Il ricordo dei colleghi e degli amici

anna sgherri

Clotilde Pontecorvo

Nella mia qualità di Presidente onorario dell’Associazione SISUS sono molto grata a tutti i soci per avermi assegnato il compito di introdurre la giornata di studio e di ricordo della nostra comune amica Anna Sgherri. Lascio agli altri il compito di presentarne in modo esauriente la figura umana e professionale. Io mi limito a ricordare due momenti rilevanti in cui è avvenuto tra lei e me uno scambio proficuo per le scienze sociali.

Il primo incontro è avvenuto nel 2000 nella commissione che doveva stabilire le linee guida per l’insegnamento delle scienze sociali e che era composta, oltre che dal personale del MIUR, da amici della odierna SISUS e da professori delle aree disciplinari interessate, indicati dal Consiglio Italiano per le Scienze Sociali. Da quella commissione uscì nel febbraio di quell’anno un documento fondativo molto significativo: si ribadiva il fondamento storico-antropologico dell’insegnamento liceale delle scienze sociali e la sua collocazione nell’area scientifica.

Un altro importante incontro con Anna Sgherri l’ho avuto a Giovinazzo nel 2009 nel convegno annuale della Rete Passaggi e di SISUS, quando abbiamo elaborato insieme l’indirizzo economico-sociale come alternativa all’indirizzo di scienze umane (a forte impostazione pedagogica) proposto dal MIUR con l’allora Ministro Maria Stella Gelmini. In quell’occasione elaborammo collettivamente una proposta curricolare per l’indirizzo alternativo che conservava la filosofia originaria, elaborata dagli insegnanti e tradotta in realtà didattiche da docenti aderenti alla SISUS.

Nel 2007 insieme a Lucia Marchetti raccogliemmo un buon numero di esperienze didattiche realizzate nella scuola dai nostri associati in un volume (pubblicato da Marsilio Editore) dal titolo “Trent’anni dopo le scienze sociali nella scuola”. Nell’occasione di Giovinazzo scherzammo con Anna Sgherri che se lei era stata la madre spirituale e operativa dei Licei delle Scienze Sociali avendo coordinato fin dal 1999 corsi di formazione suddivisi in centri regionali, presenti in tutto il territorio nazionale; io potevo essere considerata la madrina avendo steso la prima indagine sulla presenza delle scienze sociali nella scuola italiana (commissionatami nel 1974 dal Consiglio Italiano delle Scienze Sociali) e avendo partecipato come giovane ricercatrice alla stesura del volumetto collettivo “Scienze sociali e riforma della scuola” (pubblicato da Einaudi nel 1975).

 

Mi è gradito in questa occasione ricordare il contributo teorico e operativo dell’allora Ministro Luigi Berlinguer, unico tra i titolari del MIUR, che si sono succeduti negli ultimi 15 anni, che si è posto il problema della necessità di un’analisi critica approfondita dei saperi da affidare all’insegnamento scolastico. Per questo nel febbraio del 1997 egli costituì una commissione di 44 esperti di diverse aree disciplinari e professionali che fu poi chiamata la Commissione dei saggi. Chi scrive ha avuto poi l’onore di partecipare al gruppo di lavoro ristretto (composto dai colleghi Paul Ginzburg, Giovanni Reale, Luisa Ribolzi, Mario Vegetti e Silvano Tagliagambe con il coordinamento di Roberto Maragliano e il supporto tecnico di Vittorio Campione) che mise a punto il documento finale. Tale documento iniziò a circolare fin dall’ottobre del 1997, ma fu approvato dalla commissione riunita in riunione plenaria solo il 14 novembre del 1997.

È forse un’epoca lontana per i più giovani tra voi ma voglio sottolineare che quel documento suscitò notevoli entusiasmi tra gli insegnanti più qualificati per finire però nel dimenticatoio dai ministri successivi.

Anche in quel documento trovava posto il ruolo formativo dell’insegnamento liceale delle scienze sociali, come strumento essenziale per promuovere la conoscenza della contemporaneità nella sua attuale articolazione sociale e globale, come ci ricorda Anna Sgherri in un suo scritto del 2007 dove scrive anche che un tale Liceo “rappresenta un modello di scuola a misura degli studenti e dei docenti, di coloro cioè che costituiscono la forza e la vitalità di una comunità educativa prima di tutto autonoma e responsabile delle proprie scelte.”

Amelia Stancanelli

È mio compito, questa sera, introdurre e fare un coordinamento generale dei lavori.

Consideratemi dunque il fil rouge della serata, quasi una voce fuori campo. Non cederò pertanto alla tentazione – che pure sarebbe grandissima – di abbandonarmi all’onda dei ricordi, tanti, di carattere professionale, ma anche personali (non ultimo il ringraziamento dell’immenso dono che mi ha fatto di partecipare alla festa per il mio pensionamento insieme alla cara amica Lucia Marchetti! Non credo che potrò mai dimenticare l’emozione che provai nel giardino dell’ “Ainis”, a Messina, quell’11 giugno del 2009! Né la gratitudine per la sua affettuosa e generosa testimonianza resa in quel contesto…). Qui lascerò spazio alle tante e qualificate voci che, meglio di me, sapranno ricordarne la figura e l’opera, e non ruberò loro altro tempo. Mi piace solo prendere in prestito alcune espressioni di un bellissimo contributo di Giancarlo Mori , che è stato preside del liceo Ariosto di Ferrara dal 1990 al 2006, e con Lei – e con tutti noi qui presenti – ha condiviso battaglie, entusiasmi, e tanto duro lavoro:

«Ci vuole una biografia di spessore come quella di Anna Sgherri per leggere i segni dei tempi. …
Riflettere sul suo profilo professionale e raccontarne la trama complessa e coinvolgente richiede di non cadere in automatismi mentali e in trappole emotive che produrrebbero una sindrome da Antologia di Spoon River. Al contrario, analizzare il contributo di Anna Sgherri alle politiche del riformismo scolastico può diventare un utile esercizio di contrasto alla diffusa attitudine al pensare riduzionistico, quando si parla di scuola. »

Mi piace riportare queste poche frasi perché esprimono il senso di questo seminario, che abbiamo voluto non solo e non tanto “commemorativo”, ma anche, e soprattutto, proiettato in avanti operativamente, perché è così che a Lei sarebbe piaciuto.

Perché la lezione di Anna, intrisa di “buone pratiche”, come sicuramente emergerà dagli interventi che seguiranno, è di grandissima attualità didattica non solo nell’oggi, ma sicuramente anche per la scuola di domani.

Anna Rosa Cicala

Chi ha condiviso con Anna, anche solo per breve tempo, progetti, obiettivi, passioni, sente forte dentro di sé la responsabilità di dare loro vita ulteriore attraverso azioni concrete. Questo sentimento della continuità accompagna i grandi maestri e Anna merita di essere ricordata come maestra di vita e di saggezza per le tante cose che ha saputo insegnare nel corso della sua intensa vita professionale.

Mi ricordo ancora quando l’ho conosciuta in una fredda mattina invernale in una riunione all’IRRSAE Toscana sulla dispersione scolastica. All’inizio fu diffidente, sembrava scrutarti per capire chi fossi, quale fosse il tuo metodo di lavoro, il tuo impegno, le tue competenze. Non concedeva la Sua amicizia al primo incontro. Sembrava dura, rigida. In realtà aveva solo carattere.

A distanza di anni ci ritrovammo a condividere progetti sperimentali e di formazione sempre e comunque al servizio delle scuole. I suoi insegnamenti erano preziosi e unici per la loro matrice culturale e professionale; nulla era lasciato al caso e trascurato, ma ogni parola, ogni indicazione era dettata dal rispetto dell’istituzione che rappresentava e dell’uditorio al quale si rivolgeva.

Si è rivolta con entusiasmo e grande determinazione alla formazione dei docenti, ritenendo la vita d’aula il cuore pulsante di ogni rinnovamento intenzionalmente volto a conferire dignità alla professione docente. Non temeva di affermare, in ogni circostanza, che il processo riformatore non è solo quello di cui si discute nelle sedi politiche, ma soprattutto quello che investe la vita quotidiana delle realtà scolastiche e accademiche.

Di qui le numerose ardite avventure intellettuali da lei promosse, coordinate e condotte nell’ambito della formazione dei docenti in servizio che ripeteva essere non solo destinatari di aggiornamento contenutistico, ma veri e propri ricercatori e sperimentatori. Credeva negli insegnanti, li sapeva motivare, dare loro fiducia e, con severità e rigore estremo ma anche con amorevole accoglienza, sapeva trarre da ciascuno il meglio.

La formazione per lei era investimento, era crescita, era sviluppo professionale, era impegno costante. Non si tirava mai indietro quando bisognava esplorare una zona di confine, ne era affascinata, ma nello stesso tempo, non si faceva travolgere dai facili entusiasmi, ma tutto veniva ricondotto al rigore epistemologico delle discipline.

 

Quanto ci manca Anna e quanto manca all’Italia, alla Scuola, alla Società. Tuttavia il Suo rigore e il Suo amore per la scuola ci debbono sostenere e allora tre espressioni di Anna mi piace ricordare: la frase di un Preside che ogni mattina, sedendosi alla sua scrivania, diceva “ogni giorno ha la sua pena”, ma non per questo smetteva di sedersi alla sua scrivania; la seconda: l’impegno è mettere i gomiti sul tavolo e la terza: non servono solo quelli che dipingono la Cappella Sistina, ma anche coloro che raccolgono i calcinacci. Anna era tutto questo e così la vogliamo ricordare e consegnare alle future generazioni.

Elena Bertonelli

UNA COSTRUTTRICE DI STRAORDINARIO VALORE

Elena Bertonelli

Ringrazio Amelia Stancanelli per avermi chiamata qui per ricordare Anna Sgherri.

Dei tempi ormai lontani non tutto ricordo. Ma è difficile dimenticare Anna non solo come amica e compagna di lavoro, ma anche per il suo rigore, per la sua forza e per la sua competenza. Il richiamo alla sua memoria ci fa pensare alla pluralità dei suoi sguardi, tenendo conto di una generazione che si è ritrovata in una esperienza comune. Una esperienza che ha segnato svolte profonde nella vita e nella organizzazione della scuola, nel pensare la scuola, nel fare la scuola.

Legittimo quindi l’orgoglio di far parte di una leva di “costruttori” capaci di osservazione, di riflessione e di modalità di approccio. Tutto ciò senza rinchiudersi in gruppi elitari, lavorando invece nel segno della sobrietà e del metodo. Ma anche con la responsabile consapevolezza della necessità di operare e introdurre nel pensiero e nella pratica della scuola, visioni, modi e temi nuovi da assumere nella loro delicata complessità.

La stagione dell’autonomia, come sanno bene Luigi Berlinguer, Giuseppe Cosentino e Giovanni Trainito, è stato un laboratorio ampio e coinvolgente, che guardava soprattutto al futuro, mentre valorizzava e rendeva onore a categorie, a suggestioni e visioni, che appartengono alla migliore tradizione pedagogica.

“L'autonomia – ha scritto Anna – non deve essere intesa né come autoreferenzialità, né come una forma rimodernata di splendido isolamento. L'autonomia deve promuovere il confronto, la cooperazione, la discussione dei problemi comuni, la circolazione delle esperienze validate”.

Punto di arrivo, punto di snodo e movimento. Perché, specialmente nella scuola, come del resto in ogni altro settore della vita, non è data la possibilità di “fermare la macchina”. Mi pare questo il senso e lo stile di una lunga navigazione, per riprendere l’immagine, tanto cara ad Anna, del “veliero sempre proteso verso la ricerca e l'esplorazione di nuove terre”.

Un’esperienza, questa che ha visto e ha avuto tanti protagonisti, che ha impegnato ciascuno di noi in un’opera collettiva, faticosa ed esaltante, al servizio del Paese e della sua prospettiva democratica.

Ciascuno di noi ha lavorato e realizzato, portando il suo mattone. Sono queste le caratteristiche che a me pare si debbano riconoscere a una persona straordinaria come Anna Sgherri: volume di gioco, qualità di prodotto, esemplarità di stile.

Io ho avuto il piacere di lavorare con Anna in una impegnativa attività condotta fianco a fianco. L’autoreferenzialità era da lei considerata - e lo scrisse - una morbosa affezione, un danno, un freno.

“Insieme” non era per Anna un semplice modo di produrre una merce, ma un modo necessario di stare al mondo. Perché nell’insieme c’è il riconoscimento del valore imprescindibile di ciascuno e quindi di tutti. E la scuola deve sentire l’urgenza dell’insieme, perché la scuola è insieme, l’insieme delle esperienze e dei progetti, dei sogni e delle vittorie. Ma può essere anche il campo del riflusso e della sconfitta culturale e morale di un Paese. Se la scuola avanza, avanza il Paese nella sua interezza.

Anzi, solo se la scuola avanza, può avanzare un Paese, una comunità, un popolo.

A me piace, in questa circostanza, sottolineare di Anna un tratto di natura antropologica, che non è stato ininfluente nel suo lavoro e nel suo essere “costruttrice”: la sua ligurità, intesa come appartenenza alla sua Liguria, è stata anche una grammatica di sobrietà e di essenzialità. Sono doti che sono portata a elogiare pubblicamente – anche se so di correre qualche rischio – essendo anch’io proveniente dalla Liguria, dall’Alta Val di Vara, da quella Spezia medaglia d’oro della Resistenza. Di quella Resistenza intorno alla cui storia ha tanto lavorato la nostra Anna.

Giovanni Trainito

La mia testimonianza su Anna Sgherri non può essere così ampia come quella dei colleghi che mi hanno preceduto per il semplice motivo che, diversamente da loro, ho avuto occasione di conoscere l’ispettrice soltanto negli ultimi anni della mia attività lavorativa, e precisamente nella seconda metà degli anni novanta del secolo passato. Un periodo breve ma intenso, caratterizzato dalle riforme sulla scuola avviate e realizzate dal Ministro Berlinguer.

Nell’aprile del 1996, dopo la nomina a direttore generale del Ministero della P.I., fui assegnato alla direzione generale dell’istruzione classica, scientifica e magistrale, resasi vacante per il collocamento a riposo del compianto Romano Cammarata. Dopo appena un mese il Ministro Berlinguer, insediatosi a viale Trastevere, mi incaricò di dirigere il suo Gabinetto congiuntamente alla direzione classica.

In questa duplice veste di direttore generale e di capo di gabinetto, ho seguito lo svolgersi del processo riformatore e così ho conosciuto e lavorato con tutte le persone che di volta in volta ne venivano interessate e coinvolte. Anna Sgherri è stata un’importante protagonista di quel processo per la parte riguardante la sua attività professionale di ispettore tecnico nel settore storico-sociale, e nell’attuazione delle iniziative relative all’autonomia scolastica, e spesso veniva chiamata a collaborare direttamente con il Ministro.

Ricorderete sicuramente che uno dei primi atti del processo di riforma ha riguardato proprio lo studio della storia, e precisamente la modifica della suddivisione annuale del programma di storia negli istituti di istruzione secondaria di primo e di secondo grado con la previsione dello studio del novecento nell’ultimo anno. Per la relativa attuazione, avviata in tempi brevi dopo appena pochi mesi dall’inizio del Ministero Berlinguer, furono adottati due atti contestuali, a dimostrazione che le riforme richiedono interventi di diversa natura. Un decreto ministeriale (D.M. 4 novembre 1996, n. 682) che formalizzava la suddetta suddivisione nelle scuole secondarie e una direttiva ( n. 681 del 4 novembre 1996) che impartiva istruzioni per lo svolgimento di attività di formazione in servizio finalizzate all’acquisizione da parte dei docenti di storia delle metodologie e degli ausili più idonei all’insegnamento della storia più recente.

Tutti ricordano i dibattiti, le preoccupazioni, le critiche a questa iniziativa, ma anche le ragioni che la giustificavano.

In proposito ritengo utile leggere alcuni brani della direttiva ministeriale sull’insegnamento di Educazione Civica che riguardano lo studio del Novecento: “La necessaria valorizzazione dell'insegnamento della storia, anche del suo periodo più recente, è finalizzata a permettere un'analisi serena degli eventi, perché i ragazzi possano coglierne il senso e la problematicità, e perché possano comprendere, con equanimità e con obiettività, i fattori, le vicende anche drammatiche, le intenzioni, le prospettive.

La storia recente non consente forse quel distacco che la storia passata sembra assicurare: tuttavia essa è altrettanto, e forse più, indispensabile per consentire ai giovani di farsi un'idea non faziosa e non distorta del presente e per indirizzare le loro energie verso un futuro che sia il più possibile scevro da equivoci e da perniciosa ignoranza.”

Non posso affermarlo con certezza anche perché la memoria non mi aiuta, ma ritengo che queste espressioni siano il frutto del pensiero di Anna, perché di solito i ministri si avvalevano del contributo degli ispettori, e il ministro Berlinguer era tra quelli che vi ricorrevano spesso.

D’altra parte, poiché la Direzione classica aveva il coordinamento delle Direzioni generali del ministero sull’insegnamento della storia,anch’io mi avvalevo della collaborazione dell’ispettrice Sgherri, cosa che mi ha consentito di apprezzarne l’intelligenza, la vasta cultura, l’operosità, il garbo e lo stile non comune.

Voglio ricordare, prima di terminare la mia breve testimonianza, un importante progetto che ha visto l’ispettrice Anna Sgherri protagonista principale, in campo nazionale ed internazionale. Si tratta del progetto “Il 900. I giovani e la memoria” voluto fortemente dal ministro Berlinguer e realizzato negli anni scolastici 1998/99 e 1999/2000, mediante l’assegnazione di specifici fondi della legge 440 del ‘97. Il coordinamento ministeriale del progetto fu affidato alla direzione classica che lo realizzò con il contributo scientifico di Anna Sgherri e la collaborazione amministrativa del dott. Luigi Catalano e della dott.ssa Anna rosa Cicala.

Il progetto, inizialmente riservato agli studenti delle classi terminali degli istituti di istruzione secondaria superiore, e successivamente esteso agli studenti delle scuole secondarie di primo grado, intendeva sollecitare una riflessione sul contesto storico in cui le leggi razziali nacquero e sulle conseguenze a cui dettero origine gli eventi ad esse collegate e prevedeva, come conclusione dell’itinerario formativo, la visita ad uno dei campi di sterminio nazisti.

La circolare ministeriale n.411 del 9 ottobre 1998 invitava le scuole a partecipare all’iniziativa presentando uno specifico progetto contenente l’obiettivo educativo a cui era finalizzato e la sua capacità di produrre significative ricadute all’interno dell’intera comunità scolastica. I progetti delle scuole venivano sottoposti alla valutazione di una commissione provinciale che provvedeva ad inviarli, con un ordine di priorità, al Ministero presso l’ufficio del coordinamento che, cosa rara, veniva espressamente menzionato nelle suindicate persone che lo componevano.

Ho detto prima che è stata protagonista del progetto anche in campo internazionale perché ricordo che partecipò ad un incontro dei Paesi dell’unione Europea sul tema della memoria storica dei giovani e che in quell’incontro ebbe molto a discutere per affermarne la validità e l’opportunità di estenderlo negli altri paesi dell’Unione.

 

Non posso affermare di aver ricordato in maniera adeguata l’intesa attività svolta in quegli anni dall’ispettrice Sgherri. Vi sarebbe altro da dire anche perché ha fatto parte del gruppo degli ispettori impegnati nell’attuazione dell’autonomia scolastica, attività anch’essa affidata al coordinamento della direzione classica e magistralmente organizzata e diretta dal collega Cosentino.

Giuseppe Cosentino

Sono stato molto lieto dell'invito, rivoltomi dalla preside Stancanelli, a partecipare a questa iniziativa in onore ed in ricordo di Anna Sgherri, che si propone di confrontare, non so se con qualche malizia, la “Buona scuola” di Anna con l' attuale ipotesi di riforma.

Con Anna ci siamo incontrati in un momento professionale particolarmente significativo per entrambi - era la fine degli anni ottanta- momento che coincise con la fase delle cosiddette “sperimentazioni” di “ordinamento e struttura”, previste dall'art 3 del DPR n 419 del 1974 (era uno dei famosi “decreti delegati”), promosse dalla Direzione dell'istruzione Classica, scientifica e magistrale in vista di future riforme dell'ordinamento liceale, fase che personalmente ricordo con nostalgia - e non solo perché eravamo tutti molto più giovani - ma per la passione e l'impegno di molti dei protagonisti di allora e per quella convinzione diffusa di essere protagonisti di un tentativo di cambiamento dal basso dei vecchi percorsi liceali e dell'istituto magistrale, ritenuti bisognosi di aggiornamenti nei contenuti e nei metodi.

E, proprio vero che ogni generazione è convinta di essere “per la prima volta” protagonista del cambiamento e di operare “svolte storiche” e “ rivoluzioni copernicane”!

Io avevo appena vinto il concorso a dirigente e, venendo da precedenti esperienze professionali tutte giuridiche - contenzioso e disciplina negli anni '70 - fui proiettato, come dirigente della sperimentazione, nel mondo vero della scuola, del dibattito sui curricoli, del confronto, anche aspro ma costruttivo, in cui le posizioni non erano mai unidirezionali ed “assertive” ma, come si direbbe oggi, ci si “metteva veramente la faccia”, con incontri diretti con dirigenti e docenti che avevano lo spazio e l'opportunità per discutere realmente proposte e soluzioni per i processi di innovazione (attraverso “seminari di studio” e produzione di materiali), utilizzando a tal fine anche lo strumento dell'aggiornamento su rete.

Anna aveva anche lei vinto da poco un concorso ispettivo - il primo con la nuova normativa - che aveva superato il modello un po' autoritario, anche se di grande prestigio, dei vecchi ispettori centrali (penso a Tomassino, alla Berselli, a Santoro) ed aveva selezionato un gruppo di ispettori tecnici periferici - figura fino ad allora sconosciuta almeno nelle scuola secondaria - di grande professionalità ed entusiasmo, formatisi sui valori della scuola “partecipata” dei decreti delegati - siamo alla metà degli anni '80 - e convinti che le riforme non siano mere espressioni di “ingegneria istituzionale” e dunque non debbano “calare dall'alto” ma, al contrario, siano processi che vedano l'incontro tra l' esperienze delle scuole - che riflettono sulla loro azione didattica - ed un personale “esperto” - in primis i nuovi ispettori ma anche università ed associazioni professionali, nonché, all'epoca,gli IRRSAE - capace di stimolare le innovazioni proposte ma anche riconoscere e valorizzare, sistematizzandole, le “migliori pratiche”, rendendole in tal modo trasferibili ad altri contesti, seppure con i necessari adattamenti.

Ricordo ancora l'entusiasmo, la professionalità e l'impegno di Anna, di Elena Bertonelli, di Lucia Ciarrapico, di Chiara Croce, di Antonio Portolano, di Luciano Favini, di Sandra Perugini Cigni, di Marta De Vita, di Anna Piperno e di Clavarino e di tanti altri che crearono un clima veramente irripetibile.

Ma ricordo anche tanti presidi e professori che erano protagonisti alla pari di questo dibattito dalla Giancotti alla Miola a Mori, allo stesso Rembado, tanto per citarne alcuni.

Furono quelli gli anni in cui si sviluppò, attraverso le sperimentazioni di cui all'art 3 del DPR 419/1974, in coerenza con lo spirito dei decreti delegati, un processo di superamento del vecchio liceo gentiliano, introducendo nuovi percorsi di studio - tra tutti ricordo il liceo linguistico, prima di allora solo privato, ed il liceo pedagogico, psicopedagogico e delle scienze umane e sociali - ma, soprattutto, si proposero curricoli più ricchi e più flessibili, con il rafforzamento dell'area linguistica e matematico-informatica, organizzati per obiettivi di apprendimento - in relazione ai quali sviluppare l'autonomia didattica e di ricerca - e non per programmi rigidi. Negli stessi anni, a conferma di un “clima generale”, ci furono le sperimentazioni di Caruso nell'Istruzione tecnica, sviluppate poi da Trainito, e di Martinez nell'istruzione tecnico professionale (“Progetto 92”).

Gli esiti di queste complesse esperienze furono ricchi di luci, soprattutto sotto il profilo delle motivazioni e della ricerca educativa ma anche di ombre, pur se non ci fu un vero bilancio finale per l'intervento di successive iniziative ministeriali di sistema (Riforme Brocca e Berlinguer). Certamente pesò allora la mancanza di un sistema di valutazione, poi introdotto da Berlinguer, capace di intervenire tempestivamente su derive autoreferenziali che, in alcuni casi resero perfino incoerenti i percorsi curricolari rispetto agli esiti attesi, tanto più in presenza del valore legale dei relativi titoli di studio (penso ai licei linguistici negli istituti magistrali).

Ma tuttavia ritengo che il ruolo di accompagnamento e supporto svolto da quegli ispettori, con incontri frequenti con gruppi di dirigenti e di docenti, diede vita ad una esperienza di grande spessore, in cui i temi della didattica, delle competenze, dei “nuclei fondanti” delle discipline e del loro statuto, dell'autovalutazione, divennero centrali nel dibattito delle scuole più avanzate e lasciarono una eredità di elaborazioni fondamentali per i successivi interventi “riformatori” costituiti prima dal “progetto Brocca” - i Piani di studio del biennio sono del 1991, quelli del triennio del 1992 - e poi dall'intervento complesso di Berlinguer (legge 30, autonomia, parità e Invalsi) - interventi tutti purtroppo non realizzatisi compiutamente per il successivo cambiamento del quadro politico.

Ricordo in questi anni lo straordinario impegno di Anna, teso a fare sintesi continua tra le proposte del Ministero e le richieste della scuola, senza indulgere né nella difesa incondizionata degli obiettivi assegnati dal “centro”, né nelle eventuali derive autoreferenziali delle singole scuole ma, al contrario, attenta alle esigenze reali degli apprendimenti, interpretando correttamente l'autonomia delle scuole come una “funzione” orientata al successo formativo.

Fu in quella fase che, con alcuni colleghi e con l'Irrsae Marche, promosse e realizzò un' importante sperimentazione, che andrebbe ancor oggi studiata, sulla misurazione del differenziale tra le competenze possedute dagli alunni all'inizio e alla conclusione del “biennio Brocca” (Progetto “Prometeo”). Fu, credo, una delle prime esperienze di valutazione non dei livelli assoluti delle competenze possedute dagli alunni in un determinato momento ma del “miglioramento” da essi realizzato, durante il biennio, rispetto ai livelli di partenza.

Vorrei ricordare al riguardo che già i Programmi del progetto “Brocca”, tenendo conto proprio delle esperienze delle sperimentazioni “autonome” erano articolati per Finalità, Obiettivi di apprendimento e Indicazioni specifiche per le singole discipline, superando in tal modo i vecchi rigidi programmi ministeriali che predefinivano contenuti e tempi dei curricoli.

La preside Stancanelli, nostra cortese ospite, mi ricordava che ci siamo conosciuti all'incontro organizzato con Anna ed altri ispettori in una sala del ministero dei beni culturali, la famosa “sala dello Stenditoio”, quando in piena estate, credo fosse giugno, si decise di far partire in 56 scuole il progetto Brocca sin dal settembre successivo. Ciò fu in realtà possibile proprio perchè quelle scuole venivano quasi tutte dalle precedenti sperimentazioni ed avevano pertanto collaudati strumenti di governance ed esperienze mature nell'elaborazione, gestione e autovalutazione del curricolo.

La traumatica interruzione del processo di riforma che era stato così efficacemente portato a sintesi da Berlinguer alla fine degli anni '90, e soprattutto il mancato esplicito chiarimento circa le ragioni del dissenso tra due anime della sinistra ha avuto un peso assai negativo sulle motivazioni di tutti i dirigenti e i docenti che nelle riforma Berlinguer aveva effettivamente e largamente creduto, (penso all'avvicendamento con De Mauro nell'ambito di un Governo di centrosinistra), e, a mio avviso, sono per certi versi ancora alla base anche del conflitto oggi in atto sulla riforma Giannini.

Forse bisognerebbe che ci fosse un vero chiarimento senza continuare a contrapporre tesi reciprocamente del tutto assertive ed autoreferenziali.

Ricordo ancora l'amarezza di Anna per la brusca interruzione di un 'esperienza così ricca di speranze e di prospettive!

 

A proposito della “lezione” di Anna per fare una “buona scuola”, farò ora un brevissimo riferimento alla fase attuale - cosa che in fondo ci richiede implicitamente il titolo del nostro incontro odierno - per capire in che modo il suo “metodo” potrebbe risultare ancora utile per “inverare” nella didattica reale le proposte della riforma della legge 107.

Sono convinto innanzitutto che il quadro di riforma dell'attuale Governo, generosamente difeso pubblicamente da Luigi Berlinguer, sia in effetti figlio di quella stessa stagione di cambiamento prima ricordata, che mirava ad attribuire all'autonomia delle scuole un ruolo centrale nel definire curricoli flessibili ed adeguati alle concrete domande formative degli alunni, tenendo conto dei contesti.

Una significativa continuità va, a mio avviso, del resto riscontrata nell'obiettivo di fondo di tutti i processi di riforma di questi anni - dalla Conferenza nazionale della scuola del '90 di Mattarella alla legge 107 della Giannini - e cioè quello di promuovere una scuola che superi la tradizionale impostazione metodologico didattica - cattedratica, uniforme e trasmissiva dei saperi - per sviluppare invece un insegnamento più “personalizzato”, metodiche interattive e laboratoriali, capaci di promuovere competenze reali (testa ben fatta anziché testa piena avrebbe detto Edgar Morin), peraltro più coerenti anche con gli attuali apprendimenti in ambiente tecnologico. Ciò comporta una diversa organizzazione della didattica, che nasca dall'esigenza di collegare gli insegnamenti formali, informali e non formali, e attribuisca al docente un ruolo di professionista, mediatore tra i saperi e gli apprendimenti, capace di “dare senso” agli insegnamenti attraverso una corretta analisi disciplinare, che consenta non solo l'utilizzo delle mappe cognitive di ciascuna disciplina ma tutti gli altri elementi del loro “statuto” - “aspetti metodologici, storici, linguistici”, vedendo nelle discipline, come ricordava Frabboni, una sorta di“cannocchiali” differenziati dell'unica realtà. Discipline intese in sostanza come esiti di apprendimenti sociali che promuovano gli apprendimenti individuali.

L'obiettivo è l'acquisizione di competenze da intendersi non solo come competenze professionali ma come la capacità di padroneggiare ed utilizzare le conoscenze operative in contesti diversi. Ciò presuppone il carattere collegiale e il metodo cooperativo nell'insegnamento, aspetti ripresi del resto dalla legge 107 dopo il passaggio parlamentare.

Ma c'è di più. Accanto alla finalità della scuola di trasmettere i saperi da una generazione all'altra, c'è sempre più l'esigenza di trasmettere i valori, di promuovere l'identità dell'alunno e nel contempo lo sviluppo del suo senso di appartenenza rispetto alle diverse comunità (integrazione) e rispetto a sé stesso (interventi per l'integrazione e la legalità, contro bullismo, e omofobia).

Vanno ricordatie poi le nuove domande cui la scuola deve rispondere, dell'esigenza di un più stretto collegamento scuola lavoro e di più efficaci rapporti con il territorio.

In questa prospettiva la riforma Giannini mi sembra si collochi in piena continuità rispetto non solo ai principi in precedenza elaborati ma anche alle stesse concrete disposizioni normative ricavabili dai provvedimenti in passato adottati (si pensi al regolamento sull'autonomia).

Trovo anzi al riguardo un pò ingenerosa, e per certi aspetti controproducente, la ricorrente enfasi “nuovista”, assertiva di un' ennesima “svolta Copernicana”, che è emersa, almeno in passato, in molti commenti, nonostante l'evidente continuità dell'impianto chiaramente riconducibile a quello del regolamento sull'autonomia (DPR n 275/1999), se non addirittura a molti principi delineati nella Conferenza nazionale della Scuola del 1990 promossa dall'allora ministro Mattarella.

Il punto vero è allora quello di capire se, rispetto agli obiettivi sostanzialmente condivisibili della riforma, in gran parte coerenti con quelli di Berlinguer, ci siano nell'attuale legge e nei primi atti applicativi indicazioni concrete che dimostrino la consapevolezza delle criticità emerse in passato su analoghi obiettivi e la capacità di indicare soluzioni credibili per superare tali criticità. Al riguardo credo che la riforma Giannini, pur nella rilevata sostanziale continuità con gli obiettivi del processo di innovazione in atto da molti anni, presenti ancora alcune criticità, già peraltro emerse nel mondo della scuola, come quelle relative alle soluzioni insufficienti adottate per il precariato, inadeguate rispetto al fabbisogno effettivo di docenti nelle scuola, alla enfatizzazione del ruolo dei dirigenti scolastici, peraltro non solo non corrispondente ad effettivi poteri reali, ma, soprattutto, in contrasto con la riaffermate collegialità e cooperatività dell'attività docente, alle discutibili scelte sulla formazione iniziale (troppo lungo il tempo della formazione, troppo divisi i ruoli dell'università e della scuola, non risolto il problema del rapporto tra abilitazione e ruolo). Suscitano anche perplessità la carenza di risorse e di apparati organizzativi per assicurare l'effettiva generalizzazione dell'insegnamento dell'inglese - si pensi alle precedenti negative esperienze, per i medesimi motivi, del Clil nelle superiori e dei docenti specializzati alle elementari - della matematica rafforzata, della musica, dell'arte, delle scienze motorie, delle tecnologie ecc. e di tutte le altre discipline, tenuto altresì conto che l'organico dell'autonomia, oltre ad essere formato in questa prima fase dai docenti delle Graduatorie ad esaurimento - titolari di classi di concorso spesso meno richieste - è comunque destinato prioritariamente alle supplenze brevi, i cui stanziamenti sono stati contestualmente ridotti.

Lo stesso, pur positivo, rafforzamento dei percorsi scuola lavoro - già peraltro previsti da normative precedenti - non sembra aver del tutto risolto il problema delle risorse per l'intera platea degli alunni interessati (circa un milione e mezzo nei tre anni, per 200 ore nei licei e 400 negli istituti tecnici e professionali) e soprattutto deve affrontare il problema della effettiva disponibilità generalizzata delle imprese (non c'è ancora l'albo delle imprese disponibili).

Ma al di là di questi aspetti”amministrativi” e finanziari, che riguardano sostanzialmente i profili di “ingegneria istituzionale”, un brevissimo approfondimento merita soprattutto l'aspetto curricolare dell'ampliamento dell'offerta formativa che, a mio avviso, è trattato dalla legge più alla stregua di una integrazione di discipline (più educazione linguistica ed alfabetizzazione informatica, introduzione dell'insegnamento musicale e finanziario, della storia dell'arte e dell'educazione motoria) che come un problema di ricerca per la definizione dei “nuclei fondanti” e delle competenze attese relativi a ciascuna disciplina ed all'insieme delle discipline, in vista di una vera interdisciplinarietà, funzionale a definire l'apporto che ogni disciplina deve coerentemente offrire al raggiungimento del profilo di uscita e degli obiettivi di apprendimento di ciascun tipo di istituto. Il metodo di Anna puntava appunto, al di là delle diverse proposte legislative di riforma, ad un'attenta analisi delle varie componenti dello statuto delle discipline, in particolare ovviamente di quelle storiche, filosofiche e delle scienze umane e sociali, in modo da promuovere le condizioni più favorevoli per creare una rete di supporto ai docenti, ai fini della formazione e della ricerca educativa sugli aspetti metodologici, pedagogici e di nuova didattica delle discipline, in una prospettiva di unitarietà ed identità del curricolo di ciascuna scuola.

Questa azione veniva realizzata - e molti di voi ne siete stati testimoni - attraverso periodici incontri, seminari, progetti di ricerca, interventi di monitoraggio (ricordo ancora il Progetto Prometeo), che adattavano processualmente gli obiettivi proposti dal ministero alla concreta realtà emergente dal confronto svolgentesi all'interno delle reti di scuole.

Ciò dava sicurezza ai docenti ed evitava quei fenomeni di “inadeguatezza” o di adesione solo formale che hanno caratterizzato molti processi di innovazione.

In questa direzione, nell'attuazione della legge 107, penso bisognerebbe lavorare molto con le scuole, con le università e con le associazioni professionali, creando una grande “comunità” di ricerca educativa.

 

Nel concludere vorrei infine ricordare le doti umane di Anna che anche nelle occasioni più difficili - e non ne sono mancate - è stata per tutti un punto di riferimento per la sua competenza ma anche per la capacità di cogliere con equilibrio i punti di criticità del processo, senza tuttavia arrendersi anche nelle situazioni più complesse, ma al contrario infondendo entusiasmo, motivazioni e senso di appartenenza ad un gruppo. Credo che questa piccola, intensa, “comunità”, che si è ritrovata oggi nel ricordo di Anna costituisca in questo senso una sua preziosa eredità, coerente con la sua profonda affettività ed il suo interesse per gli altri, che coniugava con il rigore e la riservatezza, attenuati tuttavia da un'ironia mai cinica.