Riace è anche un'occasione didattica ...

Risale all'anno scolastico 2005-2006 il primo stage formativo (nel curricolo del Liceo delle Scienze Sociali)  che includeva tra le tappe del percorso proprio l'esperienza di Riace.

Una preziosa esperienza triennale, guidata dalla professoressa Josette Clemenza, docente di Scienze Umane e Filosofia nella Sezione A dell' Istituto Emilio Ainis di  Messina. A questa ne sono seguite altre negli anni, con le professoresse Adriana Morisani e Gabriella Bertuccini.

Il progetto si intitolava "RADICI PER CRESCERE ALI PER VOLARE "  e puntava sul riconoscimento dei processi di formazione dell’identità, sviluppandosi per il triennio alla scoperta, tra l'altro, del peso della dimensione culturale nella vita quotidiana. Le scienze sociali hanno offerto i contributi specifici per interrogarsi sul ruolo della religione, della cultura e della famiglia nella formazione delle radici. L’analisi e il confronto tra modelli culturali differenti ha permesso di comprendere che nessuna cultura può vantare maggiore ricchezza e validità rispetto alle altre. E’ tuttavia importante saper ricostruire le tappe e gli elementi più significativi nei processi di formazione della propria identità culturale. Le conoscenze acquisite in aula hanno fornito la piattaforma cognitiva su cui costruire momenti successivi di apprendimento fuori dall’aula.

Ci sembra utile riproporlo qui e adesso ai colleghi perchè a nostro avviso può costituire una utile piattaforma di base per la costruzione di esperienze di alternanza scuola-lavoro.

E anche, indipendentemente da questo suggerimento didattico, per riflettere sul vero significato dell'accoglienza. Ecco le conclusioni a cui ha portato allora questa esperienza per tutti i suoi fruitori :

"Una delle competenze più importanti citate dal documento di Lisbona è quella di “imparare ad imparare” per noi questo stage è stato piuttosto un metodo per “imparare a dis-imparare”: dis-imparare il razzismo; dis-imparare un modo di rappresentarci che pone l’accento su diversità a volte inesistenti; dis-imparare l’apprensione di dover a tutti i costi dimostrare che “noi siamo bravi, noi no, non abbiamo pregiudizi, noi siamo tolleranti…” atteggiamenti inutili e superficiali, a volte rinforzati da certi percorsi di educazione interculturale che non favoriscono la comprensione del fenomeno migratorio nelle sue componenti storico-sociali, economiche e culturali e non permettono di operare un distiunguo tra prime e seconde generazione di migranti; dis-imparare le nostre radici divenendo più consapevoli delle plurime in cui noi e gli altri ci riconosciamo."