Stamattina ho assistito a uno scambio ravvicinato tra giovani poco avvezzi al rispetto di se stessi figuriamoci degli altri. Hanno preso in mezzo un ragazzetto più giovane e lo hanno spintonato senza tanti complimenti. Lo sfigato, così lo chiamavano, sfigato, sfigato, non ha reagito né detto niente, ero combattuto se intervenire subito o lasciare fare per vedere fin dove si sarebbero spinti. E’ arrivato il pullman, tutto è finito lì.
Stavolta la noia, l’incapacità a rimanere fermi, la dimenticanza dell’educazione, non ha prodotto ulteriori sofferenze, ma ho ripensato alle bravate in strada, alle nocche infrante sui denti, alle classi con poche matite, ma abbondanza di coltelli, qualche pistola, tante offese e umiliazioni. In questi casi c’è uno spreco di spiegazioni sulla diseducazione emotiva derivante da una collettività in crisi, della scuola e della famiglia in rotta di collisione con la fatica delle responsabilità. In televisione un esperto narrava con non poca stizza, come i giovani una volta colti sul fatto dell’ennesimo misfatto, rimangano interdetti per il giudizio che ricevono. Come se non gli appartenesse il dovere di una revisione critica per quanto agito. Certamente ci sono le risposte dentro i disturbi di personalità, nella fragilità che diventa patologica, le trasgressioni che vengono interpretate come percorsi sgrammaticati di una devianza che di fatto è già uso dello strumento della violenza.
I giovani non sono tutti uguali, non sono fatti in serie, verissimo, ma intere tribù usano gli stessi totem, le stesse abbreviazioni esistenziali, senza chiedersi un accidente dell’eventuale risultato finale, attraverso posture comportamentali all'insegna del pugno serrato a forza, nelle prevaricazioni, piuttosto che nelle relazioni da costruire e mantenere, tutto ciò è interpretato illusoriamente come una forma di autoprotezione contro la propria fragilità, insicurezza e incapacità a elaborare qualche metro di vista prospettica. Ripensando a stamattina, a quanto stava prendendo forma nella frazione di uno sparo, la vittima designata, il prepotente, gli accoliti, la platea plaudente, una sorta di fotogramma a comunicazione istantanea, nel tragitto assai breve che esclude e calpesta qualsiasi negoziato con l’altro, come se non esistesse l’altro, un vero e proprio licenziamento in tronco dell’interlocutore.
Con le gambe larghe e il petto in fuori resta in bella evidenza l’imitazione e il mito della forza per accorciare le distanze, disconoscendo il rispetto delle regole, ma così facendo, certo, soltanto a volte, accade che venga meno il valore stesso della vita umana.