Ci risiamo un’altra volta, due morti ammazzati in sequenza irraccontabile, uno dietro l’altro senza nessuna pietà, peggio, senza alcuna compassione, soltanto abbondanza di indifferenza. Mese di giugno e siamo già a 36 evasioni del tutto prevedibili, evasioni con i piedi in avanti in bella mostra, suicidi annunciati giorno dopo giorno, percentuali di vite al macero che divengono dati esponenziali, eppure hanno il valore di seconda mano delle cose, degli oggetti, dei numeri spogliati di sostanza e di significato. Il carcere, l’Istituzione, ultima diga eretta a salvaguardia della collettività, il reato entra con la persona, sappiamo perfino il colore delle mutande che porta quel recluso, siamo inondati dalle informazioni, dalla comunicazione, attraverso la messaggistica istantanea, i social, la rete, ma mai, mai, mai una sola volta, che ci venga fatto sapere, che ci venga detto, senza l’uso smodato dell’ipocrisia e non poca omertà d’accatto, non tanto chi esce da una galera, ma “cosa” ritorna in seno al consorzio civile. Altre due vite tranciate dalla disperazione, ben sapendo l’Istituzione penitenziaria: chi è disperato è colui che non ha più la parvenza di una speranza. Un uomo strozzato in gola, una donna per giunta la seconda nell’identico Istituto, lasciata lì scomposta e silenziata. Miriadi di sguardi scandalizzati, di oratorie dispiaciute, da destra e sinistra, passando per il centro, ognuno e ciascuno a puntare il dito, a sgomitare l’altro, a fare delle parole mura ancora più alte di quelle di una prigione. Mentre la politica subisce le scosse telluriche degli slanci e dei rinculi, dei proclami che sbrigativamente rimuovono la vergogna urticante, ma non risolvono le responsabilità per avere ridotto il carcere a questa lucida follia. Tra i detriti ecco avanzare le attenuanti, le giustificazioni, le autoassoluzioni. Tutto ciò accade perché la sanità penitenziaria è allo stremo, eppure da molti anni e da molte centinaia di morti ammazzati, è risaputo che c’è un bacino assai corposo di detenuti in preda a una vera e propria doppia diagnosi, detenuti giovani con serie patologie borderline. Mancanza di personale qualcuno s’affretta a gridare, mentre qualcun altro sollecita invece un ripensamento culturale che coinvolga l’intero arco costituzionale, la piramide dirigenziale, perchè non è più accettabile sopravvivere tra violenze, ingiustizie e illegalità. Ciò che colpisce maggiormente in questa reiterata e irresponsabile partita allo scarica barile, non è soltanto la persona, quella “cosa” che si stringe il cappio al collo, di per se evento drammatico, ma il constatare che il vero protagonista, il più feroce a dettare legge nell’intero pianeta carcerario è l’indifferenza.