Ho avuto la fortuna di essere tra i pochissimi insegnanti che hanno partecipato al laboratorio di peer education che ha concluso i lavori del convegno. A causa della collocazione oraria nella tarda mattinata di venerdì 18, molti colleghi erano già sulla strada del ritorno, mentre altri, approfittando del bel tempo, hanno preferito cogliere l’occasione per ammirare finalmente Verbania e il lago sotto la luce del sole.
Il nostro sparuto gruppetto è stato quindi preso in consegna da una decina di alunni del Cobianchi, che ci hanno coinvolti in una simulazione dell’attività di peer education condotta all’interno dell’istituto, avente come obiettivo la conoscenza e la prevenzione dell’HIV.
I nostri animatori erano ragazzi di quarta provvisti di una specifica formazione, i quali generalmente indirizzano il loro intervento agli alunni del biennio.
La prima fase del laboratorio è consistita in un brainstorming innescato da alcune parole chiave: prima “amore/sesso”, poi “HIV/AIDS”, a cui bisognava connettere parole, immagini, titoli di libri, film, canzoni ecc...Le associazioni prodotte ci hanno permesso di riflettere e di confrontarci sulle differenze tra le concezioni dell’amore del sesso e della malattia più diffuse negli adolescenti e negli adulti.
La seconda fase del laboratorio è consistita in un gioco di ruolo. Quattro di noi sono stati invitati ad uscire dall’aula ed hanno ricevuto un biglietto che descriveva le caratteristiche del personaggio che avrebbero dovuto interpretare: una ragazza che ha scoperto di avere una malattia sessualmente trasmessa; l’amica della ragazza; il fidanzato; l’amica del fidanzato.
Rientrati in aula abbiamo inscenato tre colloqui: la ragazza malata che chiede consiglio all’amica; la ragazza malata che svela la propria condizione al fidanzato; il fidanzato che si confida con l’amica. Al termine della rappresentazione abbiamo discusso dei comportamenti dei personaggi e delle loro reazioni. I ragazzi ci hanno chiesto se avremmo agito come i protagonisti della storia, mentre noi eravamo interessati a sapere in che cosa le nostre interpretazioni di adulti differivano da quelle dei quattordicenni e quindicenni con cui gli animatori del Cobianchi solitamente si confrontano.
Personalmente sono rimasto colpito dalla disinvoltura dei ragazzi, i quali pur avendo di fronte degli insegnanti, hanno saputo condurre il laboratorio con grande scioltezza e spontaneità, senza alcuna traccia di imbarazzo, ma anche con grande autorevolezza, fornendo informazioni chiare e rigorose, dimostrando di saper instaurare anche con noi adulti un rapporto di peer education.
Questa esperienza, che avrebbe senz’altro meritato una partecipazione più ampia, è un’ulteriore conferma (se mai ve ne fosse ancora bisogno) che affidare ai ragazzi la pianificazione e la gestione diretta di interventi educativi e promuovere l’assunzione di responsabilità che ne deriva è una scommessa vincente.
Nicola Della Casa