di Stefania Stefanini
Nota introduttiva
Questi appunti sull’insegnare per competenze sono in continuità con il lavoro svolto, durante il convegno di Trieste dello scorso anno, dal gruppo di docenti della Rete-PASSAGGi e di SISUS sul tema “Nuovo quadro orario e profilo: competenze conclusive e del biennio”. In quella occasione abbiamo analizzato l’idea di competenza, peraltro molto confusa, che si desume dalla lettura dei documenti ufficiali del riordino del 2° ciclo, e commentato la diatriba tra disciplinaristi e competentisti intorno alla questione conoscenze Vs competenze, sapere Vs saper-fare. Questioni che ci sono sembrate fittizie, più nominali che sostanziali; infatti sono i saperi che rendono competenti e la pratica non è fine a se stessa, ma al servizio dell’acquisizione di conoscenze e, soprattutto, della loro comprensione profonda. L’approccio orientato alle competenze ha indubbiamente una matrice utilitaristica mutuata dal mondo economico, ma la scuola deve dare all’utilità del saper fare, il valore del poter fare alla Dewey, cioè il valore di mettere tutti in grado di poter crescere e agire in modo autonomo e responsabile. Non a caso Claude Thelot, autore dello zoccolo comune francese (competenze di base della scuola dell’obbligo) definisce l’insegnante della scuola per competenze “lo specialista della riuscita di tutti gli allievi”. E’ ovvio che il valore della razionalità strumentale, non può avere il monopolio della formazione, perché la scuola non è impresa, ma comunità che coltiva il valore della relazione, la promozione di Sé e la costruzione del soggetto come attore sociale.
L'apprendimento è, tra l'altro, un processo interattivo in cui le persone imparano l'una dall'altra, non solo attraverso il narrare e il mostrare; è nella natura delle culture umane formare comunità in cui l'apprendimento è frutto di uno scambio reciproco. (J. Bruner, La cultura dell'educazione. Nuovi orizzonti per la scuola, Feltrinelli, Milano 1997).
Con le annotazioni che seguono si cerca di “riportare in terra” il concetto astratto di competenza e di abbozzare traduzioni didattiche praticabili nel lavoro di classe. Noi gente di scuola sappiamo bene come le migliori teorie dell’apprendimento possono spesso naufragare nel mare della quotidianità delle emergenze educative per il sovraccarico gestionale e per la povertà delle risorse o, semplicemente, perché la teoria non sempre si può commutare in buone pratiche. Le innumerevoli declinazioni concettuali di competenza, tante quasi quante gli autori che se ne occupano, hanno in comune una idea operativa di mobilitazione di risorse:
La competenza non risiede nelle risorse (conoscenze, capacità) da mobilitare ma nella mobilizzazione stessa di queste risorse. … La competenza consiste nel mobilitare saperi che si sono saputi selezionare, integrare e combinare” (in un contesto e per un obiettivo specifico) (Guy Le Bortef in FOR, Roma, n° 81, 2009)
La capacità di padroneggiare le conoscenze e saperle applicare in ambiti diversi implica operazioni come la mobilitazione (riorganizzazione del sapere), l’organizzazione (costruzione di reti concettuali e schemi d’azione), la contestualizzazione ( collocare in situazione) che si acquisiscono non con la semplice acquisizione di conoscenze ma attraverso la pratica, intesa non solo come azione ma anche come riflessione sull’azione stessa. Le risorse mobilitate non sono esclusivamente cognitive ma anche emotive; realizzare attività richiede un coinvolgimento personale che permette di sperimentare aspetti del Sè che nella lezione frontale non vengono richiesti. Realizzare attività vuol dire sentirsi attivi (l’agency di Bruner ) e responsabili perché le azioni intraprese sono atti intenzionali e non “meccanici”. Per raggiungere un apprendimento così concepito occorre pensare curricoli organizzati intorno a contenuti-chiave, campi concettuali e nodi procedurali (considerati essenziali sul piano fondazionale, epistemologico) e proporre situazioni-problema, che possano mettere in moto conoscenze e procedure apprese. Tale impostazione necessita dell'identificazione da parte dei dipartimenti disciplinari delle strutture sostanziali (concetti, idee fondamentali, quadri di valore) e delle strutture sintattiche (procedure metodologiche, prove, criteri, modelli di indagine, strumenti utilizzati, ecc) della disciplina, sulle quali scegliere argomenti e attività da progettare nei consigli di classe, per quanto è possibile, in forma integrata.
La letteratura dell’apprendimento per competenze suggerisce molteplici situazioni didattiche per lo sviluppo delle competenze, affascinanti e valide sul piano scientifico ma spesso lontane dalla loro praticabilità specialmente di questi tempi con le classi da trenta ragazzi e la riduzione del tempo scuola. Occorre selezionare attività semplici, talvolta”antiche,”che coinvolgono, nel migliore dei casi, tutto il consiglio di classe, ma anche solo alcuni docenti: processi di elaborazione (selezionare, archiviare, comparare, utilizzare analogie, contrapposizioni…) attività di argomentazione, decostruzione-costruzione guidate, role playng (mettersi nei panni di) compiti di realtà (cogliere esperienze e situazioni dalla realtà), studio dei casi, attività comunicative, uscite sul territorio, stage.
Le implicazioni sul piano della valutazione e certificazioni dell’insegnare per competenze sono efficacemente sintetizzate nell’espressione di Grant Wiggins (Tratto da: M. Comoglio (2002). La valutazione autentica. Orientamenti Pedagogici, 49(1), 93)
Si tratta di accertare non ciò che lo studente sa, ma ciò che sa fare con ciò che sa.
La difficoltà fondamentale nel valutare e certificare una competenza nasce dal fatto che non si tratta di misurare il possesso e il controllo di nozioni ma di accertare i modi con cui lo studente sceglie, adatta, utilizza, trasferisce le proprie conoscenze.
Se la dimensione è descrittiva (dei modi dell’essere competenti) e non quantitativa (dell’avere competenze) occorre separare il concetto di misurazione da quello di valutazione, separare il cosa si apprende dal come si apprende. Separare significa attribuire un valore il più possibile oggettivo, ammesso che lo sia, al cosa si apprende (prodotto cognitivo disciplinare) e un valore negoziale , come scambio di informazioni rispetto alla attività svolta (Ajello, La competenza, il Mulino, 2003), al come si apprende (processo cognitivo-emotivo-personale) Michele Pellerey (Le competenze individuali e il portfolio, Roma, Nuova Italia, 2004) propone il principio di triangolazione, tipico delle metodologie qualitative:
per comprendere lo sviluppo delle competenze occorre osservare da più punti di vista e integrare le prospettive oggettive con quelle soggettive dello studente e intersoggettive della “comunità di pratiche”.
A queste tre dimensioni dell’osservazione dovranno corrispondere diversi strumenti di valutazione, ad esempio: il diario di bordo sul piano soggettivo, confronto dialogico, note e commenti valutativi da parte dei gruppi-lavoro, sul piano intersoggettivo e prove più o meno strutturate per la rilevazione della dimensione cognitiva-operativa.
Appunti
La dimensione cognitiva e operativa della competenza
In una competenza sufficientemente complessa si possono distinguere tre dimensioni fondamentali: la prima di natura cognitiva e riguarda la comprensione e l’organizzazione dei concetti che sono direttamente coinvolti; la seconda è di natura operativa e concerne le abilità che la caratterizzano; la terza è di natura affettiva e coinvolge convinzioni, atteggiamenti, motivazioni ed emozioni, che permettono di darle senso e valore personale. Pellerey (2000)
La competenza è data dall’insieme delle conoscenze, abilità e atteggiamenti che consentono a un individuo di ottenere risultati utili al proprio adattamento negli ambienti per lui/lei significativi. Boscolo (1998)
La competenza è un insieme riconosciuto e provato, delle rappresentazioni, conoscenze, capacità e comportamenti mobilizzati e combinati in maniera pertinente in un contesto dato. Rappresentazioni, conoscenze, capacità e comportamenti possono essere riassunti col termine risorse, portandoci ad affermare che la competenza è una qualità specifica del soggetto: quella di saper combinare diverse risorse, per gestire o affrontare in maniera efficace delle situazioni, in un contesto dato. Guy Le Boterf (1990)
Il cuore della competenza sta nel saper problematizzare ossia nel saper riconoscere, porre e risolvere un insieme di problemi simili, appartenenti alla stessa “famiglia” o ambito problematico. Fabre (2004)
L’approccio per competenze è forse solo l’ultimo mutamento di un’antichissima utopia: fare della scuola un luogo in cui ognuno apprenda liberamente e intelligentemente cose utili per la vita.
Di che cosa avranno bisogno i giovani? Di saperi. Senza dubbio. Ma di saperi viventi, da mobilitare nella vita lavorativa ed al di fuori del lavoro, suscettibili di essere trasferiti, trasposti, adatti alle circostanze, condivisi, integrati, l’idea della competenza non afferma se non la preoccupazione di fare dei saperi scolastici strumenti per pensare e per agire, al lavoro e al di fuori di esso.
Scatta l’autentica competenza dove si traduce in modo operativo il generico “ saper essere”. Perrenoud (2003)
Mobilizzare non è soltanto “utilizzare” o “applicare”, ma anche adattare, differenziare, coordinare, in breve condurre un insieme di operazioni mentali complesse chiave, connettendole alle situazioni, trasformano le conoscenze piuttosto che limitarsi a spostarle, trasferirle. Perrenoud (1999)
La pratica struttura il pensiero e rende la conoscenza più profonda
Immaginiamo una persona molto intelligente confinata su un’isola deserta a seguito di un naufragio. Questo Robinson scopre in qualche baule arenatosi miracolosamente sulla spiaggia, tutti i trattati di medicina contemporanea. Egli dispone di tutto il tempo per leggerli e rileggerli, anzi di apprenderli a memoria. Supponiamo anche che le sue nozioni di biologia, chimica, fisica e matematica siano largamente sufficienti di permettergli di comprendere tutto. Il nostro Robinson sarà in grado per tanto di curarsi? Senza dubbio sarà meno sprovveduto che se non avesse avuto a disposizione tutti questi saperi.
Diventerà per questo un medico? Gli affidereste la vostra salute se fosse riportato improvvisamente nel mondo civile? Per essere medico non è sufficiente avere assimilato un insieme di saperi dichiarativi, procedurali o condizionali, averli in mente o essere capace di ritrovarli rapidamente.
Occorre connetterli al quadro clinico e superare tutti i dilemmi proposti tanto dall’interpretazione dei sintomi che dalla scelta di una strategia terapeutica. Su cento casi, uno è un “caso di scuola”, un problema canonico, gli altri si allontanano dagli standards. Occorre inoltre esercitare il proprio giudizio ed assumersi i propri rischi. Quando ci si trova di fronte a patologie mal conosciute o non identificate, in situazioni d’urgenza, la parte di improvvisazione e di rischio aumenta fino a fondare la decisione sull’intuizione e sull’esperienza piuttosto che su saperi stabiliti dalla ricerca… Non si può dire diversamente delle competenze: senza esercizio, la mobilitazione dei saperi e delle altre risorse non si produrrà, non sarà pertinente o sarà troppo lenta ed incerta per permettere un’azione efficace. (Perrenoud, Costruire competenze a partire dalle scuola, Anicia, Roma, 2000)
Le competenze si costruiscono sulla base di conoscenze. I contenuti sono difatti il supporto indispensabile per il raggiungimento di una competenza; ne sono – per così dire – gli apparati serventi.
Le competenze si esplicano cioè come utilizzazione e padroneggiamento delle conoscenze. (documento "saperi e competenze" gennaio 2000 - Gruppo di lavoro del Ministero “Coordinamento Autonomia”)
… l’aspetto importante da sottolineare è che quando parliamo di un apprendimento che fa diventare competente, noi ci riferiamo a qualcosa che si apprende fino in fondo, di cui si prende possesso, che si padroneggia. Non si tratta di memorizzare soltanto un’informazione che può esser subito dimenticata, che si assume magari per dovere o per benevolenza nei confronti dell’insegnante, informazione che si può verificare con un test oggettivo; parliamo invece di un apprendimento acquisito in profondità… Non è quindi apprendere per competenze, ma apprendere diventando competenti. (A.M. Ajello, in M. Spinosi, “Sviluppo delle competenze per una scuola di qualità”, Napoli, Tecnodid, 2010).
Quanto detto sostiene l’inscindibilità di conoscenze e competenze cioè l’inscindibilità di prodotto (contenuti/conoscenze) e processo (competenze)
Programmare per nodi essenziali
Nel processo di insegnamento/apprendimento il “nodo essenziale” configura quanto delle conoscenze è indispensabile utilizzare e padroneggiare in una prospettiva dinamica e generativa.
Per Bruner, “... non importa ciò che abbiamo appreso: ma ciò che possiamo fare con quanto abbiamo appreso, questo é il problema”. Per questo motivo, non le informazioni isolate sono utili, ma le informazioni strutturate. “Ogni argomento ha una sua struttura (...). Questa struttura é ciò che conferisce all’argomento la sua fondamentale semplicità. Ed é apprendendo la natura di esso che riusciamo ad afferrare il significato essenziale dell’argomento stesso”.
In particolare, la struttura di una disciplina é data dalle sue idee fondamentali e generali: dai principi organizzatori che permettono di inquadrare le conoscenze ed i dati dell’esperienza in un contesto organico. Sono questi principi che permettono la sistemazione ed il progresso del sapere nell’ambito delle singole discipline; sono questi principi, e non le nozioni isolate, gli oggetti di una istruzione efficace. “Il sapere é una costruzione esemplare che ha il fine di dare un significato a motivi costanti nell’esperienza e di inserirli in una “struttura”. Le idee organizzatrici di un qualsiasi insieme di conoscenze sono scoperte che mirano a connettere e semplificare l’esperienza: in fisica si é scoperta l’idea di forza, in chimica quella di combinazione, in psicologia l’idea di motivazione, in letteratura quella di stile, al fine, sempre, di avere strumenti di comprensione” (Barbieri N., Curricolo, Programma, Programmazione , De Agostini, Milano 1997
La costruzione del curricolo
Certificare competenze richiede costruire un curricolo per competenze
Il punto di partenza non può che essere l’individuazione – in termini di osservabilità e certificabilità – delle competenze conclusive specifiche e trasversali dei cicli e degli indirizzi. Bisogna poi individuare le discipline che concorrono alla definizione di tali competenze, i nuclei fondanti, gli argomenti irrinunciabili e le possibili interconnessioni tra i diversi campi del sapere. Per l’individuazione dei "nuclei fondanti" di una disciplina occorrerà tenere presente, da una parte, lo statuto epistemologico (oggetto, linguaggio, metodologia di ricerca) e dall’altra la finalità formativa che a essa viene attribuita (analisi disciplinare ). Fonte: Ministero P.I., Competenze e curricoli: prime riflessioni, in Autonomia, competenze e curricoli (a cura di E.Bertonelli e G.Rodano), Dossier degli Annali della Pubblica Istruzione, Le Monnier, Firenze, 2000.
In conclusione scuola del curricolo e scuola delle competenze coincidono, o detto meglio, la scuola del curricolo costituisce il dispositivo culturale e metodologico che è in grado di realizzare la scuola delle competenze.
Curricolo e focal points
Per focal points si intende l’organizzazione dei contenuti dell’insegnamento intorno a nodi essenziali. Sono le idee guida che il docente ha sempre presente nella sua azione didattica e che lo studente mette a fuoco progressivamente durante il percorso didattico
La programmazione prevede la selezione di:
Il concetto di competenza implica una mobilitazione di risorse per venire a capo di una situazione secondo una strategia, uno schema operativo appreso ed esercitato.
L’approccio per competenze richiede lo sviluppo di condotte cognitive o schemi logici di mobilitazione delle conoscenze. E tali schemi logici si acquisiscono non con la semplice assimilazione di conoscenze, ma attraverso la pratica.
La costruzione di competenze è dunque inseparabile dalla costruzione di schemi di mobilitazione intenzionale di conoscenze, in tempo reale, messe al servizio di un’azione efficace. Va da sé che gli schemi di mobilitazione di differenti risorse cognitive in una situazione d’azione complessa si sviluppano e si stabilizzano mediante la pratica. […] Gli schemi si costruiscono a seguito di allenamento di esperienze rinnovate, ridondanti e strutturanti insieme, allenamento tanto più efficace quanto più viene associato ad un atteggiamento di riflessione. (Perrenoud)
Il laboratorio facilita l’esercizio degli schemi operativi, fornisce le “definizioni operative” di molti concetti base.
Alcuni esempi di attività laboratoriali
Tipi di compito
(Maccario, Insegnare per competenze Sei, 2006)
Studio dei casi
La tecnica dei casi è in assoluto la più antica; si può far risalire alla Sorbona del Medioevo ed era impiegata per chiarire l’applicazione di leggi o principi. Trova facile applicazione nel campo del diritto e dell’economia (casi da estratti di sentenze)
Progetto
Ad esempio
Situazione-problema
In riferimento a situazioni/esperienze vicine alla vita dell’allievo (personale, quotidiana, scolastica) che lo studente può affrontare con le risorse di cui dispone. Il problema può essere reale emergente dai contesti di vita oppure interno alla disciplina ( centrato sulla dimensione epistemologica)
Giochi di simulazione
Far finta di… intervista all’autore, svolgere ruoli…
Un bell’esempio di gioco di simulazione è contenuto nel testo ”L’economia giocata. Giochi di simulazione per
percorsi educativi verso una società sostenibile”di M. Morozzi e A. Valer, edito da EMI”
Argomentare
Promuove il pensare argomentativo. Presentazione di dati o premesse necessari all’argomentazione;
presentazione di argomenti, anticipazione di obiezioni…)
Da Ferdinando Dubla “Corso sugli elementi fondamentali della Didattica e della Metodologia della Comunicazione Appunti e promemoria per futuri formatori” www.dubladidattica.it
Platone ha trascritto e tramandato molti dialoghi di Socrate (filosofo del IV secolo A.C.). Il “discorso sul metodo” principalmente parte da Socrate, come problema di coloro che devono guidare i discenti: il dialogo per Socrate è l'espressione principale della propria filosofia. Socrate usava delle metafore per spiegare il proprio mestiere: egli, a suo dire, condensava nella sua figura il mestiere della madre (levatrice) e del padre (scultore), aveva il compito di creare da una massa informe una figura ben delineata. Egli doveva far ''partorire'' i pensieri (idee) dalla mente degli uomini. Il veicolo per far partorire queste idee è, secondo Socrate, il dialogo. Gli scritti sono come dipinti, se li interroghi non ti rispondono. Socrate è stato l'antesignano dei metodi didattici moderni. Il metodo socratico può essere condensato: Partendo dalla domanda che cosa è ? si va all'Eidòs, ciò che permette di cogliere l'essenza delle cose. Io so di non sapere: sviluppare le motivazioni al sapere, permettono al discente di poter crescere nel sapere. Confutazione : confronto tra tesi. Confronto, verifica tramite il dialogo, da cui scaturisce un Eidòs (essenza), sviluppare la motivazione al sapere che permette al discente di poter crescere nella conoscenza. La motivazione deve essere la spinta che porta al ”Voglio sapere, perché so di non sapere”. Diventano coerenti il concetto di comunicazione e la tipologia del metodo (attivo) che dobbiamo utilizzare.”
Il Web Quest (tratto da " Mi sono innamorato dei webquest di Marco Guastavigna)
Un WebQuest è un'attività che porta gli studenti a compiere ricerche sul Web, con l'obiettivo di scoprire maggiori informazioni su un particolare argomento o tema e di svolgere alcuni compiti utilizzando proprio le informazioni da loro raccolte. Per aiutare gli studenti a impostare l'attività, vengono forniti uno scenario, la descrizione dei compiti e un insieme di risorse. Grazie a quest’attività, gli studenti acquisiranno le capacità di ricercare informazioni nella Rete, di selezionare quelle più pertinenti e di applicare ciò che apprendono al contesto più adatto.
La definizione è presa dal sito “Primavera dell’Europa”, del circuito European Schoolnet, dove sono presenti anche alcune esemplificazioni.
Valutare per competenze
Art. 8 del Regolamento DPR n. 122 del 22 giugno 2009
Certificazione delle competenze
IL DM 22 agosto 2007, che ha innalzato l’obbligo di istruzione a 16 anni , reca, a corredo, documenti importanti come quello sugli assi culturali che pone, per la prima volta, l’accento sulla definizione delle competenze come base per la progettazione dei percorsi formativi. A questo documento, che nasce in un contesto di normativa europea, è opportuno riferirsi anche per le definizioni di competenze, abilità e conoscenze, secondo la proposta di Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 settembre 2006, il Quadro europeo delle Qualifiche e dei Titoli:
* si noti la ripetizione del termine “capacità” in due accezioni diverse!!!
Ultimo documento:
DM 9 27.01.2010: Certificazione competenze obbligo superiori
A oggi si ha una duplice valutazione:
I livelli che misurano le competenze vanno individuati sulla base della valutazione degli apprendimenti.
Il problema del’accertamento delle competenze
Quali strumenti di valutazione?
Le prove semistrutturate permettono di “verificare meglio di altri strumenti i cosiddetti processi intellettuali superiori, e precisamente, la capacità di applicare in contesti nuovi, rispetto a quelli che hanno caratterizzato il relativo processo di istruzione scolastica, le conoscenze acquisite, l’originalità nella soluzione di particolari situazioni problematiche, la capacità di integrare i diversi saperi disciplinari posseduti per risolvere specifici problemi” ( G. Dominici, Ragioni e strumenti della valutazione, ed.Tecnodid, Na- 2009). Le prove semistrutturate sono: saggi brevi, relazioni di ricerca, riassunti, esposizioni orali, presentazioni grafiche…
Le competenze si manifestano in prestazioni e comportamenti.
La dimensione operativa delle competenze è osservabile attraverso prove semistrutturate quando i criteri di valutazione sono centrati su chiare consegne (precise prestazioni verificabili) e sulle conoscenze sottostanti.
La dimensione affettivo-relazionale delle competenze può essere accertata in via inferenziale dalla osservazione dei comportamenti ( collaborare e partecipare, agire in modo autonomo e responsabile…)
Entrambe le dimensioni devono essere analizzate con il contributo delle prospettive soggettive (lo studente) intersoggettive (i compagni e l’insegnante) e oggettive ( la “misurazione” delle conoscenze”).
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