“Discorsi” e pratiche per la governance delle politiche scolastiche
Roberto Serpieri
introduzione a: Roberto Serpieri, Governance delle politiche scolastiche, La Provincia di Napoli e le Scuole dell’autonomia con un’intervista ad Angela Cortese, collana di Sociologia Franco Angeli
Sull’autonomia delle scuole si è scritto e detto molto con riferimento all’incompiutezza della realizzazione del “progetto” che sosteneva la riforma.
È vero che solo immagini troppo ingenue dei processi di riforma, in particolare nel nostro paese, potevano lasciare prevedere una veloce e compiuta “fine dei lavori in corso”, per riprendere l’ampiamente citata metafora del cantiere. L’attuazione di una riforma, piuttosto, va vista come un puzzle o come una “scatola cinese”, di cui le tessere o le scatole più piccole, rappresentano ingredienti fondamentali per la sua messa a punto, il cui assemblaggio, tuttavia, non può essere dato per scontato. Così, l’autonomia scolastica ha richiesto l’individuazione e l’implementazione di un insieme di politiche, le tessere o le scatole minori, appunto, per la sua realizzazione.
Una delle politiche è quella che ha riguardato e sta ancora riguardando, per certi versi, la costituzione degli attori: il caso, forse, più emblematico essendo rappresentato dalla “nascita” della dirigenza scolastica. Quest’ultima, riqualificando i “vecchi” presidi e direttrici didattiche1, e rinnovando i propri ranghi con le tortuose vicende concorsuali “all’italiana” (Serpieri, 2008; 2007c), si trova a dover compiere, più che scegliere, le proprie interpretazioni di ruolo a fronte di «pressioni istituzionali» altamente contraddittorie (Romano, Serpieri, 2006). In tal senso, si è proposto di leggere queste contraddizioni come una vera e propria «guerra tra discorsi» (Serpieri, 2007b; 2007c), intesi come «regimi di verità» (Ball, 2006) che impongono scenari, missioni, valori e pratiche e che abilitano nella presa di parola alcuni attori, piuttosto che altri ai quali questa viene interdetta. Si confrontano, infatti, sulla scena delle politiche scolastiche almeno quattro discorsi (Serpieri, 2008; 2007a; 2007b; 2007c) di cui i primi due, burocratico e professionale, caratterizzanti il nostro sistema pre-amministrativa dell’impianto del settore pubblico italiano; il secondo, contraddistinto dalla pretesa del riconoscimento di spazi di discrezionalità per l’esercizio delle competenze professionali, pur in contesti organizzati. Le scuole della preautonomia, non a caso, sono state interpretate come molto prossime alla configurazione organizzativa della «burocrazia professionale» (Benadusi, Serpieri, 2000).
Gli altri due discorsi, relativamente più recenti, perchè apparsi proprio come sostenitori della stessa svolta dell’autonomia, attingono ad orizzonti politico culturali contrastanti per le reinterpretazioni della crisi dei sistemi di welfare (Olssen et al., 2004). Da un lato, quello manageriale volto alla introduzione di logiche di (quasi)mercatizzazione nel settore pubblico, attraverso un arretramento del ruolo dello Stato ed un progressivo affidamento a dinamiche di competizione fondate sulle scelte dei consumatori, studenti e famiglie nel caso della scuola. Dall’altro lato, quello democratico-critico rivolto, appunto, contro le derive neo-liberali, sia per rivitalizzare le occasioni (spesso “tradite” dagli organi collegiali) di dialogo dentro la comunità professionale, che, soprattutto, per sviluppare quello con gli attori e le comunità dei contesti locali in cui le scuole vanno radicandosi.
La guerra tra discorsi sta producendo anche nuove e contrastanti politiche di ri-costituzione di altri attori come gli stessi docenti, in termini dei processi di selezione, formazione, valutazione, carriera e differenziazione tra ruoli professionali (Cavalli, 2000). Ma ciò che rileva particolarmente in questa sede, è come tale guerra ci fa leggere in una luce disincantata anche le politiche di riconfigurazione dei ruoli istituzionali derivanti da un’altra politica che fonda il ridisegno non solo del sistema scolastico, ma della Pubblica Amministrazione nel suo complesso: ovvero, la politica di decentramento. Con l’impianto che va dall’autonomia al d.lgs 112/98, al Tit. V della Costituzione riformato, infatti, il sistema scolastico non appare più ruotare intorno al Ministero come centro motore di un assetto gerarchico, piramidale, ma «[l]’organizzazione del sistema di governo della scuola che ne deriva appare caratterizzato da un accentuato policentrismo» (Morzenti Pellegrini, 2006: 13; c.m.).
L’«eclissi della burocrazia» (Landri, Benadusi, 2002) ministeriale della pubblica istruzione, allora, va rivista come una profezia in buona parte non auto-avverantesi e ciò in modo del tutto comprensibile, come risultato di un’accanita “resistenza” del discorso burocratico da un lato, ma anche per la perdurante debolezza degli altri discorsi e dei suoi interpreti. Così, è possibile parlare di un neo-centralismo statale di ritorno, sia che questo si esplichi direttamente al centro, che nelle sedi periferiche della burocrazia ministeriale, con la rivitalizzazione degli ex-provveditorati provinciali nei riconvertiti Uffici Scolastici Provinciali o con la “durezza” del ruolo ancora mantenuto dagli Uffici Scolatici Regionali in materia di allocazione di risorse decisive, come il personale dirigente e docente. Una sconfitta del discorso professionale può, invece, essere rintracciabile nel mancato decollo dei CIS (centri di servizi), così come nello svuotamento sostanziale del ruolo tecnico-ispettivo, quali strutture tecniche per il supporto della scuola dell’autonomia.
Ma, allo stesso tempo, anche gli enti Regioni potrebbero essere visti come potenziali interpreti di un neo-centralismo regionale, talvolta seriamente compromesso dalla prevalenza del discorso burocratico. Ed anche gli altri soggetti del decentramento, come le Province e i Comuni, rischiano di scontare un prevedibile deficit di adeguamento delle risorse, non solo strutturali e finanziarie, ma anche «regolative, normative e cognitive» (Scott, 1998) per decidere ed attuare politiche scolastiche adeguate alla sfida dell’autonomia. In altri termini, i vari attori istituzionali, nel loro ruolo ristrutturato dalle politiche di decentramento del sistema scolastico, devono dotarsi di competenze per governare attraverso strumenti e dispositivi non più esauribili all’interno del discorso burocratico. La regolazione giuridica e amministrativa, infatti, non appare più sufficiente per indirizzare, coordinare e cooperare attraverso un agire che non può più essere imperativo e che invece deve essere «impostato sul principio del far fare (e anche del “lasciar fare”)» (Bifulco, de Leonardis, 2006: 33).
Gli altri discorsi, professionale, manageriale e democratico offrono allora altre sponde per generare tali competenze, per implementare tali dispositivi in modo da produrre integrazione e coordinamento nelle politiche che interfacciano gradi sempre più elevati di interdipendenza e complessità (Kooiman, 2000). Ed in effetti, problemi di integrazione nelle politiche pubbliche si pongono sempre più spesso, non solo nella classica accezione di integrare materie diverse: il sociale e il sanitario, l’urbanistica e l’ambiente, il lavoro e la formazione, ecc. La crescita, infatti, della complessità e della interdipendenza nell’ambito della stessa materia, come avviene per le politiche scolastiche richiede di attuare una politica intra-settorialmente integrata tra i diversi attori e discorsi dispiegati sul campo, forse anche prima dell’integrazione intersettoriale e tra materie. Ciascuno degli attori istituzionali, infatti, privilegia in modo differenziato sia stili cognitivi (routine e pratiche), che orientamenti normativi e di valore, nonché ovviamente interessi, ispirati a diversi discorsi2.
Laddove, quindi, la regolazione gerarchica non è più adeguata per affrontare ambienti di governance, la questione dell’integrazione verticale ed orizzontale (si pensi al tema della sussidiarietà) e del coordinamento delle politiche, anche nell’ambito della stessa materia, rimanda all’attivazione di strumenti e dispositivi che a loro volta pongono problemi di scelta tra i discorsi. Secondo affermate dicotomie (cfr., D’Albergo, 2002; Donolo, 2005; Fedele, 2002), ad es., mentre il discorso manageriale offre chance di soluzione dei problemi di integrazione e coordinamento attraverso meccanismi di (quasi)mercato, quello democratico si affida al dispiegarsi di una visione dialogica e partecipativa, attraverso «la costruzione e l’alimentazione di arene politiche» (Bifulco, de Leonardis, 2006: 37).
In seguito alla riforma dell’autonomia, quindi, le politiche scolastiche si trovano ad affrontare tipici problemi di integrazione e coordinamento tra attori interpreti di discorsi distinti e talvolta confliggenti e, spesso, neanche omogeneamente e coerentemente rappresentati sulla scena dagli attori stessi.
Questo volume ne vuole essere una testimonianza, presentando un caso nel quale un “nuovo” attore sul palcoscenico del sistema decentrato dell’autonomia scolastica si è mosso per assicurare integrazione e coordinamento nella governance delle politiche scolastiche in un territorio ad alta problematicità economica e sociale: la Provincia di Napoli, in particolare l’Assessorato alle Politiche Scolastiche e Formative, Edilizia e Pianificazione Scolastica, Pari Opportunità. Attraverso un lavoro pluriennale, infatti, di aggiustamenti tra le logiche dei vari discorsi si sono esplorati e dispiegati strumenti e risorse, così come se ne sono attivate di «significazione» (Giddens, 1984) e di «imaginery» (Newman, 2005), per decidere ed attuare le politiche per la scuola dell’autonomia: il ricorso a sistemi informativi e al consolidamento di rapporti con il mondo della ricerca e dell’Università, di cui questo stesso volume è testimone; la valorizzazione della logica spaziale come luogo di integrazione, ovvero della costituzione di strumenti territoriali di governance; l’innovazione, attraverso il sostegno a progetti definibili di vera e propria cittadinanza per gli studenti, particolarmente cruciali in aree dove non solo lo sviluppo e le possibilità di lavoro, ma la stessa convivenza democratica, sono messe a rischio dalla presenza di sacche endemiche di delinquenza organizzata; la circolazione delle conoscenze ed esperienze in momenti e luoghi dedicati; etc.
Così, il libro si apre con un’intervista ad Angela Cortese3 che, in merito al dispiegarsi delle politiche scolastiche portate avanti nei suoi due mandati assessorili, si è “calata” con impegno e passione nel suo ruolo di policy entrepreneur (Grimaldi, Serpieri, 2008) per ideare, sostenere e sviluppare politiche all’altezza delle sfide poste dall’autonomia. E ciò sia per affrontare le complessità del territorio napoletano, che per curare il contesto delle relazioni tra attori istituzionali, che per armonizzare, e talvolta anche contrastare4, le politiche scolastiche provinciali con quelle nazionali e regionali.
Una ricostruzione degli scenari possibili delle interazioni verticali ed orizzontali tra le istituzioni e le stesse scuole dell’autonomia viene poi offerto da Morzenti Pellegrini. Nel suo capitolo5 si sostiene con lucidità esemplare la necessità – per riprendere il titolo di una stimolante raccolta di saggi (Donolo, 2006) – di un «futuro delle politiche» scolastiche che non può non risultare in una stretta collaborazione ed integrazione delle strategie ed azioni sia degli enti locali che delle stesse scuole, intese appunto come principali «istituzioni» per interpretare lo spirito della riforma dell’autonomia.
L’ideazione ed attuazione di un organismo interistituzionale, le Conferenze di Ambito, da parte della Provincia di Napoli, rappresentano, pertanto, un caso in cui si utilizza, quale cornice di institution building (Donolo, 2002), la «territorializzazione, per indicare il fatto che l’integrazione spinge all’immersione delle politiche nei territori in cui operano» (Bifulco, de Leonardis, 2006: 39). La scelta di fare politica attraverso il territorio implica, dunque, il ricorso a stili cognitivi già sperimentati con successo, come quando la Provincia ha utilizzato come base di aggregazione territoriale gli stessi ambiti provinciali già delineati per le politiche di sviluppo, o come quando ha connesso tali ambiti con quelli individuati dalla Regione Campania per la redazione dei Piani di Zona per le politiche sociali di attuazione della L. 382/00. La politica attraverso il territorio, cioè, si presenta anche come un potente fattore di integrazione delle politiche di vario livello e materie. Gli stili cognitivi testimoniano anche la capacità da parte degli imprenditori di policy di una mobilitazione del discorso professionale, attraverso il ricorso all’expertise delle reti professionali (Brown, Duguid, 2000), diffuse tra le diverse istituzioni.
La scelta del territorio, in questo caso specifico della Provincia di Napoli, implica anche la priorità del discorso democratico rispetto a quello manageriale, nel dare spazio e “fiducia” agli attori, quelli provinciali nella componente politica, amministrativa e tecnica, quelli regionali e comunali, quelli della scuola, i dirigenti dell’autonomia, e di altre istituzioni (associazioni imprenditoriali, Centri per l’impiego). L’orientamento normativo su cui si sono sintonizzati gli strumenti regolativi e le routine e le competenze degli stili cognitivi, infatti, è stato quello di privilegiare la logica dell’argomentazione e della partecipazione in arene, le Conferenze, costruite e supportate ad hoc per l’attivazione di politiche scolastiche (come l’Offerta formativa, l’orientamento, l’edilizia, i servizi e gli spazi – trasporti, laboratori, palestre, ecc.), per quanto possibile, condivise ai vari livelli.
Diversi capitoli del volume sono, allora, dedicati all’impresa di costituire questi luoghi interistituzionali per l’integrazione, vista la complessità dei dispositivi ed anche la relativa novità degli strumenti dislocati. Il ruolo della condotta strategica degli attori, come, ad es., l’interpretazione del processo di leadership, la loro capacità di monitoraggio riflessivo, anche per fronteggiare gli effetti imprevisti, sono stati esplorati e discussi nel cap. 3, alla luce degli studi e ricerche ispirate dalla teoria della “strutturazione”. Uno dei risultati più significativi risulta, dunque, la distinzione tra le pratiche delle «front» e «back regions» (Giddens, 1984): laddove, mentre nelle prime si sperimentano ed esplorano le potenzialità del discorso democratico in arene collettive e pubbliche, nelle seconde si ritorna alla più confortevole, perché già radicata in collaudate routine, pratica del discorso burocratico (l’agire gerarchico) e, per certi versi, di quello manageriale (l’agire per negoziazione di interessi) in spazi “privati”. Come si è osservato anche in altra sede (Grimaldi, Serpieri, 2008), la possibilità delle prevalenza delle prime va spiegata anche con logiche istituzionali di «path dependency» (Meyer, Rowan, 2006), oltre che con il ricorso all’agire strategico degli attori. La ricerca ha, infatti, mostrato come sia più probabile l’affermazione di reti cooperative in quegli ambiti territoriali definibili come contesti di «rich partnership» (Sterling, 2005) o, detta in altri termini, a più alta densità di “capitale sociale”.
Anche il discorso professionale, come già detto, gioca la sua parte e nei capitoli 4 e 5 si dedica ampio spazio alla dotazione di competenze e risorse di conoscenza per la governance sia interna, che esterna all’Area Programmazione Scolastica, la struttura della Provincia di Napoli, che sovrintende alle politiche scolastiche. Gli ambienti istituzionali di tali politiche, come si è visto, si sono resi sempre più complessi non solo per effetto delle riforme, ma anche per le modalità con le quali la stessa Provincia ha inteso affrontarle: ovvero provocando la produzione di altri effetti, innestando, per così dire, sulla causalità del cambiamento esogena una di tipo endogena. Come si è avuto modo di osservare altrove (Grimaldi, Landri, Serpieri, 2006), i tentativi di ordinamento hanno prodotto anche dis8 ordinamento, in un processo per certi versi inesauribile di progressivi aggiustamenti e ri-aggiustamenti: ogni organizzare è, infatti, un disorganizzare (Clegg et al., 2005).
Nel capitolo 4 si tenta di comprendere attraverso quali modelli di «architettura della conoscenza» (Amin e Cohendet, 2004) la strutturazione interna dell’Area ha risentito della modifica delle routine, dell’introduzione di nuovi strumenti e prassi di lavoro attraverso cui i flussi, così come i supporti tecnologici, informativi hanno inciso quali-quantitativamente sulla comunicazione e sull’interazione tra le diverse «knowing communities» professionali operanti nell’Area. Così, le tradizionali competenze giuridiche ed amministrative si sono integrate con competenze economico-finanziarie, statistiche, sociologiche, pedagogiche, informatiche, ecc., creando un nuovo assemblaggio di risorse di conoscenza, di codici e criteri di classificazione.
Con particolare riguardo alla natura dei cambiamenti nei sistemi informativi, ed anche sfruttando comparativamente una ricerca condotta su processi analoghi nella Provincia di Bologna (Romano, 2008), nel capitolo 5 si riprendono le ricerche ispirate al “realismo critico” sui processi di conoscenza e le nuove tecnologie. Si dimostra come la “durezza” degli artefatti tecnologici come gli stessi software, o dei dati di contesto (gli istituti scolastici nella Provincia di Napoli sono ben 175, circa 4 volte quella di Bologna), ecc., costringono il volontarismo degli attori sociali riducendone significativamente gli spazi di azione. In tal modo, ad es., la stessa struttura dei processi informativi, al di là delle intenzioni degli attori, producono effetti inattesi, indebolendo la possibilità e non solo la volontà degli Istituti scolastici di rendere tali flussi pienamente efficaci. Ciò rimanda, pertanto, alla necessità di affiancare il discorso democratico a quello professionale, per sviluppare modalità dialogiche tra i diversi utenti (ad es., provinciali e scolastici) nella progettazione dei sistemi informativi.
Le modalità del funzionamento delle Conferenze d’Ambito, per rendere operanti i processi di governance interistituzionale attraverso un lavorìo pluriennale di costruzione degli stessi processi, sono poi ulteriormente esplorate, rispetto a quanto già trattato nel cap. 3. Utilizzando una contaminazione della tipologia delle «architettura della conoscenza» con la modellistica dei sistemi di governance proposti dalla Newman (2001), sempre nel capitolo 4, si è individuata la modalità con cui nelle Conferenze il modello del «governo gerarchico», viene progressivamente eroso, anche se mai del tutto soppiantato, da altre forme di governance, in cui l’integrazione ed il coordinamento vengono perseguiti attraverso un mix di delega, di concertazione e di empowerment. In altri termini, il discorso burocratico, peculiare dell’aministrazione e quello professionale, tipico delle scuole sono contaminati dagli altri due discorsi, quando tali istituzioni, gli enti locali e le scuole, sono costrette a dialogare e/o negoziare. La tendenza prefigurata, ma non del tutto scontata negli esiti, nella governance delle politiche scolastiche dalla Provincia di Napoli sembra quella del dialogo, interpretando quindi prevalentemente una vocazione al discorso democratico, piuttosto che a quello manageriale.
Il dialogare delle Conferenze, proprio per testimoniare i contenuti veicolati e le forme attraverso cui si svolge tale dialogo, viene poi esaminato nel capitolo 6 con ricorso a tecniche interpretative e di codifica tratte dalla tradizione di ricerca qualitativa della «grounded theory». Le mappe e le categorie concettuali elaborate dagli attori nel dialogo vengono così illustrate, rendendo, ad es., in modo efficace lo sforzo e l’abilità dell’Assessore come imprenditore di policy nel riadeguare e rimodulare le logiche comunicative proprie della relazione burocratica con quella dialogica e le energie dedicate al fare in modo che le seconde venissero appropriate anche dagli altri attori, in primo luogo gli stessi dirigenti scolastici.
Il capitolo 7 è dedicato ad una ricostruzione di come la Provincia negli anni ha progettato e implementato politiche scolastiche da armonizzare nel quadro degli “Obiettivi” di Lisbona. Tra tali politiche, in particolare, si segnalano quelle dell’Osservatorio per la Programmazione Scolastica che ha incentrato le proprie attività su ricerche finalizzate ad affrontare tematiche particolari come quelle della dispersione scolastica e dell’orientamento. Un quadro particolarmente denso proprio della fenomenologia della dispersione, con le sue punte particolarmente drammatiche a fronte dei rischi presenti sul territorio della provincia napoletana, è poi presentato nel capitolo 8.
Come si è detto in apertura di questa introduzione, la particolare posizione nell’UPI dell’Assessore Cortese ha spinto quest’ultima ad organizzare, in concorso con l’UPI stessa e con la Facoltà di Sociologia dell’Università Federico II di Napoli, un’occasione per estendere la capacity building istituzionale di governance. Attraverso uno degli strumenti soft (cfr. Bifulco, de Leonardis, 2006), come gli standard, per l’integrazione delle politiche, ovvero quello delle best practices, si è dato luogo ad un “Salone delle buone prassi” per raccogliere, documentare e presentare le esperienze più significative delle Province italiane in materia di politica scolastica. L’ultimo capitolo di questo volume, quindi, riprende la relazione presentata in quell’occasione da chi scrive6 in qualità di responsabile scientifico, in cui le buone pratiche sono organizzate intorno a quattro issues: 1) gli strumenti della governance; 2) l’equità; 3) l’innovazione e 4) l’orientamento scolastico.
In quel Salone, le “buone” pratiche presentate non avevano alcuna pretesa normativa, tipica peraltro del discorso manageriale, di prefigurarsi nell’accezione di best rispetto ad alcunchè. Volevano solo essere un’occasione di dialogo democratico e, semmai, professionale nel senso di una sua rivitalizzazione ed apertura rispetto a tratti tipici di autoreferenzialità delle scuole pre-autonomia. In tal senso, anche questo libro intende offrire uno strumento di documentazione per attingere ad un’esperienza di governance, che nel suo nascere ha a sua volta attinto ad altre esperienze, in particolare la Provincia di Bologna. L’impegno costante, la capacità e la volontà di alcuni attori, politici ma anche tecnici, della Provincia di Napoli, ha dato forma a questa opera di esplorazione ed implementazione di alcuni strumenti e dispositivi di governance: conoscendone lo spirito autenticamente e “modestamente” democratico non hanno certo alcuna pretesa di presentare la loro come una buona pratica. La personale e pluriennale collaborazione di ricerca con loro, tuttavia, mi fa sentire, forse immodestamente, autorizzato a sostenere che questo volume intenderebbe dimostrare come questa loro esperienza, con i suoi successi ed i suoi limiti, rappresenti una pratica del discorso democratico. Se ci sarà riuscito, almeno in parte, sarà anche il modo migliore per esprimere la gratitudine mia personale e dei coautori, nel ruolo di interpreti del discorso professionale, ma anche democratico, per avere avuto l’opportunità di collaborare a tale pratica.
1. La differenza di genere vuole rappresentare un omaggio alle preziose competenze psicopedagogiche e di “cura” relazionale che molto più spesso le donne esibivano significativamente nel loro ruolo, non solo come direttrici, ma anche come presidi!
2. Un caso classico di competizione è certamente quello tra discorso professionale e burocratico che, come è stato osservato, rappresenta un territorio ancora in parte inesplorato per quanto riguarda le «combinazioni tra competenze tecniche e amministrative» (Bifulco e de Leonardis, 2006: 37).
3. Assessore alle Politiche Scolastiche e Formative, Edilizia e Pianificazione Scolastica, Pari Opportunità della Provincia di Napoli dal 2001 ad oggi e coordinatrice degli Assessori alla Pubblica Istruzione per l’Unione delle Province d’Italia dal 2004 ad oggi.
4. Si veda il ruolo giocato in contrapposizione alla riforma Moratti, infra, cap. 1.
5. Dove si riprende, sostanzialmente, la relazione presentata al Convegno “Le Province e i nuovi scenari delle politiche educative”, tenutosi il 29 ottobre 2007 a Napoli in occasione dell’inaugurazione del “Primo Salone delle Buone Prassi Amministrative”, organizzato dalla Provincia di Napoli in collaborazione con l’UPI e la Facoltà di Sociologia dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, con il coordinamento scientifico di Roberto Serpieri.
6. In collaborazione con G. Galano.