di Claudia Petrucci
La ricerca sulla terza cultura è ricerca di ponti e di passaggi anche nel quadro stretto dei vincoli orari e curricolari che determinano nelle nostre scuole la gabbia delle discipline separate. Tra i percorsi di ricomposizione le letture del paesaggio possono costituire un sentiero privilegiato. Si tratta infatti di inserire in un’esperienza di percezione complessiva le relazioni di distanza, le dimensioni , le interazioni , le trasformazioni nello spazio e nel tempo di fenomeni antropici e sociali. Tutte queste sono le competenze tipiche del sapere geografico, ma affrontarle a partire da un orizzonte concreto comporta l’ uso integrato degli insegnamenti di geografia , storia e letteratura. Per gli insegnanti di lettere , che vivono sempre in modo un po’ contraddittorio l’arco così vasto delle loro discipline di abilitazione, può essere un’occasione preziosa di esercizio di saperi e strategie , su cui mantenersi a propria volta competenti.
Questo può avvenire anche se non sempre è possibile l’esperienza diretta di luoghi e situazioni, dato che anche a scuola cominciano a entrare nell’ uso strumenti multimediali molto più efficaci di quelli disponibili in un passato anche recente.
L’uso di immagini e di sequenze di immagini può far percepire problemi diversi al variare del punto di vista, o può permettere di seguire le fasi successive di trasformazione di un territorio nel tempo , mentre la letteratura può offrire testimonianze preziose di comportamenti collettivi e vissuti individuali, nella storia e nell’attualità.
I vincoli e le esigenze della didattica impongono tempi definiti e costringono a selezionare, tra i molti contenuti possibili, gli argomenti più adatti ad attivare competenze complesse, costringendoci a sviluppare una vera e propria “strategia degli appigli” . Nelle situazioni didattiche concrete , la ristrettezza di tempi può servire perfino a sdrammatizzare anche molte preoccupazioni su possibili conflitti o gerarchie tra le discipline. Qui conta molto una certa polivalenza di intervento dell’insegnante (come avviene nel caso della cattedra di lettere) in grado di valutare importanza e fattibilità dei percorsi tematici, e un clima collaborativo nel consiglio di classe, che permetta di utilizzare e metabolizzare anche l’apporto di discipline di aree diverse. Sappiamo infatti che tra le canne d’organo dei nostri curricoli esistono terreni convergenti tra i diversi saperi, ma spesso si presentano nascosti e spezzettati nell’orario e nel calendario scolastico, e a volte addirittura nella distribuzione tra gli anni di corso. Una strategia esplicita degli appigli e dei richiami è quindi indispensabile per sfruttare al massimo l’offerta culturale della scuola.
In questa “strategia degli appigli”, abbiamo qui messo a punto tre possibili itinerari di ambito geostorico/letterario , tutti tranquillamente percorribili a scuola in orario disciplinare (lettere o italiano/storia) e in una o due settimane. Se poi la classe è attrezzata con la LIM, la possibilità di rimandi e di utilizzo integrato di testi, immagini e collegamenti diventa veramente efficace. Il quarto itinerario qui proposto è invece un tipo di intervento più difficile, praticato tuttavia nelle esperienze scolastiche molto più spesso di quanto non si creda. Richiede però più tempo , il sostegno della dirigenza dell’istituto, e una certa disponibilità militante da parte del consiglio di classe.
E’ un’apertura di orizzonte che porta dall’immagine raso terra ( “ la visione del camminante”, direbbe Pino Cacucci) alla foto aerea a volo d’uccello, che salva ombre e volumi, alla foto aerea zenitale e poi a quella da satellite , che allargando l’area e riducendo la scala rendono esplicite relazioni e interazioni. L’oggetto era una delle più classiche cartoline turistiche, il Ponte di Rialto a Venezia, ma via via alzandosi emergevano le correnti di traffico sul Canal Grande, la meganave da crociera che sovrasta San Marco, le barene e i canali della Laguna, i fiumi deviati dalla saggezza antica e il mare tombato dalla sventatezza moderna e post moderna… A commento, volendo, le parole di Tiziano Pesce e Hugo Pratt.
Grazie ai quadri di ricostruzione del museo archeologico bolognese ci scorrono davanti le colline boscose e i primi insediamenti dell’antica Felsina lungo un fiume, l’Aposa, che oggi scorre sotto il traffico delle vie. Poi le domus della Bononia romana e le torri della metropoli medievale della cultura. Poi ci fermiamo. Dove cercheremmo su una mappa di oggi quell’angolo di città ? Fin dove bisogna arrivare per ritrovare i colli? E il fiume, che fine ha fatto ? Commentano, volendo, Giosuè Carducci, Stefano Benni, Francesco Guccini, Enrico Brizzi e Loriano Macchiavelli
“Le scosse mi svegliano, esco dalla stanza, e nel corridoio trovo mia madre trafelata a cercarmi (…) poi però tutto si placa e torniamo a sederci” Così con precisione quasi disturbante Plinio il Giovane racconta un comportamento nell’emergenza che avrebbe potuto costargli caro, e che abbiamo visto tragicamente replicato in tante e più vicine emergenze. Come sappiamo, i due si salvarono, circa tremila altre persone no. La catastrofe coinvolse circa trentamila abitanti. Oggi i coinvolti sarebbero più di due milioni, nella conurbazione vesuviana, e il conto ipotetico delle vittime lo lasciamo agli studiosi di catastrofi . Dati , interpretazioni scientifiche e immagini di allora e di oggi sono facilmente reperibili sulla rete, nei siti degli istituti di Fisica delle università di Roma e di Napoli. Il testo latino parla da sé.
Dunque, vicino alla scuola c’è un luogo significativo e abbandonato . Era una cascina, una chiesetta, uno specchio d’acqua, un giardino signorile, un luogo dell’anima per qualcuno, una testimonianza storica certamente . E’ lì in attesa delle ruspe. La scuola ne fa il centro di un progetto di recupero da presentare ad un concorso FAI o simili. Si chiedono tutti i permessi alle autorità comunali per visite guidate, monitoraggi, misurazioni, foto e ricerche d’archivio . Alla fine le parti più percorribili del luogo diventano lo spazio di una mostra, aperta al quartiere e ai bambini delle scuole, con pannelli didattici, analisi delle acque e del terreno, interviste a chi aveva visto quel luogo in tempi migliori, progetti per un possibile riuso. Per un giorno, dopo un anno di lavoro, il luogo torna vivo. Anche se il vero restauro non potrà essere realizzato, l’intervento lascia tracce permanenti, se non altro nelle nuove competenze degli studenti che hanno imparato a relazionarsi con le autorità, a spiegare ai più piccoli, a costruire prodotti presentabili al pubblico. Qualche volta, qualche parte del progetto può perfino andare a buon fine. Non salveremo l’intera cascina, ma forse un piccolo parco con il fontanile sarà recuperato , e le nuove prime ci verranno a studiare la chimica e la biologia delle acque…
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