Giacomo Camuri
Non è facile restituire il profilo di un'esperienza che nell'arco di pochi anni ha attraversato con il fremito dell'innovazione un considerevole numero di Scuole secondarie. Non lo è per la varietà delle istituzioni scolastiche coinvolte e per la particolarità del processo che ha accompagnato la creazione di un sistema reticolare che, sorto dapprima attorno all'attivazione ministeriale di Scuole Polo, si è poi sviluppato autonomamente, generando altre reti di Scuole, la rete Passaggi con i suoi Convegni e via via reti più circoscritte a specifici ambiti territoriali. La semplificazione risulterebbe rischiosa sopratutto a fronte dei risultati prodotti dalle sperimentazioni locali.
Parafrasando il titolo di un fortunato saggio pubblicato negli anni Quaranta da una filosofa americana, Susanne Katherine Langer, Philosophy in a new Key, si potrebbe asserire che l'opera collegialmente compiuta nei tempi e nei luoghi designati dall'esperienza del lavoro in rete rappresenti l'espressione più genuina e originale di un'idea di “formazione in una nuova chiave”. Se il “simbolismo” costituiva per Susanne Langer la cifra comune alle più diverse manifestazioni della mente indagate dalla logica e dalle scienze umane e pertanto la categoria fondante d'ogni possibile interpretazione dei comportamenti collettivi, il “contemporaneo”, quale categoria della complessità, tema scelto per il Convegno di Sezze del 2006, una complessità colta a tutti i livelli dell'esperienza e del sapere, diviene per Anna Sgherri e per chi ha con lei condiviso l'invenzione del disegno epistemologico del Liceo delle Scienze Sociali, l'idea portante di un percorso formativo che negli scenari di un “oggi” soggetto a cambiamenti rapidi e tumultuosi ha come fine il raggiungimento di una piena autonomia di conoscenze e di azioni.
Da qui l'urgenza di non disperdere le molte sperimentazioni in atto sopratutto negli Istituti Magistrali e di convogliarne le risorse, una volta venuta meno la loro mission istituzionale, verso la costruzione di un indirizzo di studi che, facendosi carico di implementare l'offerta culturale della Scuola italiana, fosse nel contempo capace di ripensare sia in ambito di riflessione teorica che in contesti di didattica laboratoriale, i grandi temi che innervano il “presente” di ogni assetto sociale: l'identità e i mutamenti, la comunicazione e i linguaggi, la stabilità e i conflitti, la normalità e le devianze, l'apprendimento e i sistemi educativi, il lavoro e l'imprenditorialità, l'economia e le risorse, la legalità e i diritti, la cittadinanza e le politiche. Un progetto, quello del Liceo delle Scienze Sociali, che mai avrebbe potuto realizzarsi senza la partecipazione attiva e diretta della compagine degli insegnanti chiamati a mettersi in gioco e a mettere in gioco competenze e conoscenze professionali in relazione con l'emergere di nuovi bisogni educativi, con il delinearsi di adolescenze irrequiete e incerte, con il venire innanzi di mondi, da una parte, tecnologicamente innovativi e affascinanti per le frontiere della ricerca, ma, dall'altra, geopoliticamente mutevoli per le guerre in corso, per gli squilibri delle risorse, per i grandi flussi migratori. La formazione all'autonomia in un tempo di processi di globalizzazione forse irreversibili non poteva e non può tuttora che richiedere da parte delle singole istituzioni scolastiche, dei collegi docenti, dei dipartimenti, dei consigli di classe - pur sulla base di linee guida condivise a livello nazionale - l'assunzione di capacità di progettazione autonoma di percorsi curricolari aperti e solidamente orientati.
Non per caso nel concetto di “Passaggi” si è riconosciuta la prima rete dei Licei delle Scienze Sociali costituitasi su un ampio tratto del territorio nazionale all'indomani della cessazione da parte del Ministero dell'Istruzione delle Scuole Polo e ben definito è risultato fin dall'inizio il suo programma di lavoro e di studio:“la società in classe”. Nell'impianto del Liceo delle Scienze Sociali centrale è sempre stato il ruolo assegnato alla classe nell'insieme delle sue componenti: non più luogo di trasmissione di saperi codificati in discipline isolate entro canali comunicativi rigidi e gerarchizzati ma laboratorio di apprendimenti condivisi e costruiti nella progettualità e nella valorizzazione delle capacità e delle competenze dei singoli, studenti e insegnanti, tutti diversamente ubicati, come recitava il Convegno di Trieste del 2010, “Sulla soglia” di un futuro già in parte presente e decifrabile nel quadro di una puntuale “Lettura della contemporaneità”, come ancora ricorda il tema dibattuto a Perugia nel Convegno del 2005.
Nell'ottica di una didattica laboratoriale disposta a misurarsi con il “presente” della vita adolescenziale, con i problemi imposti dalle trasformazioni sociali, con le acquisizioni tecnico-scientifiche e con le risorse offerte dai territori il Liceo delle Scienze Sociali ha saputo far emergere in tanti momenti di quotidianità scolastica la dimensione metodologica delle discipline stimolando un approccio propositivo a conoscenze altrimenti percepite come serbatoi di nozioni chiuse in se stesse, aridamente incapaci di dialogare con gli interessi e le ragioni di chi potrebbe imparare con piacere ad apprendere.
“Innovare nella Scuola si può”, si diceva nel Convegno di Messina nel 2008, creando contesti di senso, come suggeriva il sottotitolo “Da un'esperienza di frontiera un paradigma di scuola possibile”, pianificando azioni di ricerca concreta nei luoghi e negli spazi dove l’incontro con le “storie del presente” mobilitano narrazioni che aiutano i giovani a sentirsi protagonisti della propria formazione. E' difficile pensare a classi, giunte al termine del quinquennio del Liceo delle Scienze Sociali, amorfe, demotivate. All'inizio .dei primi anni si era soliti incontrare gruppi classi spesso fragili, disorientati, ma la strategia del coinvolgimento in una pratica dell'apprendere per poter apprendere ha sempre innescato processi virtuosi di motivazione alla collaborazione e alla fruibilità di apporti personali forieri di nuove conoscenze.
Con lo spostamento del baricentro, non solo ovviamente le discipline in classe ma, come si è venuti a rimarcare a Latina nel Convegno del 2013, “la società in classe”, l'intero comparto degli insegnamenti è stato indotto ad aprirsi, pur con qualche naturale difficoltà e resistenza, a una visione sistemica del curricolo che ha comportato aperture e convergenze di punti di vista, confronti e sinergie interdisciplinari, incremento e rivisitazione dei contenuti dei saperi posti in gioco: saperi che hanno di volta in volta stimolato l'incontro con altre professionalità reperibili nei mondi della ricerca, del lavoro, delle istituzioni e del terzo settore.
L'attenzione posta sul “contemporaneo”, la società nel suo declinarsi di istituzioni, modelli cultuali, risorse energetiche, capacità produttive, patrimoni culturali, innovazioni scientifiche, ha richiesto sin dai primi passi del Liceo delle Scienze Sociali la ridefinizione di una prospettiva di fondo, di un'angolazione teorica che potesse rispondere all'esigenza di una lettura “critica” della contemporaneità. Come educare al “contemporaneo”, come esserne “contemporanei” senza correre il rischio di divenire oggetto di troppe e facili fascinazioni?
Il Convegno di Ferrara, con cui nel 2004 si veniva a costituire la rete “Passaggi”, rilanciava al centro della riflessione didattico-pedagogica la questione fondativa per un Liceo della contemporaneità, il problema cruciale per Anna Sgherri: “l'asse storico-antropologico”. Una prospettiva che nel saldare la Scuola secondaria ai risultati più recenti e innovativi di alcuni ambiti della ricerca, per altro poco frequentati negli studi liceali, come la sociologia, la psicologia, le neuroscienze e l'antropologia culturale ha saputo far attecchire nel circuito di una didattica progettata per connessioni interdisciplinari ed esperienze sul campo, secondo il modello di uno “stage formativo”, lo stile cognitivo proprio di un'interpretazione de-costruzionista del “presente”. Si potrebbe dire con le parole di Giorgio Agamben tratte da un breve saggio del 2008, Che cosa è il contemporaneo?, che il Liceo delle Scienze Sociali ha fatto propria la lezione di “coloro che hanno cercato di pensare la contemporaneità” e che “hanno potuto farlo solo a patto di scinderla in più tempi, di introdurre nel tempo una essenziale disomogeneità”. Scrive Agamben, “chi può dire: 'il mio tempo', divide il tempo, iscrive in esso una cesura e una discontinuità; e tuttavia attraverso questa cesura, questa interpolazione del presente nell'omogeneità inerte del tempo lineare, il contemporaneo mette in opera una relazione speciale con i tempi” (pp. 22-3). La contemporaneità, questa la definizione proposta da Agamben che ben restituisce il senso del lavoro compiuto dalle Scuole in rete, “è una singolare relazione col proprio tempo, che aderisce a esso e, insieme, ne prende le distanze”, vi aderisce “attraverso una sfasatura e un anacronismo”. L'attenzione posta, anche grazie all'attività di stage, alle “storie del presente”, rivelatrici della problematicità del quotidiano, delle tensioni, delle fratture, dei paradossi, dei contrasti e delle contraddizioni, è stata, e lo deve essere ancora, una componente fondamentale dell'educazione alla contemporaneità, che altro non è che formazione all'autonomia, perché, dice ancora Agamben, “coloro che coincidono troppo pienamente con l'epoca, che combaciano in ogni punto perfettamente con essa non sono contemporanei perché, proprio per questo, non riescono a vederla, non possono tenere lo sguardo fisso su di essa” (9-10). Uno sguardo che necessita di mediazioni, di attraversamenti, di confronti, di dialogo, di sconfinamenti, come hanno a più riprese e a diverso titolo messo a fuoco i Convegni di Lucca (“Vedere attraverso … con le scienze nel cuore”, 2007), di Giovinazzo (“La Scuola davanti alle emergenze del sistema”, 2009), di Verbania (“Crescere, apprendere partecipare. I nuovi adolescenti: studenti digitali e futuri cittadini europei”, 2011), di Rovereto (“Il Liceo delle Scienze Umane. Un nuovo dialogo tra umanisti e scienziati”, 2012).