Il contesto giuridico e la sfida della complessità nelle relazioni economico sociali
Pistoia 8 novembre 2017
Luigi Mantuano SISUS – Società Italiana di Scienze Umane e Sociali
Una considerazione (ironica) preliminare: depurare la riflessione sulla scuola superiore da una serie di incancreniti luoghi comuni, per primo quello dell’ambigua distinzione tra progressisti e conservatori nel dibattito sulle politiche scolastiche.
Tre esempi “cattivi” da cui liberarsi. Il primo: Lucio Russo e il suo famoso libretto “Segmenti e bastoncini”: quando un progressista sposa in pratica posizioni di pura conservazione. Il secondo: Paola Mastrocola e il suo “La scuola spiegata al mio cane”: quando slogan offensivi ed elitari vengono percepiti come innovazione ed adottati da tanta sinistra progressista, diventando “lo spirito del tempo”. Il terzo: Diego Fusaro e le sue riflessioni sul “classico”: quando l’appello ala difesa della tradizione non sposta di un millimetro la proposta in avanti.
Entriamo nei punti nodali del mio intervento:
- Le relazioni economico-sociali si inseriscono nel quadro tracciato da Edmund Husserl in La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale (1954): la parcellizzazione dei saperi, la loro codificazione nella chiusura disciplinare ed il ritorno dell’ “enigma della soggettività” soprattutto ad opera della psicologia. La discussione del significato della scientificità nel paradigma epistemologico della contemporaneità implica da una parte la categoria della complessità e dall’altra l’emergere del “principio dialogico” e della centralità della comunità come contesto e orizzonte di senso dell’esperienza giuridico-economica e delle scienze sociali. Gadamer e l’ermeneutica costituiscono l’aria che respiriamo nella pratica delle scienze economico-giuridiche e delle scienze sociali. L’arte ermeneutica dei giuristi e dell’azione economico sociale si sviluppa nel primato della soggettività, della sua costitutiva struttura relazionale e nelle pratiche della comunità: Michel de Certeau definirà le scienze sociali come “scienze dell’altro”. Il principio della ragion sufficiente (Leibnitz) e il principio dialogico (Buber) costituiscono i due approcci che si fronteggiano (e si integrano ?) nel delineare l’orizzonte di senso delle scienze sociali, del diritto e dell’economia.
- La didattica dei licei economico-sociali e delle scienze umane si inserisce in una scuola segnata dalla fine dell’epoca teologica della “reductio ad unum” che ha lasciato lo spazio ad una epistemologia della complessità (Morin), del transito e della frontiera. Il pensare si pone come un “oltrepassare” e le discipline come “luoghi/non-luoghi” da attraversare e ricostruire in un incessante processo di presa di coscienza. L’economia si pone essa stessa non come struttura eternamente sovrana della realtà e dell’uomo ma come legata al senso e alla ricerca della felicità del soggetto (Kahneman).
- La sfida che si pone davanti al sistema formativo e scolastico italiano e dei Les in particolare: una didattica per strutture non più imprigionata nella contrapposizione tra competenze/conoscenze, tra storia / teoria della disciplina, tra saperi / prassi, tra economia/scienze sociali. Perseguire la “testa ben fatta” con l’acquisizione del primato del metodo diventa l’obiettivo principale dell’azione didattica efficace nella scuola e nei Les senza la quale possiamo pur continuare a trasmettere una massa di saperi e nozioni ma non si decodificherà e governerà mai la complessità. Questa didattica si pone sul “confine” dei saperi disciplinari, si articola nel “glocal” e rinuncia alla supremazia di una disciplina-madre di tutti i saperi. La Norma fondamentale (Kelsen) si apre alla Norma originaria (Husserl) di fronte alla Situazione-limite dell’esistenza (Jaspers) e all’inoggettivabilità del soggetto.
Conclusioni (e compiti a casa da proporre alla cabina di regia del LES):
a. Il primato del territorio come aula. Stage, transizione scuola -lavoro, alternanza, vanno difese, migliorate, curate, perché una scuola senza relazione col territorio muore, perché conoscenze e competenze, sapere e saper fare vivono in simbiosi. Ma questo fa emergere anche differenze sociali, economiche e culturali delle scuole italiane. Come ci ha ricordato Tullio De Mauro “l’Italia non è la Finlandia” e non perché la nostra scuola è diversa ma perché in Finlandia anche il paesino più sperduto nella neve ha la sua biblioteca, il suo centro culturale e sportivo, il suo cinema. Le nostre periferie italiane sono altra cosa. Soprattutto da Firenze in giù.
Se dimentichiamo questo facciamo demagogia.
b. Far emergere i saperi come riflessione metacognitiva che nasce sul primato delle pratiche (Pierre Bourdieu).
Dobbiamo lavorare sul primato del metodo. Dewey, Bruner e Morin sono i nostri riferimenti.
c. Investire senza stancarci sulla formazione dei docenti.
Ne abbiamo bisogno perché la nostra è una missione ma anche una lavoro. Che va sostenuto e aggiornato con azioni di sistema, di qualità e per tutti.
La formazione chiede un luogo di confronto comune tra ricercatori e docenti, università e liceo.
Se vuole essere efficace. .