IL CAPPIO DELL’INGIUSTIZIA

 

Tu pensi che in carcere si va per scontare la pena che ti è stata inflitta a causa dei tuoi comportamenti sbagliati. Invece non è così, ne sconti una più del dovuto, ne sconti un’altra che non è contemplata in alcuna riforma penitenziaria, in alcun codice penale, in alcuna costituzione. La pena è una cosa, l’ingiustizia, l’illegalità, la violenza sono ben altre aggravanti che nessun carta magna contempla. Ci sono menzogne, negazioni improponibili, giustificazioni, accuse, rivendicazioni, ognuno coinvolto in questa prassi del fare di conto disordinato di suicidi, di assenze e carenze di dignità, tenta con ogni mezzo di tirarsene fuori. La conferenza dei Garanti territoriali delle persone private della libertà, parla di un dato impressionante, il numero di morti ammazzati più alto di sempre, 80, è l’indice di una generale mancanza di speranza nelle nostre carceri.

Eppure la sintesi sbrigativa di una eventuale indagine conoscitiva, parla di strutture obsolete, di organico sottonumero, sempre e comunque di numeri si parla, si, di numeri, di cose, di oggetti. Mai di persone. Ognuno a dire e disfare di pena certa, di galere che vedono uscire chiunque in un batter d’occhio, e per questo di giustizia a tutto tondo offesa e umiliata. Eppure in carcere ci si va e come, anche per una banalità, ci si rimane per decenni, oppure si “esce” prima con le gambe in avanti, con un cappio al collo, sotto un carico insopportabile di sofferenza e indifferenza. Ma la verità quella che non si deve dire, continuiamo a metterla di traverso, persistiamo a colorare di giustificazioni una incultura che ormai ha travolto e sconvolto gli istituti penitenziari, non si tratta più della solita eccezionalità, casualità, dei soliti eventi critici con cui si licenzia il malcapitato di turno. Quell’incultura che ha ormai messo radice profonda, che autorizza ogni insubordinazione della coscienza, che mette al primo posto di ogni dis-valore l’indifferenza, non è la risultanza di una impossibilità a rispettare le norme, le regole, che impongono a ognuno e ciascuno il rispetto della dignità delle persone, il rispetto del valore della vita umana, anche quando queste esistenze sono detenute.

Inoltre se non si affrontano le questioni legate alla tossicodipendenza, al bacino di utenza detenuta borderline, se non da doppia diagnosi, con persone che dovrebbero trovare una soluzione diversa dal carcere, si continuerà a parlarci addosso. Ottanta suicidi da gennaio di quest’anno, ottanta persone morte ammazzate, ottanta cadaveri tra giovani, adulti, anziani, ottanta esseri umani cancellati sommariamente più ancora della loro colpa da espiare con una qualche possibilità di essere trattati in quella umanità che dovrebbe contraddistinguere il dettato costituzionale della rieducazione. La tendenza sta non soltanto nel restringere spazi e diritti dei detenuti, ma pure a togliere il dovere di ogni cittadino detenuto a fare ricorso a tutte le proprie energie interiori per affrontare il cambiamento, l’esigenza di appropriarsi di una vista prospettica improntata soprattutto alla riparazione e al rispetto di se stessi e degli altri.