Bari, 21 dicembre 1975
Consiglio Regionale della Puglia
Intervento di Aldo Moro Presidente del Consiglio dei Ministri in occasione del Trentennale della Resistenza.
Celebriamo oggi, ad iniziativa del Consiglio Regionale Pugliese che io ringrazio per la sensibilità politica dimostrata anche in questa circostanza e per il cortese invito rivoltomi, il trentennale della Resistenza, della fine dell'occupazione straniera e della riconquista della libertà. Il Paese nel corso dell'anno si è più volte soffermato su questi eventi gloriosi, rileggendo, con attenzione ed amore, una delle pagine fondamentali della sua storia. Ed io voglio unirmi da Bari all'atto di omaggio, nel ricordo dei grandi sacrifici, delle altissime prove di abnegazione, dell'eroismo che fu dei singoli come di intere comunità. L'Italia rivive così una drammatica, ma esaltante esperienza ed approfondisce la sua identità nazionale. Quella identità nazionale appunto che si rivela in momenti di svolta, destinati ad esercitare una decisiva influenza nella storia dei popoli. La Resistenza fu uno di questi momenti.
Ad essa facciamo riferimento. Ad essa ci rivolgiamo come al luminoso passato, sul quale è fondato il nostro presente ed il nostro avvenire. La Resistenza fu lo scatto ribelle di un popolo oppresso teso alla conquista della sua libertà. Ma essa non fu solo un moto patriottico-militare contro l'occupante tedesco destinato, perciò, ad esaurirsi con la fine del conflitto mondiale. La Resistenza viene da lontano e va lontano. Affonda le sue radici nella storia del nostro Stato risorgimentale. È destinata a caratterizzare l'epoca della rinnovata democrazia italiana.
Un dato storico è da mettere in rilievo: alla Resistenza parteciparono, spontaneamente, larghe forze popolari, e non solo urbane, ma della campagna e della montagna. Furono coinvolti ad un tempo il proletariato di fabbrica, che difendeva gli strumenti essenziali del suo lavoro e la realtà contadina. Alle azioni gloriose delle formazioni partigiane e del nostro corpo di liberazione schierati in battaglia, si accompagnò un'infinità di episodi spontanei, il più delle volte oscuri o poco noti, che rappresentarono l'immediata risposta delle popolazioni alle sopraffazioni delle brigate nere o dell'esercito nazista, una risposta data anche fuori dai centri urbani, nei più sperduti paesi rurali, nelle zone collinari e pedemontane.
Questa Resistenza più ramificata e diffusa, che non è stata classificata tra le operazioni delle divisioni partigiane direttamente impegnate nello scontro armato, si è collegata molto spesso al ricordo delle lotte lunghe e tenaci che le leghe contadine avevano condotto in tante regioni: dal Veneto, alla Toscana, all'Emilia, alla Puglia, contro lo squadrismo agrario e le violenze nazionalistiche o fascistiche degli anni venti e anche oltre.
Ma non era mero ricordo, bensì un dato vitale, una sorta di impegno civile, che ha immesso nella Resistenza fattori sociali connessi con la storia delle grandi masse popolari, a lungo escluse dalla partecipazione alla vita dello Stato unitario. La Resistenza supera cosi il limite di una guerra patriottica-militare, di un semplice movimento di restaurazione prefascista, come pure da talune parti si sarebbe allora desiderato. Diventa un fatto sociale di rilevante importanza.
Resistenza e Mezzogiorno
A lungo si è ripetuto che alla piena esplicazione della Resistenza ha nociuto il peso negativo rappresentato dal Mezzogiorno, che non ha compiuto l'esperienza della lotta partigiana del Nord Italia. Gli storici tendono ora a correggere questa visione dualistica, di un Nord, proiettato verso una peraltro indefinita rivoluzione, e un Sud, ancora una volta 'palla al piede' dello sviluppo italiano. Il rapporto tra Mezzogiorno e Resistenza è complesso. Non va dimenticato sullo sfondo, ciò che pagarono le campagne del Mezzogiorno al fascismo. È vero, fu avviata una politica di bonifiche che consentì in un secondo tempo la formazione di ceti agrari più progrediti, meno attaccati alla esclusiva conservazione della rendita. Ma quel poco che si fece sotto il fascismo per il Sud, ebbe come corrispettivo il blocco dell'emigrazione interna, una politica di bassi salari, sperequazioni tributarie e pesanti vincoli contrattuali nelle campagne.
Il programma fascista di un'Italia rurale ed eroica portò in realtà ad un eccesso di popolazione contadina, costretta a vivere entro strutture economiche rimaste arcaiche e statiche e perciò prive di impulsi creativi. Crollato il fascismo e liberato il Mezzogiorno dalle truppe alleate, non per caso ancora una volta furono le campagne a muoversi. Si trattava della lotta al latifondo e della riforma agraria, cioè di una delle esperienze più significative di questo dopoguerra, che ha consento lo svilupparsi di un grande movimento contadino nel Sud ed ha impegnato i Governi in un notevole sforzo, nel suo insieme positivo.
Ma tornando agli anni cruciali che vanno dalla fine del '43 a tutto il '45, non ci sembra si possa dire che il Mezzogiorno fu una remora alla realizzazione degli ideali della Resistenza. Non vanno dimenticati gli intellettuali meridionali schierati sul fronte della libertà. Eppoi parlano le cose. Il Sud ha dato con profonda convinzione il suo apporto alla guerra di liberazione e ai primi atti dei Governi della coalizione antifascista; ha contribuito al crollo degli eserciti nazifascisti, facilitando la avanzata di quelli alleati; ha visto la nascita e l'affermarsi delle prime libere manifestazioni politiche dei partiti antifascisti; ha scritto con la insurrezione napoletana una tra le più belle pagine della Resistenza.
Non possiamo certo nasconderci anche le manifestazioni di rifiuto o di contrarietà contro taluni atti della politica dei Governi democratici. Ma una spiegazione di ciò è nella mentalità di popolazioni che troppo a lungo avevano sentito lo Stato dimentico, se non addirittura ostile alle aspirazioni sociali più vive ed immediate.
Nelle interpretazioni critiche della Resistenza maggiore attenzione avrebbero meritato dunque le particolarità della storia e delle strutture economiche e sociali nel Mezzogiorno. Si è invece preferito parlare quasi di due civiltà, di due Italie, di due mercati, quando, semmai l'accento andava posto su un Mezzogiorno sottomesso a una dinamica dello sviluppo e a una legislazione unificatrice dettata dagli interessi del mercato più forte, che era quello del Nord.
Consapevoli di questa verità, siamo, ancora oggi, alla ricerca di modelli di sviluppo e di politiche programmatiche che facciano tesoro della lezione umana e civile che viene dalle lotte sociali del Mezzogiorno e rispondano alle esigenze di un'economia che, come già aveva intuito Luigi Sturzo, sia capace di far progredire il Paese attraverso una partecipazione a larga base comunitaria, ben più rispettosa della storia e delle vocazioni locali che non sia stata la prospettiva consumistica. Un salto di qualità, si è anche talvolta affermato che la Resistenza sarebbe stata tradita nel suo significato più autentico e che il graduale ritorno alle vecchie strutture dello Stato prefascista avrebbe sancito una continuità statale di vecchio tipo. Se la polemica non fa velo, credo possa apparire evidente a tutti il grande salto di qualità che si è compiuto passando dallo Stato prefascista a quello nato dalla Resistenza sotto il profilo sia della struttura sia dei fini istituzionali. Non sono differenze di superficie, ma di sostanza, che riguardano anzitutto il processo di formazione e articolazione della volontà politica nazionale attraverso i partiti di massa, la consistenza democratica di base dello Stato, il suo ruolo di propulsione e di guida nella vita economica e sociale. Se vi furono aspetti di restaurazione, se vi furono remore e momenti anche di arresto nella realizzazione delle premesse ideali della Resistenza, ciò non può farci dimenticare il progresso compiuto e il senso storicoculturale della opzione politica in favore della democrazia che fu alle origini della fondazione del nuovo Stato.
Il primo atto di libera scelta popolare
Non si possono, d'altra parte, passare sotto silenzio le circostanze oggettive in presenza delle quali nacque ed operò la Resistenza italiana, che fu, ciò malgrado, il primo e fondamentale atto di libera scelta popolare nella storia del nostro Paese. Le vicende della Resistenza e di quel che seguì alla sua conclusione, sono strettamente legate alla condizione in cui si trovò l'Italia nei confronti degli alleati, i quali non ritenevano che il nostro Paese potesse fare da sè, e che la Resistenza potesse assumere il rilievo di un atto rivoluzionario. L'8 settembre del 1943 essi erano ancora in guerra contro la Germania nazista e abbastanza concordemente pensarono ad un Governo ancora monarchico, costituzionale e democratico sì, ma di tipo prefascista; per gli Alleati c'era sia l'esigenza di aver le spalle coperte mano a mano che i loro eserciti andavano innanzi nella nostra penisola, sia l'interesse a conservare il nostro Paese nell'orbita della loro strategia militare e politica. Allora non si parlava ancora di spartizioni e di sfere di influenza. Ma indubbiamente nei fatti pesò la preoccupazione degli Alleati che la Resistenza italiana non andasse troppo al di là di un'operazione patriottico-militare. I dirigenti politici italiani hanno indubbiamente dimostrato grande senso di responsabilità nel fronteggiare realisticamente la situazione, evitando irrigidimenti e tensioni. Con tutte le cautele e le gradualità imposte dalle esigenze della strategia alleata e dalla crescente diffidenza che divise ben presto le potenze occidentali dall'Unione Sovietica, la Resistenza fu indubbiamente molto di più di un'operazione patriottico-militare. Essa agì in profondità nella vita politica del nostro Paese, dando una nuova dimensione allo Stato, arricchendo la vita democratica e creando una originale mentalità antifascista, la quale superò quella formale e parlamentaristica che aveva in certo modo caratterizzato in precedenza la opposizione al fascismo.
Perché i cittadini si riconoscessero nello Stato
Lo Stato al quale i partiti democratici hanno dato vita è lo Stato che lo spirito della Resistenza e le circostanze oggettive hanno reso possibile in una valutazione globale di tutti gli interessi del Paese, interessi nazionali ed internazionali, immediati e in prospettiva. E certo occorreva uno Stato nel quale si riconoscesse il maggior numero possibile di cittadini, che fosse capace, su questa base, di ricostruire l'Italia, dandole un assetto stabile di libertà e di giustizia. Sono questi, che ho appena ricordati, momenti della nostra vicenda trentennale sui quali è ancora aperto il giudizio storico, aperta la valutazione politica. Credo tuttavia che, pur partendo da punti di vista diversi e nella comprensibile divergenza d'opinioni sulle strade seguite e sulle soluzioni date in alcuni stretti passaggi della nostra vicenda nazionale, una cosa si possa dire e cioè che i partiti i quali si richiamano alla Resistenza e si riconoscono nella Costituzione repubblicana, ciascuno secondo la propria responsabilità ed il proprio ruolo, hanno guardato alle istituzioni democratiche, da presidiare ed accreditare nella coscienza del Paese. Via via, nel corso di questi trenta anni, un sempre maggior numero di cittadini e gruppi sociali, attraverso la mediazione dei partiti e delle grandi organizzazioni di massa che animano la vita della nostra società, ha accettato lo Stato nato dalla Resistenza. Si sono conciliati alla democrazia ceti tentati talvolta da suggestioni autoritarie e chiusure classiste. Ma, soprattutto, sono entrati a pieno titolo nella vita dello Stato ceti lungamente esclusi. Grandi masse di popolo guidate dai partiti, dai sindacati, da molteplici organizzazioni sociali, oggi garantiscono esse stesse quello Stato che un giorno considerarono con ostilità quale irriducibile oppressore. Se tutto questo è avvenuto nella lotta, nel sacrificio, è merito della Resistenza, di un movimento cioè che si è mosso nel senso della storia, mettendo ai margini l'opposizione antidemocratica e facendo spazio alle forze emergenti e vive della nuova società. Certo, l'acquisizione della democrazia non è qualche cosa di fermo e di stabile che si possa considerare raggiunta una volta per tutte. Bisogna garantirla e difenderla, approfondendo quei valori di libertà e di giustizia che sono la grande aspirazione popolare consacrata dalla Resistenza.
Un confine tra progresso e conservazione
Il nostro antifascismo non è dunque solo una nobilissima affermazione ideale, ma un indirizzo di vita, un principio di comportamenti coerenti. Non è solo un dato della coscienza, il risultato di una riflessione storica; ma è componente essenziale della nostra intuizione politica, destinata a stabilire il confine tra ciò che costituisce novità e progresso e ciò che significa, sul terreno sociale come su quello politico, conservazione e reazione. Intorno all'antifascismo è possibile e doverosa l'unità popolare, senza compromettere d'altra parte la varietà ela ricchezza, la libera e mutevole articolazione delle maggioranze e delle minoranze nel gioco democratico. In questo ambito ed in questo spirito è responsabilità politica dei partiti l'effettuare quelle scelte di indirizzi, di contenuti e di schieramenti ritenuti meglio rispondenti agli interessi del Paese. Signori, trent'anni fa, uomini di diversa età ed anche giovanissimi di diversa origine ideologica culturale, politica, sociale; provenienti sovente dall'esilio, dalla prigione, dall'isolamento; ciascuno portando il patrimonio della propria esperienza hanno combattuto, per restituire all'Italia l'indipendenza nazionale e la libertà. Questo è stato il nostro grande esodo dal deserto del fascismo; questa è stata la nostra lunga marcia verso la democrazia.
Le responsabilità dei giovani
La Resistenza è patrimonio della Nazione e tutto il popolo la deve custodire, ma una responsabilità particolare spetta ai giovani che sono il nostro domani. Ad essi dunque vorrei ora rivolgermi. Parlo alle ragazze ed ai ragazzi, che, usufruendo per primi dell'anticipato riconoscimento della maggiore età, sono entrati quest'anno da protagonisti sulla scena politica. Parlo ai lavoratori ed agli studenti. Parlo a coloro che attendono, impazienti, di inserirsi nella vita produttiva del Paese. La nostra generazione ha forse, nei confronti dei giovani, delle responsabilità per insufficiente testimonianza dei valori posti a fondamento del nostro sistema politico. Ma, nonostante possibili errori, i padri non hanno demeritato, se i figli sono vissuti nella libertà, se tutti i loro giorni sono stati giorni di pace. Nella libertà i giovani si sono formati, traendone possibilità di autonomia, di affermazione, di contestazione, di partecipazione. La personalità dei giovani di oggi ha i caratteri inconfondibili di chi è cresciuto all'aria aperta, nella libertà appunto. Nulla c'è in essi che riveli il triste retaggio della costrizione.
L'ambiente è propizio e stimolante
Se dopo trent'anni viviamo oggi in un regime di crescente democrazia politica e sociale; se ogni giorno che passa, nuovi spazi si aprono nei quali è feconda l'iniziativa dei singoli e dei gruppi; se così viva è l'affermazione di ogni diritto umano, ciò significa che la Resistenza non è stata tradita e che essa anzi costituisce tuttora il punto culminante della nostra storia, potenzialmente ricco di nuovi straordinari sviluppi. In questa profonda convinzione, io invito i giovani a rivolgersi alla Resistenza, a riscoprire le pagine eroiche e gloriose del nostro recente passato, a cogliere in essa la radice di quell'ansia di libertà, di giustizia, di eguaglianza, di solidarietà, di dialogo, che pervade la loro esistenza. Spetta ad essi un'eredità, che sarebbe ingiusto ignorare o sottovalutare come evento concluso ed inanimato, incapace di muovere nel profondo i cittadini e la Nazione.
Il costo della libertà
In ogni contrada d'Italia c'è un segno che ricorda i morti della nostra Resistenza: uomini e donne, ragazzi e ragazze, bambini; singoli cittadini, intere popolazioni; gente direttamente impegnata nella lotta o inerme spettatrice dell'immane tragedia. La libertà ha avuto questo costo. Cari giovani, non dimenticate i morti e la ragione per la quale morirono; non volgete loro le spalle; non scrollatevi di dosso la sanguinante epopea del riscatto e della redenzione nazionale. Se è vero che ovunque c'è un uomo, là c'è il principio di una comunità; se è vero che dappertutto è la vostra Patria, che vi sentite e siete cittadini del mondo; se è vero che il dolore vissuto, ovunque c'è ingiustizia ed oppressione, è il vostro dolore, non dimenticate ciò che qui, in questo angolo del mondo, è stato pensato, sperato, fatto, sofferto in nome della libertà. Prendete allora nelle vostre mani il destino del nostro Paese. Fate vostra la storia nazionale. Inseritevi in quel processo che non è indegno di voi, perché è il difficile, agitato, contraddittorio, ma, alla fine, creativo processo che vi ha fatto essere quali siete. Dalla Resistenza acquisirete un criterio di giudizio e un senso delle cose che vi farà intendere qual è il vostro posto in Italia, in Europa e nel mondo. Vi sentirete, bene a ragione vicini a quanti, in ogni continente con sofferenza e speranza seguono le vie della liberazione e della democrazia
Viva la Resistenza! Viva l'Italia!