JOSEPH CON GLI OCCHI RIVERSATI ALL’INDIETRO

 

bimbo profugo

 

A volte penso a come la politica sia davvero poca cosa di fronte alle sciagure più indicibili, ben poca cosa per il suo silenzio e per le parole d’accatto usate per non dire niente. Uomini che guardano ma non vedono, ascoltano ma non sentono straziante il dolore degli altri. Tanti uomini che a giro corto se ne stanno da un’altra parte, dove non c’è rischio di sbattere sull’ostacolo improvviso di un fagottino di pochi chili, un bimbo di pochi mesi soffocato e fradicio di abbandono, con gli occhi riversati all’indietro.

Mare e migranti tra urto e fastidio, mare e disumana accettazione dell’assenza, mare che non ha più tuono da restituire all’ingiustizia, soltanto altro silenzio. Noi possiamo fare speculazioni politiche o filosofiche, senza avere timore delle ritrattazioni, degli attacchi e dei rinculi della storia che sovente prendiamo a calci nel deretano. Possiamo addirittura convincerci di non rimanere invischiati da una certa indifferenza che sta facendo più vittime della pandemia. Possiamo fare gli estremisti realisti di quella casacca o di quell’altra, possiamo indossare i colori sgargianti della retorica, possiamo fare i santi e i diavoli a seconda degli interessi che premono alle porte. Addirittura potremmo fare tante altre e diverse cose di fronte a una creatura annegata per la nostra incuria, la nostra disabitudine a fare seguire alle parole i fatti, per la nostra incapacità di fare veramente qualcosa di importante per un moto di compassione, per un principio inalienabile di umanità, per quell’amore nei riguardi di tutti i bambini.

Quei bambini che non sono migranti, non sono extracomunitari, non sono delinquenti in trasferta, non sono muscoli per il mercato della carne. Invece non facciamo niente, peggio, non intendiamo proprio vedere a un palmo dal nostro naso. Sono bambini, sono innocenti, sono quella parte di noi che mai dovrebbe fare i conti con la nostra furba vigliaccheria e crudeltà nei riguardi dei soliti altri. I soliti altri, anche dei più piccoli, quelli che durante le famose guerre giuste e necessarie sono i primi a rimetterci la vita.

Quando penso alle tante discussioni sullo straniero, su quelli che hanno la pelle nera, su quanti vengono da noi a rompere le scatole, penso con la stessa intensità che correrebbe l’obbligo di non fare politica sulla pelle di un bimbo di pochi mesi, un bimbo raccattato e ricomposto alla bell’e meglio per non dover farci i conti per davvero.

Quando penso a Joseph nell’imminenza del Natale, penso a mia figlia che prepara il presepio, l’albero, penso al Bambino Gesù che nasce, penso a come i bambini e le loro madri non dovrebbero mai ricevere il diniego della perdita-assenza più grande.