessario per migliorare lo stato delle cose, ma forse aiuterà qualcuno a non ingrossare le fila di una certa indifferenza sociale.