Elena Bertonelli
Ringrazio Amelia Stancanelli per avermi chiamata qui per ricordare Anna Sgherri.
Dei tempi ormai lontani non tutto ricordo. Ma è difficile dimenticare Anna non solo come amica e compagna di lavoro, ma anche per il suo rigore, per la sua forza e per la sua competenza. Il richiamo alla sua memoria ci fa pensare alla pluralità dei suoi sguardi, tenendo conto di una generazione che si è ritrovata in una esperienza comune. Una esperienza che ha segnato svolte profonde nella vita e nella organizzazione della scuola, nel pensare la scuola, nel fare la scuola.
Legittimo quindi l’orgoglio di far parte di una leva di “costruttori” capaci di osservazione, di riflessione e di modalità di approccio. Tutto ciò senza rinchiudersi in gruppi elitari, lavorando invece nel segno della sobrietà e del metodo. Ma anche con la responsabile consapevolezza della necessità di operare e introdurre nel pensiero e nella pratica della scuola, visioni, modi e temi nuovi da assumere nella loro delicata complessità.
La stagione dell’autonomia, come sanno bene Luigi Berlinguer, Giuseppe Cosentino e Giovanni Trainito, è stato un laboratorio ampio e coinvolgente, che guardava soprattutto al futuro, mentre valorizzava e rendeva onore a categorie, a suggestioni e visioni, che appartengono alla migliore tradizione pedagogica.
“L'autonomia – ha scritto Anna – non deve essere intesa né come autoreferenzialità, né come una forma rimodernata di splendido isolamento. L'autonomia deve promuovere il confronto, la cooperazione, la discussione dei problemi comuni, la circolazione delle esperienze validate”.
Punto di arrivo, punto di snodo e movimento. Perché, specialmente nella scuola, come del resto in ogni altro settore della vita, non è data la possibilità di “fermare la macchina”. Mi pare questo il senso e lo stile di una lunga navigazione, per riprendere l’immagine, tanto cara ad Anna, del “veliero sempre proteso verso la ricerca e l'esplorazione di nuove terre”.
Un’esperienza, questa che ha visto e ha avuto tanti protagonisti, che ha impegnato ciascuno di noi in un’opera collettiva, faticosa ed esaltante, al servizio del Paese e della sua prospettiva democratica.
Ciascuno di noi ha lavorato e realizzato, portando il suo mattone. Sono queste le caratteristiche che a me pare si debbano riconoscere a una persona straordinaria come Anna Sgherri: volume di gioco, qualità di prodotto, esemplarità di stile.
Io ho avuto il piacere di lavorare con Anna in una impegnativa attività condotta fianco a fianco. L’autoreferenzialità era da lei considerata - e lo scrisse - una morbosa affezione, un danno, un freno.
“Insieme” non era per Anna un semplice modo di produrre una merce, ma un modo necessario di stare al mondo. Perché nell’insieme c’è il riconoscimento del valore imprescindibile di ciascuno e quindi di tutti. E la scuola deve sentire l’urgenza dell’insieme, perché la scuola è insieme, l’insieme delle esperienze e dei progetti, dei sogni e delle vittorie. Ma può essere anche il campo del riflusso e della sconfitta culturale e morale di un Paese. Se la scuola avanza, avanza il Paese nella sua interezza.
Anzi, solo se la scuola avanza, può avanzare un Paese, una comunità, un popolo.
A me piace, in questa circostanza, sottolineare di Anna un tratto di natura antropologica, che non è stato ininfluente nel suo lavoro e nel suo essere “costruttrice”: la sua ligurità, intesa come appartenenza alla sua Liguria, è stata anche una grammatica di sobrietà e di essenzialità. Sono doti che sono portata a elogiare pubblicamente – anche se so di correre qualche rischio – essendo anch’io proveniente dalla Liguria, dall’Alta Val di Vara, da quella Spezia medaglia d’oro della Resistenza. Di quella Resistenza intorno alla cui storia ha tanto lavorato la nostra Anna.