ROVERETO, Convegno nazionale 2012

 

passaggisisus

29, 30, 31 marzo 2012 - Rovereto (Trento)  

 

Rovereto 2012

La sezione dedicata al Convegno nazionale 2012 della rete Passaggi & SISUS a Rovereto (TN) 

"Varrebbe la pena di mettersi al lavoro, qui, dalle nostre parti.
Per poter dire, a un certo punto, anche dalle nostre parti:
questa è la terza cultura, bellezza!"
                                                                  Salvatore Veca
 

 

"Non sono le discipline, sic et simpliciter, a stare o meno
"nella terza cultura, ma questa è un modo diverso e nuovo di intendere e praticare le discipline".
                                                                  Giuseppe Giordano

 

ULTIME PUBBLICAZIONI::

Introduzioni al Convegno di Rovereto

 

Clicca qui sotto per leggere le introduzioni al Convegno Nazionale drete Passaggi e SISUS:

Perché un convegno? (Marta Ober)

 

Le premesse

introTutto nasce dalla consuetudine da parte della Rete dei Licei delle Scienze Umane e Sociali “Passaggi”, composta da circa 40 scuole nazionali, di promuovere annualmente un convegno ospitato in una città italiana, e organizzato da uno dei licei che ne fa parte.
E’ stato così che, l’anno scorso, in occasione del Convegno di Verbania organizzato dall’Istituto “Cobianchi”, è stato chiesto al Liceo F. Filzi di Rovereto, di ospitare l’edizione del 2012. Dopo un’attenta riflessione, considerate le risorse a disposizione, il nostro Liceo delle Scienze Umane “Fabio Filzi” di Rovereto, ha accettato di farsi carico di questa prestigiosa opportunità, nella consapevolezza del beneficio che questo evento avrebbe potuto avere non solo per il mondo della scuola, ma anche per la comunità ospitante.
Accettare questa sfida infatti significava coinvolgere attivamente le realtà formative e culturali presenti nel territorio, nell’ottica di un’accoglienza corale dell’evento da parte dell’intero contesto di riferimento.

L’organizzazione del Convegno

Lo sforzo in termini di risorse e di tempo da dedicare alla preparazione dell’evento è notevole, ma siamo certi che ne varrà la pena! Per la scuola e la città ospitanti, infatti, questa del Convegno potrà rappresentare un’opportunità formativa e culturale straordinaria, a vantaggio del mondo dell’istruzione e anche delle istituzioni, economiche e culturali dell’’intero territorio roveretano coinvolte nel progetto.

Dunque nei giorni 29, 30 e 31 marzo 2012, si terrà a Rovereto il Convegno, intitolato “ “Il liceo delle Scienze Umane: un nuovo dialogo tra umanisti e scienziati”, che avrà come argomento centrale la “terza cultura”, cioè l’intreccio tra le due culture, quella umanistica e quella scientifica, tema avvincente e peculiare dell’attuale dibattito culturale.
Sarà un´occasione per favorire il confronto su temi di grande attualità e rilevanza scientifica, economica e filosofica fra il mondo delle Scienze da un lato e quello delle discipline umanistiche dall´altro, in un periodo di profondi cambiamenti che riguardano ambiti fondamentali per la conoscenza umana.
Obiettivo del convegno è inoltre di stimolare il dibattito intorno alle Scienze Umane e ai loro insegnamenti, alla luce dei cambiamenti introdotti dai nuovi piani di studio.
I lavori vedranno la partecipazione attiva dei protagonisti dello scenario della formazione: la scuola, l´università, le istituzioni culturali, le associazioni e le cooperative sociali, il mondo della ricerca, l´editoria scolastica, i media specializzati.

Il convegno sarà articolato in momenti tre momenti formativi distinti:

  • una prima giornata dedicata alla definizione del campo epistemologico delle discipline delle scienze umane e a una riflessione sulla terza cultura. Interverranno nomi prestigiosi di docenti delle università italiane ed europee.
  • il secondo giorno dedicato a gruppi di lavoro su tematiche specifiche, ovvero:
    1. Le buone pratiche nelle scienze umane, quali competenze?
    2. Il dialogo interdisciplinare: fare ricerca a scuola, lavorare insieme e comunicare in modo efficace;
    3. I nuovi linguaggi della didattica.
  • La mattinata del terzo giorno dedicata ad una tavola rotonda sui linguaggi e le risorse della contemporaneità.

L’organizzazione è sostenuta da un comitato scientifico composto da docenti universitari, dirigenti scolastici, Direttivo della Rete “Passaggi” e docenti della Rete dei Licei delle Scienze umane del Trentino, nata di recente proprio in occasione dell’adesione al Convegno; il coordinamento è a cura di due docenti del Liceo Filzi, il prof. Aldo Muciaccia e la prof.ssa Paola Sterni.

La novità: i ragazzi protagonisti del Convegno

L’Istituto “Cobianchi” di Verbania ha lanciato una bellissima iniziativa che è stata accolta con entusiasmo dal comitato scientifico. Perché non far partecipare anche gruppi di studenti motivati delle classi quinte al convegno? Da qui è nata l’idea di prevedere una partecipazione attiva dei ragazzi, in modo da dare la massima attenzione ai contributi che potrebbero derivare da parte loro nei vari momenti del convegno. Gli studenti quindi saranno invitati ad organizzarsi in gruppi di lavoro su tematiche specifiche, in modo da poter prendere parte attivamente alle sezioni chiave delle tre giornate, inclusa la tavola rotonda finale.

Per la prima volta i ragazzi potranno dunque essere protagonisti del convegno nazionale della rete “Passaggi” e da questa esperienza di Rovereto, potrebbero scaturire nuove modalità di collegamento e di scambio proficuo fra scuole a livello provinciale e nazionale, da coltivare anche negli anni a venire.
Fare Rete e sperimentare

Quando si è deciso di aderire all’iniziativa, lo si è fatto anche nell’auspicio che questo convegno non debba rappresentare un momento fine a se stesso. E’ servito a far nascere una Rete, quella dei Licei delle scienze umane del Trentino, che sta dando i suoi frutti, dato che i docenti delle discipline coinvolte, le Scienze Umane, hanno cominciato ad incontrarsi su terreni comuni, a confrontarsi, a verificare i vantaggi del lavorare insieme. L’occasione del Convegno sarà per la Rete, sia a livello provinciale che nazionale, un momento di verifica e confronto, uno snodo cruciale per riaffermare l’esigenza di lavorare in raccordo fra scuole, per scongiurare l’isolamento nelle proprie piccole realtà.
Ci impegneremo a fondo, inoltre, perchè questo convegno possa segnare un’opportunità di sperimentazione a più livelli, metodologico, di ricerca, di confronto, non come punto di arrivo, ma punto di partenza, dal quale far scaturire prospettive di nuovi percorsi formativi a beneficio di tutti, nel prossimo futuro.

Marta Ober Dirigente scolastico dell’Istituto “Filzi” di Rovereto
 

 

Terza cultura: uno snodo cruciale (Paola Bruschi)

 

"Dov’è la conoscenza che perdiamo nell’informazione?
Dov’è la saggezza che perdiamo nella conoscenza?" (Eliot)

nodo

 

Viviamo in una realtà dove attingere le informazioni in modo immediato non è certo un problema, si sa, soprattutto per i “nativi digitali”, per i quali la multimedialità è divenuta una seconda pelle. 

Ma a questa espansione sull'asse dell'estemporaneità non corrisponde un'analoga spinta nel senso della stratificazione e della riflessione. In altri termini, ciò che rischia di assottigliarsi fino a scomparire è lo “spessore”. D'altro canto la scuola, perlomeno quella italiana, con la settorializzazione dei saperi, fino ad oggi non ci ha dato una mano. Anzi, ha confuso la “specializzazione” (si pensi alla moltiplicazione dei corsi di laurea) con l' “approfondimento”, creando l'illusione che la conoscenza della “parte” possa venir spesa meglio e più proficuamente che non la conoscenza dell' insieme. Strano, se è vero che la sfida più potente del nostro tempo, come ci ricorda E. Morin, è proprio quella della complessità. Come possiamo davvero credere che uno studente – dovrei dire una persona – riesca ad orientarsi nel mondo senza aver conquistato e fatto proprie quelle che oggi si definiscono le“life skills”, le competenze di vita e di cittadinanza? Competenze che, per loro natura, implicano la capacità di uscire da una logica lineare di pensiero e di procedere costruendo “reticolati” e mappe.

Come spesso i filosofi fin dall 'antichità ci hanno suggerito, non basta essere esperti di un settore per essere saggi o, meglio ancora, sapienti. La sapienza implica la disposizione a scendere sotto la superficie fino alle radici, ad allargare gli orizzonti cogliendo il legame tra la parte – le parti- e l'insieme.

Si tratta, insomma, di avere quella testa “ben fatta” di cui sempre Morin ci parla, caratterizzata non dall’accumulo del sapere quanto piuttosto da una attitudine generale a porre e a trattare i problemi e da principi organizzatori che permettano di collegare i saperi, dando loro senso.

Non credo si possa percorrere altra via, oggi, sul piano didattico, su quello educativo, su quello relazionale.

Se la realtà è complessa, l'uomo è la sintesi di dimensioni diverse, frutto delle sue molteplici intelligenze.

Una felice combinazione, dal mio punto di vista, della quale troppo spesso ci si dimentica.

Ecco, il Convegno Nazionale che la Rete “Passaggi” e Sisus hanno organizzato per la fine di marzo a Rovereto vuole proprio suggerirci che questa combinazione è o può essere felice.

La “terza cultura” offre una leva potente perché la testa non sia solo “piena”, ma “ben fatta”.

Credo risulti evidente che lo snodo in questione non è uno tra i tanti possibili, ma quello cruciale.

Sempre che si consideri ancora il pensiero fecondo e riflessivo una ricchezza.

Paola Bruschi
DS Istituto “Manzoni” di Suzzara (Mn)
Scuola capofila della Rete Passaggi
 

 

Un dialogo fra umanisti e scienziati (Aldo Muciaccia)

L’Istituto Filzi di Rovereto in collaborazione con Passaggi (Rete delle scuole delle scienze umane), e con l’Associazione SISUS (Società Italiana di Scienze Umane e Sociali) organizza il IX° Convegno Nazionale:

 

IL LICEO DELLE SCIENZE UMANE:

UN NUOVO DIALOGO TRA UMANISTI E SCIENZIATI

SAPERI E LINGUAGGI NELLE PRATICHE EDUCATIVE
 
 

introIl convegno ha l’ambizioso obiettivo di mettere in dialogo umanisti e scienziati in relazione ai saperi e ai linguaggi in educazione partendo da una idea di scuola che si interroga sulle nuove frontiere dell’apprendimento. Il sapere, come afferma E. Morin in Il “nuovo pensiero per il terzo millennio”, deve essere una conoscenza capace di superare l’isolamento e la separazione che caratterizza molti dei saperi della nostra epoca, colpiti da un eccesso di specializzazione. Si presenta la necessità di riscoprire le premesse implicite in ogni conoscenza, le idee generali che fanno da cornice.

Fortunatamente il movimento di cambiamento in questa direzione, come afferma ancora Morin, sembra avviato: assistiamo al nascere di scienze polidisciplinari; all’arretrare delle concezioni riduzioniste; alla maggiore consapevolezza della complessità del reale. Una delle conseguenze possibili riguarda il bisogno di recuperare la complessità del sapere, ad esempio con una maggiore integrazione tra cultura umanistica e scientifica. Ma soprattutto il bisogno di educare gli educatori, educarli all’amore e alla passione per la loro professione (in Nuovo pensiero per il terzo millennio).

L’obiettivo è di dare agli studenti le basi per articolare, collegare e contestualizzare i saperi al fine di permettere loro di “sapersi situare” all’interno della società complessa. Per realizzare questo obiettivo docenti universitari e docenti di scuola superiore sono stati impegnati in una riflessione sul tema della terza cultura e la sua possibile traducibilità in termini pedagogico-didattici.

Il tema del convegno ha alimentato anche il dibattito fra i docenti di scienze umane impegnati, pur nella contraddittorietà delle scelte di politica scolastica a cercare nuove strategie e nuove modalità didattiche tese sia a trovare un nuovo dialogo tra i saperi umanistici e i saperi scientifici sia a cercare nuove conoscenze e competenze che facciano diminuire la distanza, spesso ancora esistente, fra le esigenze di una società in continua evoluzione culturale ed eonomico-tecnologico-scientifica e il mondo della scuola che a fatica e molto lentamente si adegua ai cambiamenti e alle trasformazioni.

Sicuramente questo convegno, che in realtà è un vero e proprio laboratorio culturale, è una grande opportunità non solo per il territorio trentino in quanto la presenza di autorevoli studiosi e il confronto di buone pratiche che si attuano su tutto il territorio nazionale avrà ricadute positive per la comunità scientifica.
Credo sia importante in questa fase storica, di ridefinizione di paradigmi culturali, stimolare i nostri insegnanti a riprendere entusiasmo per il loro compito che non può esaurirsi nel fornire agli studenti strumenti culturali per navigare nella complessità o di sommare conoscenze specialistiche o iper-specialistiche. La sfida del pensiero oggi, che gli insegnanti devono saper cogliere, è quello di organizzare, di ibridare le conoscenze e non di sommarle. Per dirla ancora con Morin: “Questo sapere che abbraccia deve far rinascere una cultura che non sia puramente e semplicemente la copia della vecchia, ma che rappresenti l’integrazione di questa cultura all’interno di una connessione tra la cultura umanistica e quella proveniente dalle scienze”.

Sicuramente l’obiettivo del convegno è ambizioso ma siamo certi che non si esaurisce tutto in questi tre giorni ma è solo il punto di partenza per la costruzione di nuovi paradigmi culturali.

Aldo Muciaccia
coordinatore comitato scientifico

 

 

Terza cultura: Definizioni, frasi e articoli, spigolando

 

  • Giuseppe Giordano, Un nuovo modo di praticare le discipline

    Terza cultura è quella che ha deciso di oltrepassare la cesura tra le due culture individuate da Snow: cultura umanistica e cultura scientifica. Emblema della "terza cultura" è  Ilya Prigogine, scienziato che scopre - grazie alla "sua" scienza, che unifica tempo dell'uomo e tempo della natura descritta dalla scienza - la possibilità di una scienza "umanistica". Non sono le discipline, sic et simpliciter, a stare o meno nella terza cultura, ma questa è un modo diverso e nuovo di intendere e praticare le discipline.

     

  • V.Lingiardi, N.Vassallo, Terza Cultura: è il ponte che crea il paesaggio

    Vittorio Lingiardi, psichiatra e psicoanalista, è professore ordinario di Psicologia dinamica presso la Facoltà di Medicina e Psicologia della Sapienza Università di Roma, dove dirige la Scuola di Specializzazione in Psicologia clinica.  Email: vittorio.lingiardi@uniroma1.it

    Nicla Vassallo, filosofa, è professore ordinario di Filosofia teoretica presso l’Università degli Studi di Genova. Email: Nicla Vassallo <nicla.vassallo@unige.it>  Sito: http://www.niclavassallo.net/

    Nei secoli passati la fusione tra le discipline era un dato di fatto. Oggi, ogni disciplina, oltre a risultare, a ragione, specialistica, presenta al proprio interno distinte diramazioni. Non vi sono più figure capaci simultaneamente di grande filosofia e grande scienza, né, per nominare l’esempio degli esempi, non esiste più un Leonardo da Vinci, anatomista, architetto, ingegnere, inventore, scrittore, poeta, musicista, pittore. Da una parte rammarica che le possibilità di una poliedricità geniale appartengano al passato, ma dall’altra allieta, in quanto il fenomeno è legato alla crescita esponenziale dei diversi saperi.
    Che l’obiettivo consista nella risoluzione di problemi o nella ricerca della verità, le scienze abitano ormai la nostra quotidianità. E se, per alcuni, il termine «cultura» evoca ancora la «nobiltà» di un patrimonio del tutto umanistico (con quello scientifico che resta di nicchia, a gravitare attorno a noi,
    a debita distanza), per altri la «spiegazione scientifica» è diventata la via regia (o la scorciatoia?) alla complessità, neodivinità mediatica prêt-à-porter capace di rispondere a ogni domanda e sciogliere qualunque dubbio, invocando la scoperta di un gene o l’impiego di una macchina.
    Non possiamo tuttavia mostrarci incomprensivi nei confronti delle scienze e delle forti influenze che esse esercitano sulle nostre vite, nel bene o nel male. Se tante tecnologie giustamente incutono timori, forse è anche perché non sappiamo abbastanza quanto il loro impiego dipenda da noi, perché confondiamo le scienze con le loro applicazioni tecnologiche, perché dimentichiamo che tekhnologhia significa letteralmente «discorso sull’arte», dove con arte si intende il saper fare, un sapere competenziale, esperienziale.
    Il ponte che si ritiene di dover costruire tra le varie discipline in effetti esiste già; occorre però rafforzarlo: le scienze e le tecnologie attraversano ogni pratica umana, nonché ogni cultura umanistica, mentre le discipline umanistiche tendono a naturalizzarsi, ovvero a richiedere il contributo delle scienze sulle questioni di fatto, nel tentativo di rispondere a domande determinanti per ogni essere umano: «cos’è l’etica?», «cos’è l’identità personale?», «cos’è l’esistenza?».
    Di cosa abbiamo bisogno allora? Della «terza cultura» (anche se l’etichetta è oggi forse già un po’ troppo brendizzata), cioè di un reale dialogo creativo-costruttivo tra le tante e varie discipline, attività e competenze. È la terza cultura che vogliamo e dobbiamo costruire, per potenziare scambi informati sulle frontiere delle ricerche contemporanee più avanzate, oltre che per condividere certi tratti psicologici, può darsi affettivi, senz’altro altruistici, in grado di condurre a comunicare ad altri la propria conoscenza ed esperienza.
    Non si tratta né di abbracciare metodologicamente l’anything goes di feyerabendiana memoria, né di rinunciare alla propria «specializzazione», bensì di saper trasmettere quanto si sa e si fa, rendendolo perspicuo a chi non ne ha dimestichezza. Lungi dal mirare al generalismo e alla tuttologia, questa trasmissione origina inattese creatività e connessioni tra aspetti della cultura, prima ignoti o ignorati. Creatività e connessioni sono del resto frutto di prospettive flessibili, socialmente fruibili, intellettualmente duttili, in grado di regalarci straordinarie scoperte, non solo scientifiche.
    Grazie alla molteplicità di approcci, immagini, linguaggi, pratiche, pensieri, strumenti riusciamo a cogliere la nostra complessità esistenziale. Grazie a questa molteplicità, ci troviamo nella condizione di riconsiderare in senso critico e valutativo l’informazione e l’istruzione, allo scopo di rimodulare gli orizzonti di una società, la nostra, quella di questo secolo, che sembra penetrata da pregiudizi, piuttosto che indirizzata a usufruire di tante attività e discipline, e dei loro proficui intrecci. La terza cultura è un mezzo complesso per avversare la semplificazione dilagante, cui contribuisce la cattiva divulgazione spettacolarizzata; un mezzo per conferire impeto a un’educazione polivalente mediante una comunicazione seria e responsabile delle scoperte e delle innovazioni.
    Sostituire il paventato scontro tra le specializzazioni con un loro benefico incontro porta alla luce legami interdisciplinari presenti e futuri, mentre condividere con altri la propria professionalità, in termini comprensibili e rigorosi, conduce a rivelare in quali modi ogni settore di ricerca partecipi alla terza cultura e alle sue prospettive. Sentendo la mancanza di un dialogo tra «pianeta» scientifico e non scientifico, e preoccupati dal dominio che un populismo anti-istruttivo e banalizzante potrebbe esercitare sui nostri sistemi educativi e su ciò che producono, crediamo utile ricollocare e promuovere le nostre conoscenze ed esperienze, la malleabilità della nostra razionalità (altresì emotiva) e delle sue variegate espressioni che nella terza cultura si ritrovano, per cogliere il mondo sotto angolazioni brillanti, condivisibili, estroverse.

    Lingiardi V., Vassallo N. (a cura di) (2011), Terza Cultura. Idee per un futuro sostenibile. Il Saggiatore, Milano. pp.17-21

     

  • R. Chiaberge (giornalista) Cultura 3.0 o cultura zero?

    (...) Ho talvolta l'impressione che l'evidente disinvoltura con cui i teenager, e perfino i bambini di oggi, smanettano sui computer nasconda una compulsività priva di pensiero. Non certo per colpa loro, questi ragazzi hanno aperto gli occhi su un mondo dove il libro è merce rara e obsoleta, sommersa da una valanga di tablet, smartphone e altre diavolerie che bippano e twittano alla velocità della luce. Hanno perso l'abitudine alla concentrazione, alla riflessione, alla lettura lenta. Non per niente nell'America di Google i pedagogisti più avvertiti ci stanno ripensando e (...) molte High School hanno innestato la retromarcia. (...) La verità è che la cultura, prima seconda o terza che sia, non si può acquisire senza sforzo. Per funzionare il tanto auspicato dialogo fra scienza e umanesimo presuppone un arsenale di strumenti critici di cui si può entrare in possesso solo a prezzo di un impegno costante e gravoso. Altrimenti è infarinatura superficiale, blabla da tuttologi improvvisati che scorazzano nei blog sputando sentenze su qualsiasi argomento e coprendo di improperi chi non la pensa come loro: non cultura 3.0, ma cultura 0.0, l'ultima versione (la più trendy) dell'assenza di cultura, un indistinto cinghettio di frasette che si incrociano nell'etere e aumentano frastuono e confusione.

    Eppure mai come oggi di una terza cultura ci sarebbe davvero bisogno: intesa come ponte tra saperi che si allontanano e arroccano nei fortilizi degli specialismi (...) sentiamo l'urgenza di "mediatori culturali", di "terzisti" che sappiano agire come forza di interposizione, seminando un sano scetticismo nei confronti di tutte le autorità e di tutte le verità autoritarie: religiose, ideologiche e anche scientifiche. Ci servono politici, insegnanti, comunicatori all'altezza dei tempi. Ma, a essere sinceri, in giro se ne vedono ben pochi.

    da V. Lingiardi e N.Vassallo, Terza cultura. Idee per un futuro sostenibile, cit. pp.73-74

     

  • S. Veca (filosofo), "Non c'è due senza tre"

    “I partecipanti ai simposi della terza cultura devono prendere sul serio, con sincerità e veridicità, il fatto della pluralità costitutiva delle differenti versioni del mondo. Ciascuna versione del mondo è fatta inter alia di un bel po’ di cose prese a prestito da altre e differenti versioni. E cattura un livello di realtà. Ve ne sono altri. Può darsi che a un tempo dato vi siano priorità e gerarchie fra differenti versioni. Ma i partecipanti ai simposi sanno bene che priorità a gerarchie sono esposte in linea di principio alla metamorfosi. Possiamo allora imparare qualcosa, a volte qualcosa che è molto importante, gli uni dagli altri. Qualcosa che può sorprenderci e far intravedere nuove idee e nuove connessioni fra idee. Connessioni prima non accessibili, e ora luminose, là, davanti a noi.  

    David Hume, il filosofo morale delle donne, ha suggerito nel grande Secolo dei lumi, in uno dei suoi superbi saggi ritirati, l’immagine di un viavai fra due reami: il reame del sapere e il reame della conversazione civile. E ha aggiunto che ambasciatori dei due regni erano e non potevano che essere le donne. I simposi della terza cultura fanno propria l’immagine di Hume e sono incentrati proprio sul viavai, impegnandosi al transito costante di idee, di aspettative, di emozioni, di stupori e di speranze in entrambe le direzioni. Senza gerarchia stabile. Senza dislivello tra alto e basso. Una terza cultura non la progetta un qualche comitato. Essa, nei casi fortunati insorge dalle pratiche e dai simposi in cui si mettono alla prova mutevoli grammatiche della creazione, della scoperta, dell’invenzione, del sogno di qualcosa. Varrebbe la pena di mettersi al lavoro, qui, dalle nostre parti. Per poter dire, a un certo punto, anche dalle nostre parti: questa è la terza cultura, bellezza!” 

    da V. Lingiardi e N. Vassallo, Terza cultura. Idee per un futuro sostenibile, Il Saggiatore 2011, pp. 224-225

     

  • John Brockman & c
  • S. Morini (filosofa), "Diversità"

    “Pensando al problema della terza cultura in Italia mi vengono in mente cose diverse: da un lato il ruolo e il peso della cultura scientifica nel nostro Paese, dall’altro il problema, più generale, della figura di intellettuale più consona ai cambiamenti radicali cui stiamo assistendo in tutti i campi del sapere.

    Per quanto il nostro sistema scolastico ancora regga, rispetto ad altri paesi, nell’impartire una accettabile cultura generale, è ancora estremamente arretrato sul piano dei contenuti, oltre che nei metodi di insegnamento. (…) La terza cultura richiede un intellettuale di tipo nuovo che sappia trarre ispirazione da discipline diverse.

    Un “umanista” contemporaneo aperto e libero dallo specialismo accademico, che sappia comunicare le conoscenze, rompere abitudini, combattere battaglie culturali, in armonia con lo spirito aperto di discussione caratteristico della comunità scientifica. (…) Gli intellettuali di oggi sono (…) protagonisti di un sapere non fine a se stesso, ma volto a ripensare e a cambiare il mondo e il modo in cui in esso viviamo.

    da V. Lingiardi e N. Vassallo, Terza cultura. Idee per un futuro sostenibile, Il Saggiatore 2011, pp. 174-176

     

  • D. Parisi (robottista), "Intellettuali o scienziati?"

    “Alla società servono sia le scienze della natura sia le scienze che studiano gli esseri umani ma queste ultime rimangono “nane” se confrontate con quelle della natura. La ragione principale per cui sono scienze “nane” è che, al pari degli intellettuali umanisti, usano troppo il linguaggio e formulano le loro teorie a parole. (…)

    Le cose stanno cambiando benché non in Italia. Sta nascendo una terza cultura che cerca di superare la separazione fra le due culture di cui parlava Charles Percy Snow, appunto la cultura umanistica e la cultura scientifica. Questa terza cultura impiega la scienza per capire la società e suggerire possibili soluzioni ai suoi problemi, e usa il computer per immaginare il futuro e disegnare “utopie non utopistiche”. Si interessa di politica nel senso della polis, cioè dei problemi della collettività, non nel senso dei partiti. E chiede che venga ridisegnata dalle basi l’intera interfaccia tra la scienza e la società. C’è bisogno di nuove menti. Di menti che, prima di tutto, hanno capito che sono necessarie nuove menti.

    Si tratta di menti che sanno che per comprendere il presente e per dare forma al futuro bisogna conoscere il passato, ma sanno anche che il futuro è la sola cosa che possiamo costruire. Sono menti convinte che è la scienza a doverci aiutare a capire il presente e a dare forme al futuro. Sono quelle che sono disposte a uscire dal loro Paese e anche dall’Occidente. Sono quelle che sono disposte a mettere il dito nelle piaghe”

    da V. Lingiardi e N. Vassallo, Terza cultura. Idee per un futuro sostenibile, Il Saggiatore 2011, p.184

     

  • F. Del Corno (compositore), Aprire le porte dei laboratori

    “Senza nulla togliere al valore della orizzontalità nella circolazione delle idee, garantita dallo sviluppo della tecnologia della rete, è solo la profondità che può stimolare la ricerca di un sapere più consapevole e non di una pura informazione priva di riscontro, per generare così un pensiero critico autonomo da condizionamenti e non mera acquiescenza all’opinione dominante. La terza cultura potrebbe essere allora una risposta all’esigenza di coniugare la velocità dei punti di informazione collegati in reti orizzontali con la necessità di percorrere in verticale nonché con la dovuta lentezza la complessità delle questioni aperte in ogni campo del sapere umano e delle loro conseguenze nel futuro sviluppo della nostra specie”.

    da V. Lingiardi e N. Vassallo, Terza cultura. Idee per un futuro sostenibile, Il Saggiatore 2011, p.97

     

  • C. Rovelli (fisico), "Scienza e cultura classica"

    “Scienza e cultura umanistica sono entrambe imprese umane che costruiscono nuovi modi di pensare il mondo, per comprenderlo meglio. Il mondo è complesso, e per cercare di comprenderlo servono strumenti di pensiero ricchi e diversi. La cultura italiana odierna ancora tiene scienze e cultura classica ben separate, e si rende miope alla complessità e alla bellezza del mondo, che sono rivelate da entrambe. (…)

    Il mio auspicio è che l’Italia sappia comprendere che il sapere nuovo del nostro secolo nasce da un’intensa combinazione fra contributi che vengono da paesi diversi e che mescolano sempre più in profondità la visione scientifica del mondo a quella umanistica. Ci insegnano altrettanto su noi stessi Dante e Omero quanto Copernico e Darwin. C’è altrettanta bellezza , umanità, intelligenza e mistero in una pagina di Franz Schubert e in una pagina di Albert Einstein. Entrambe ci forniscono chiavi per pensare il mondo. Entrambe ci mostrano qualcosa su come percepire la realtà, qualche cosa di profondo, e insieme di effimero e leggero, perché in ogni caso comprendiamo che il nostro sapere rimane fragile, parziale e provvisorio.

    Mi piacerebbe che la scuola imparasse a insegnare questo ai ragazzi, affinché l’Italia continuasse a essere parte viva e attiva nella nuova vasta e straordinaria cultura che la nuova koiné del nostro secolo sta costruendo”.

    da V. Lingiardi e N. Vassallo, Terza cultura. Idee per un futuro sostenibile, Il Saggiatore 2011, pp.204-206

     

     

Il convegno

passaggisisus

                     29, 30, 31 marzo 2012 - Rovereto (Trento)  

 

 

IL LICEO DELLE SCIENZE UMANE:

                     UN NUOVO DIALOGO TRA UMANISTI E SCIENZIATI
                     Saperi e linguaggi nelle pratiche educative
 
 

Programma

cliccando sui nomi dei relatori si accede alla relativa scheda

i nomi e gli eventi in corsivo segnalano la disponibilità del relativo video integrale presente nella videoteca del convegno

 

Giovedì 29 marzo


 

Sala Conferenze del MART

10,30  Registrazione dei partecipanti

11,00  Riunione Rete Passaggi e SISUS

12,30  Pausa pranzo

14,30  Apertura lavori: Saluto delle autorità e introduzione

15,00  Relazioni:

Angela Mongelli: Prospettive della Terza Cultura nei saperi della società complessa

Nicla Vassallo e Vittorio Lingiardi: Intervistati da Francesco Pavani

Dialogo sulla Terza Cultura

Collegamento in videoconferenza con Telmo Pievani

Dibattito

17,00  Comunicazione SISUS

Dibattito

18,30  Termine dei lavori

20,00  Cena al ristorante

 

 

Venerdì 30 marzo


 

Mattina: Liceo Fabio Filzi

8,30  Workshop

1° gruppo di lavoro: "Le buone pratiche nelle Scienze Umane: quali competenze? Scambio di esperienze, buone pratiche, modalità di lavoro"

2° gruppo di lavoro: "Il dialogo interdisciplinare; fare ricerca a scuola, lavorare insieme e comunicare in modo efficace: una opportunità" Confronto e individuazione di percorsi strategici per il curriucolo e per il dialogo e l'integrazione delle discipline.

3° gruppo di lavoro: "I nuovi linguaggi della didattica, un pedagogista dialoga con una regista teatrale"

4° gruppo di lavoro: Riservato ai Dirigenti Scolastici

5° gruppo di lavoro: Riservato agli Studenti

10,30  Pausa caffè

continuazione workshop

12,30  Pausa pranzo - Buffet

 

Pomeriggio: Aula magna della Facoltà di Scienze Cognitive

14,30  Francesca Rigotti: Modelli di conoscenza

Dibattito

15,30  Collegamento in videoconferenza con Telmo Pievani

16,00  Restituzione dei gruppi e dibattito

18,00  Assemblea della Rete Passaggi e SISUS

20,00 Cena in ristorante

 

Sabato 31 marzo


 

Mattina: Aula magna della Facoltà di Scienze Cognitive

8,15  Riunione Rete Passaggi

9,00  Tavola rotonda: Linguaggi e risorse semiotiche della contemporaneità in educazione

coordina Marino Sinibaldi, intervengono Marco Dallari, Stefano Oss, Francesco Pavani, Clotilde Pontecorvo

11,00 Aperitivo e chiusura lavori

 

 

Qui sotto il programma e la locandina aggiornati (4/3/2012):

Informazioni pratiche convegno di Rovereto

 

IL LICEO DELLE SCIENZE UMANE:
UN NUOVO DIALOGO TRA UMANISTI E SCIENZIATI SAPERI E LINGUAGGI NELLE PRATICHE EDUCATIVE


 

A tutti i (futuri) partecipanti al convegno nazionale di Passaggi/SISUS a Rovereto

Per motivi organizzativi, gli organizzatori devono ricevere tutte le schede di adesione compilate entro il 31 gennaio. Chiediamo quindi agli interessati di scaricare la domanda (qui sotto), compilarla e inviarla, insieme alla ricevuta di pagamento, a info@filzi.it oppure al seguente numero di fax 0464 433003 entro e non oltre martedì 31 gennaio 2012.

INFORMAZIONI: 0464 421223 chiedere della Segreteria (Chiara o Anna) – Prof. Aldo Muciaccia 348 7761388

PAGAMENTO: codice iban IT08 U082 1020 8060 1000 0010 983 presso la banca CASSA RURALE DI ROVERETO

 

per scaricare la scheda clicca qui sotto:

scheda

 

Per prenotarsi è necessario:

  • compilare in ogni sua parte la scheda di partecipazione (scaricabile qui scheda adesione.doc)
  • effettuare il versamento (ove non si usufruisca di gratuità) sul conto corrente del Liceo “Fabio Filzi” di € 160,00 (2 pranzi – 2 cene – 2 pernottamenti)
  • inviare scheda e ricevuta di versamento via fax al n. 0464 433003 oppure via mail all’indirizzo info@filzi.it entro il 31 gennaio 2012

 

Dati per bonifico:

IBAN IT08 U082 1020 8060 1000 0010 983
Intestato a Istituto di Istruzione “Fabio Filzi” – Corso Rosmini 61 – 38068 ROVERETO (TN)
Causale Convegno Nazionale Rete Passaggi
Scadenza martedì 31.01.2012

 

Informazioni:

Segreteria 0464 421223 (Chiara o Anna) - Docente referente 348 7761388 (Prof. Aldo Muciaccia)

 

Per gli aderenti alla Rete:

  • Le scuole devono essere in regola con il versamento della quota annuale.
  • E’ prevista una gratuità per ogni scuola, escluse le spese di viaggio che, ai sensi dell’ art. 3, comma b, del Regolamento della Rete, dovrebbero gravare sulla scuola di appartenenza.

 

Dislocazione:

 

 

 

Giovedì 29.03  (10.30 – 18.30)
Sala Conferenze Mart, Corso Bettini 43

Venerdì 30.03 (8.30 – 12.30)
Liceo “Fabio Filzi”, Corso Rosmini 61

Venerdì 30.03 (14.30 – 18.30)
Aula Magna Scienze Cognitive, Corso Bettini 84

Sabato 31.03 (9.30 – 12.30)
Aula Magna Scienze Cognitive, Corso Bettini 84

 

 

 

Trasporti:

In treno
Orari Trenitalia: Ferrovie dello Stato .
Linea ferroviaria Verona/Brennero con fermata a Rovereto. Servizio taxi all'esterno della stazione.
PER ARRIVARE AL LICEO “FABIO FILZI” a piedi (circa 5 minuti)
dalla stazione percorrere Corso Rosmini dopo aver passato l’incrocio con Via Savioli sulla sinistra si incontra il Liceo “Fabio Filzi”.
PER ARRIVARE AL MART E ALLA FACOLTA’ DI SCIENZE COGNITIVE a piedi (circa 15 minuti)
dalla stazione, percorrere Corso Rosmini sino a Piazza Rosmini, imboccare quindi a sinistra Corso Bettini.
Dopo circa 200 m., sulla destra, si incontra la sede del Mart, sulla sinistra la Facoltà.

In automobile
A22: uscita Rovereto Nord (se si arriva da nord) oppure Rovereto Sud (se si arriva da sud).
Usciti dall'autostrada seguire le indicazioni per il Mart oppure per il Liceo “F. Filzi” seguire le seguenti indicazioni:

Indicazioni stradali dal Casello autostradale Rovereto Sud
Procedere in direzione nord da su Via per Marco/SP23 - Continuare a seguire la SP23 (circa 1 minuto)
Alla rotonda prendere la 1a uscita e imboccare Via del Garda/SS240 - Attaversare 2 rotonde (circa 5 minuti)
Alla rotonda prendere la 2a uscita e imboccare Via dell’Abetone/SS12 - Continuare a seguire la SS12 (circa 3 minuti)
Alla rotonda prendere la 1a uscita e imboccare Piazzale Paolo Orsi
Continuare su Corso Rosmini subito dopo l’incrocio di Via Savioli si vede, sulla sinistra, il Liceo “Fabio Filzi”

Indicazioni stradali dal Casello autostradale Rovereto Nord
Procedere in direzione sudest da Via degli Alpini - Continuare su Via Lagarina
Svoltare a destra verso Via del Brennero/SS12 (circa 2 minuti)
Alla rotonda prendere la 2a uscita e imboccare lo svincolo Via del Brennero/SS12
Entrare in Via del Brennero/SS12 – Continuare a percorrere la SS12 (circa 1 minuto)
Alla rotonda prendere la 3a uscita e imboccare Piazzale Paolo Orsi
Continuare su Corso Rosmini subito dopo l’incrocio di Via Savioli si vede, sulla sinistra, il Liceo “Fabio Filzi”

In aereo
L’aeroporto più vicino a Rovereto è il “Valerio Catullo” di Verona Villafranca a circa 70 km, adeguatamente collegato alla Stazione ferroviaria di Verona Porta Nuova con servizio di bus navetta.

Altri aeroporti:
ABD Airport Bolzano Dolomiti a 90 km da Rovereto
Aeroporto G. D'Annunzio, Montichiari (BS) a 130 km da Rovereto
Aeroporto Linate (MI) a 200 km da Rovereto circa
Milano Malpensa (VA) a 300 km da Rovereto circa
Aeroporto M. Polo di Venezia a 180 km da Rovereto circa.
Gli aeroporti sono collegati da navette con le più vicine stazioni ferroviarie.

 

Links utili:

Liceo “Fabio Filzi” http://www.filzi.it
Rete Passaggi http://www.scienzesocialiweb.it
SISUS http://www.sisus.it
Mart http://www.mart.tn.it/default.jsp?ID_LINK=252&area=42
Scienze Cognitive http://www.unitn.it/cogsci
Azienda per il turismo Rovereto e Vallagarina http://www.visitrovereto.it
Musei Rovereto http://www.roveretomusei.it
Comune di Rovereto http://www.comune.rovereto.tn.it

 

Parcheggi di Rovereto:

Parcheggio comunale "Rovereto Centro" (park struttura)
via Manzoni 5/E
tel. 0464/438170 numero verde 800 090 156
Posti auto: 194
Apertura
24 ore su 24 - cassa automatica
Tariffe
Tariffa oraria: euro 0,60
Tariffa giornaliera: euro 3,00 (sosta oltre le 4 ore)
Sosta oraria notturna: euro 0,30
Sosta notturna (21.00 - 07.00): euro 2,50

Parcheggio comunale "Centro storico" (park struttura)
viale dei Colli
tel. 0464/433811 numero verde 800 090 156
Posti auto: 143
Apertura
24 ore su 24 - cassa automatica
Tariffe
Tariffa oraria: euro 0,80
Tariffa giornaliera: euro 4,00 (sosta oltre le 4 ore)
Sosta oraria notturna: euro 0,40
Sosta notturna (21.00 - 07.00): euro 3,00

Parcheggio presso il MART (park struttura)
via Sticcotta
tel. 0464 454110 / 454166
Posti auto: 300
Tariffe
Tariffa oraria: euro 0,80 (06.30 - 22.30)
Sosta notturna: solo con abbonamento

Parcheggio "Park Stazione"
via Brigata Acqui - Stazione FS
numero verde 800 090 156
Posti auto: 111
Apertura tutti i giorni, festivi esclusi dalle ore 8.30 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 19.00
Tariffe
Tariffa oraria: euro 0,50

Parcheggio stadio Quercia (anche per bus)
via Palestrina, 3
Posti auto: 100
Apertura
tutti i giorni
Gratuito

 

Scheda adesione

 

IL LICEO DELLE SCIENZE UMANE:
UN NUOVO DIALOGO TRA UMANISTI E SCIENZIATI SAPERI E LINGUAGGI NELLE PRATICHE EDUCATIVE

A tutti i (futuri) partecipanti al convegno nazionale di Passaggi/SISUS a Rovereto

In seguito alle numerose adesioni pervenute e per evitare che qualche interessato possa perdere l'occasione di aggiungersi ai partecipanti, abbiamo deciso di prorogare il termine per la trasmissione delle schede di adesione.

Tutte le schede di adesione dovranno quindi essere consegnate o trasmesse entro il 20 febbraio. Chiediamo quindi agli interessati di scaricare la domanda (qui sotto), compilarla e inviarla, insieme alla ricevuta di pagamento, a info@filzi.it oppure al seguente numero di fax 0464 433003

entro e non oltre lunedì 20 febbraio 2012

 

INFORMAZIONI: 0464 421223 chiedere della Segreteria (Chiara o Anna) – Prof. Aldo Muciaccia 348 7761388

PAGAMENTO: codice iban IT08 U082 1020 8060 1000 0010 983 presso la banca CASSA RURALE DI ROVERETO

 

per scaricare la scheda clicca qui sotto:

scheda     

  tutte le informazioni pratiche per il convegno

 

Materiali nella cartellina

Discipline da attraversare e da trasformare (Paola Di Cori)

 

 
Paola Di Cori
Università di Urbino
 
Discipline da attraversare e da trasformare
Nuovi traguardi nella didattica delle scienze sociali[1]
 
 
Parte I
 
1. Riferimenti antichi e recenti 

 

Pur nei limiti di una estrema sinteticità, vorrei cercare di mettere in evidenza quali sono i temi e le preoccupazioni che caratterizzano la riflessione attuale su scuola e scienze sociali, rispetto a quelle contenute in due importanti pubblicazioni su questo argomento, uscite nel 1977 e 1978[2]. Mi soffermo in particolare su due aspetti che mi sembrano rilevanti: 1) i cambiamenti nei referenti teorico-metodologici, e 2) i nuovi significati che sono intervenuti a modificare la definizione stessa di scienze sociali; se e in che modo queste ultime si distinguono da altri saperi e scienze.

Un elemento che salta agli occhi anche a una lettura superficiale, è la diversità di riferimenti, e aggiungerei anche, di umore, che caratterizza i tempi attuali se confrontati all’atmosfera che impregnava i testi di allora. Pur essendo assai critici e problematici, i volumi pubblicati alla fine degli anni Settanta sono in realtà percorsi da un tono generale indiscutibilmente propositivo, promettente e nell'insieme ottimista, ben diverso da quello assai più preoccupato e incerto che purtroppo pervade il momento attuale. Erano inoltre stati concepiti (come alcuni autori non mancano di sottolineare) all'ombra di alcuni numi (e nomi) tutelari: quelli di Marx, Weber, Parsons. Di questi tre, mentre Parsons da tempo non costituisce più un punto di riferimento, Marx ha subito abbondanti rivisitazioni, stravolgimenti e deformazioni; è soprattutto Weber, il più 'disincantato' dei tre, a rimanere come riferimento valido anche per l'oggi.

Le questioni chiave di allora, coerentemente con quei numi, riguardavano principalmente contesti e strutture socio-politico-economiche. Del tutto trascurato, se si pensa al ruolo che avrebbero ricoperto di lì a poco, ogni riferimento alla rivoluzione prodotta dallo sviluppo dei mezzi di comunicazione, divenuto essenziale elemento costitutivo per identificare la società contemporanea. Ancora troppo poco era inoltre lo spazio riservato alla 'cultura' - intesa nel più ampio senso che a questo termine, accanto ai successivi sviluppi dell'antropologia, hanno contribuito a dare soprattutto i "cultural studies" inglesi - e che è attualmente al centro degli interessi di molti studiosi e docenti di scienze sociali.[3] Come conseguenza, quasi assenti erano anche le preoccupazioni relative alle identità sessuali, religiose, etniche.

Che siano questi i punti che maggiormente contraddistinguono la società in cui viviamo, e quindi le aree di studio relative, mi sembra difficilmente contestabile. E di conseguenza, se dovessi indicare, a titolo puramente personale, alcuni dei testi (e dei nomi) che negli ultimi trent'anni, e in particolare nel decennio trascorso, sono diventati riferimenti importanti - oltre e al di là, (in qualche caso accanto a Marx, Weber e Parsons) - farei riferimento ad alcuni libri che riflettono meglio e più di altri temi divenuti cruciali dagli anni '90 in avanti, e riguardanti: la povertà e l'infelicità diffusa, presente oggi non solo nel cosiddetto terzo mondo, ma anche in occidente (si veda a questo proposito la fondamentale inchiesta coordinata da Pierre Bourdieu dal titolo emblematico La misére du monde,[4] in Italia passata del tutto sotto silenzio); le caratteristiche della globalizzazione, espressa dai diversi libri pubblicati da Zygmunt Bauman dopo l'89, tra i quali mi limito a ricordare Modernità e olocausto (1989), Modernità liquida (1998), Dentro la globalizzazione (1998);[5] oltre a quelli di Appadurai Modernity at large (1996) in italiano intitolato Modernità in polvere[6]) e di Saskia Sassen, autrice di importanti ricerche sulla vita urbana nei grandi agglomerati del primo e del terzo mondo, tra le quali citerei almeno Le città nell’economia globale (1994)[7]; la informatizzazione della società come emerge dal lavoro di Manuel Castells La nascita della società in rete (2002); la crisi dell'ecosistema, analizzata in numerosi studi da Vandana Shiva a partire da Monoculture della mente;[8] l'accento sulla rivoluzione nell'organizzazione dei saperi e sulle nuove esigenze formative del secondo millennio come espresso dal libro La testa ben fatta di Edgar Morin (1999)[9]; la centralità dei mezzi di comunicazione di massa a partire soprattutto dalla seconda metà degli anni ’70, brillantemente analizzata da Roger Silverstone in libri come Perché studiare i media?(1999)[10]. A questi aggiungerei almeno altri due titoli - Soggetti nomadi di Rosi Braidotti (1994)[11] e Corpi che contano di Judith Butler (1995)[12] – assai influenti nel contesto italiano, ed emblematici di quell'immensa attività del femminismo, di interrogazione riguardante le identità sessuali e le differenze di genere, che da Juliet Mitchell a Carla Lonzi, da Luce Irigaray a Luisa Muraro, a partire dalla metà degli anni '60 ha rivoluzionato l'orizzonte di vita e di attività intellettuale di tante studiose di scienze - sociali, umane, o esatte che siano.

Tra la fine degli anni Settanta e l'inizio del nuovo millennio, ci dicono questi testi, non più scritti da figure tutelari e tuttavia ottimi strumenti di riflessione sul presente, c'è stata l'informatizzazione del mondo, l'affermazione della società globale con la ridistribuzione iniqua delle ricchezze e il crescente impoverimento di zone sempre più ampie del pianeta, l'emergenza ecologica; e insieme anche una crescente attenzione per la costruzione delle soggettività e l'esigenza di provvedere con strumenti adeguati a bisogni formativi ormai profondamente mutati. E' su quest'ultimo punto che il testo del 1977 - Scienze sociali e riforma della scuola secondaria - si rivela ancora un buon titolo di riferimento sul tema.

 

2. Scienze sociali e/o umane? 

Volendo telegraficamente suggerire alcuni grandi cambiamenti di prospettiva per le scienze sociali dagli anni ’70 a oggi, tra le caratteristiche che mi sembrano importanti porrei al primo posto l’avvicendamento, sovrapposizione, sostituzione, omologazione, avvenuta tra scienze "sociali” e scienze "umane”. Per dirla in soldoni: tra le une e le altre lo scambio e l'affinità di obiettivi e di metodologie utilizzate è diventato così frequente negli ultimi decenni, da avere reso scarsamente distinguibili i confini esistenti tra le due, e sempre più difficile definire quale e dove passa una eventuale frontiera che li divide.

Sempre più spesso, infatti, interessi, temi, finalità, che nel corso degli anni ’70 erano stati caratteristici delle scienze sociali, nel passaggio al decennio successivo cambiano direzione. Questo è molto evidente soprattutto per la storia. Fare storia, per tutti gli anni ’60 e ’70 significherà soprattutto misurarsi e allearsi, prendere a prestito categorie e metodologie, con discipline come l'economia, la geografia e l'antropologia (in Francia tutte e tre queste discipline; in Inghilterra soprattutto l’economia, sia per storici di origini marxiste che per quelli di ascendenza fabiana e laburista). Il che, ragionando in termini di insegnamento di queste materie nelle scuole, significherà una accentuazione degli aspetti materiali dell’organizzazione sociale, e un grande interesse per la vita quotidiana – vale a dire un declino del vecchio modello storicista a favore di una spiccata attenzione nei confronti della discontinuità e del presente, e conseguente affermazione di queste due dimensioni come chiavi di lettura predominanti.[13] 

Questa tendenza si rovescia nel passaggio dagli anni ’70 agli anni ’80, soprattutto in ambito anglofono, dove alla spinta verso le scienze sociali (economia, sociologia, diritto) dei decenni precedenti, si sostituisce un mutamento di direzione. La novità è ora l'emergere di una tendenza a riavvicinarsi alle cosiddette scienze umane: la letteratura, la filosofia, i saperi relativi alla comunicazione (linguistica, semiotica, media), le arti visive. E' nel corso degli anni Ottanta, a mio avviso, ma la questione merita di essere approfondita ulteriormente, che si produce quello slittamento / sostituzione / sovrapposizione / scambio di significato tra 'scienze sociali' e 'scienze umane'. Sempre più spesso, infatti, sociologia e antropologia mutano aspetto, sembrano 'de-socializzarsi' per essere sottoposte a un processo di 'umanizzazione'. Così infatti viene esplicitamente sottolineato da quello che per il senso comune dovrebbe essere uno strumento didattico per le scienze sociali (a scriverlo sono infatti affermati studiosi di queste ultime) e che invece è pubblicato - dall'editore Laterza nel 1985 - con il titolo inequivocabile di Manuale di scienze umane. Suddiviso in tre sezioni dedicate all'antropologia, psicologia e sociologia, ciascuna delle quali è scritta rispettivamente da Bernardo Bernardi, Luciano Mecacci e Franco Ferrarotti.

L'enfasi su 'umano' in sostituzione di 'sociale' è il segno di una situazione in cui si sancisce il definitivo superamento del marxismo e delle interpretazioni più visibilmente marxisteggianti, a favore di una visione dove all'attenzione per le strutture economiche e per le stratificazioni sociali, subentrano le preoccupazioni per ciò che è 'umano' - sia in senso biologico (tecnologie riproduttive, epidemie, malattie, ma anche nuove pratiche e immaginario sul corpo, sui cyborg, ecc.) sia sul piano politico (diritti civili, movimenti dei sans papiers, ecc.), e storico (si parla di crimine contro l'umanità nel caso dei processi a gerarchi nazisti responsabili di stragi e deportazioni, o in quelli di militari e dirigenti coinvolti nelle più recenti guerre nella ex Yugoslavia, in Iraq, Afganistan, nella base di Guantanamo, ecc.).

Tale assimilazione e scambio dei termini si accompagna inoltre a un cambiamento nelle alleanze disciplinari, all’interno del quale si assiste all’emergere di nuove gerarchie di saperi e all’inarrestabile fortuna di quelli dedicati alla comunicazione (linguistica, semiotica, media, arti visive), accanto a un rinnovato interesse per la filosofia e la letteratura. Queste ultime saranno le regine incontrastate dei festival di grande successo che da qualche anno si svolgono a Mantova, a Modena, a Roma e in altre città italiane.

 

3. Ascesa e declino dei concetti 

Dal punto di vista epistemologico, nel passaggio tra gli anni ’70 e ’80 si assiste alla affermazione dei concetti come strumento essenziale di organizzazione della conoscenza e della sua trasmissibilità. (Ricordo qui una importante messa a punto sul tema nei contributi di Clotilde Pontecorvo dei primi anni '80).[14] Questo fenomeno è riconoscibile un po' in tutte le discipline; la tensione nei confronti della individuazione dei concetti fondamentali costituisce certamente uno dei tratti caratterizzanti del crescente bisogno di affermare nuove identità scientifiche. Quelli che da un punto di vista disciplinare e di apprendimento si chiamano concetti, dal punto di vista culturale più ampio si declinano come parole-chiave e categorie portanti. Spesso infatti si parla indifferentemente di concetti, di parole-chiave e di categorie come se si trattasse di termini intercambiabili; e nonostante qualche sforzo per stabilire differenze e fornire definizioni, l’uso intercambiabile di questi termini è una pratica diffusa, da accettare con la rassegnata saggezza di chi constata un dato di fatto. Con gli anni Novanta, non a caso, ha inizio la proliferazione, ormai diffusa a livello quasi epidemico, di dizionari, lessici, enciclopedie - strumenti che spiegano, ma soprattutto che si sforzano di definire parole sempre meno definibili; la corsa per 'fermare' i significati di una realtà che sembra sfuggire a velocità inarrestabile diventa uno dei fenomeni più cospicui dell'ultimo decennio.

Il momento alto di una tendenza a cogliere le mutazioni in atto, è dato dalla struttura e indice della “Enciclopedia Einaudi”, pubblicata a partire dalla seconda metà degli anni Settanta. In essa - ormai svanita ogni illusione di attribuire un significato univoco alle parole - la parte del leone la fanno proprio i concetti, o meglio i ‘pacchetti di concetti’. Il caso dell’Enciclopedia Einaudi è interessante perché in essa, più e meglio che in tanti saggi interpretativi degli umori del tempo (come non ricordare almeno l'influente raccolta pubblicata sempre da Einaudi nel 1979, e intitolata per l'appunto Crisi della ragione?)[15], si esprime in modo paradigmatico la tensione verso una ormai impossibile sistemazione definitiva e irrigidita della conoscenza. Quest'ultima è strettamente collegata all'ambizione di poter metter mano alla scrittura di una nuova grammatica dei saperi il cui alfabeto è costituito dai concetti. Al tempo stesso, l’idea originale dell’Enciclopedia, evidenziata dalla immagine ovoidale - il "grafo", la rete entro la quale i concetti sono sì sistemati ma soprattutto raggruppati entro confini permeabili e mutevoli, che possono e devono essere attraversati di continuo – è anche quella di affermare quanto sia ormai diventata una impossibile pretesa l’idea di fornire definizioni permanenti e immutabili: lo scopo dell'Enciclopedia Einaudi non tende, come quella settecentesca di Diderot e d'Alembert, a mostrare le meraviglie del progresso umano e scientifico, né tanto meno serve per irrigidire le conoscenze acquisite, ma al contrario l’impresa è stata concepita allo scopo di evidenziare quanto queste ultime siano da considerarsi come forme di apprendimento transeunti, mutevoli, e quindi passeggere; diciamo pure: squisitamente ‘storiche’.

Nel giro di poco tempo, quello che sembrava un punto d’arrivo - l'individuazione di strumenti cognitivi rassicuranti ed efficaci - subirà un ridimensionamento all'insegna del più puro spirito 'disincantato', grazie a due contributi importanti pubblicati nel corso degli anni ’80 – il saggio di Clifford Geertz, Blurred genres (generi confusi) del 1980,[16] e l’idea dei “concetti nomadi” avanzata in una importante raccolta del 1986 dal titolo, Da una scienza all’altra. Concetti nomadi, a cura di Isabelle Stengers.[17] In questo libro un gruppo di scienziati e di 'umanisti' si interroga su cosa avviene di alcune concettualizzazioni una volta che esse passano da una scienza cosiddetta dura a una morbida, e viceversa; viene in tal modo problematizzata e resa visibile la porosità dei confini tra saperi in apparenza divisi e lontani. Anche questo era l’obiettivo di Geertz, il quale nel suo saggio sottolineava soprattutto il fatto che ormai eravamo arrivati a una vera e propria erosione delle barriere disciplinari.

Scrive Stengers nella introduzione al volume sopra citato: "Abbiamo… a che fare con un campo in movimento, instabile, elaborato dagli stessi attori che è chiamato a definire, a sua volta ridefinito continuamente dalle operazioni che vi vengono tentate, siano queste vincenti o fallimentari." (p.10). Con queste parole, Stengers sottolinea con forza: 1) il ruolo chiave delle pratiche nella definizione delle scienze; 2) la presenza ineliminabile degli operatori, vale a dire l'importanza basilare dell’elemento soggettivo nella costruzione delle scienze.

Siamo nella seconda metà degli anni Ottanta; un decennio nel quale l'attenzione nei confronti della soggettività e dell'identità raggiunge il suo apice - valga per tutti la messa a punto della categoria di 'genere' (nel senso di gender) nel 1986 da parte della storica Joan Scott, che attraversa tutte le aree e che avvia nelle scienze sociali il dibattito sulle identità sessuali ancora così presente nelle nostre pratiche e nei nostri studi.[18] A questa enfasi sulla soggettività farà seguito nel decennio successivo l'interesse intorno al concetto e area della "cultura", su cui per mancanza di spazio non posso qui soffermarmi.[19] Ed è così, forti soprattutto dei nostri limiti, esitanti, disincantati/e, ma ancora dotati di una robusta curiosità, che entriamo nel terzo millennio.

Come riassumere in poche battute conclusive quanto è accaduto nell’ultimo decennio? Penso in particolare almeno a due fenomeni che, per così dire, stanno sotto gli occhi di tutti.

Da un lato, anziché sfumare, la tensione verso la creazione di nuovi concetti, la messa a punto di mappature sempre più complesse delle conoscenze si è accentuata, dando vita all’attuale proliferazione di specialismi, e a un inarrestabile processo di esaltazione della potenziale sistemazione disciplinare e disciplinata di ogni ramo delle conoscenze. Questo è specialmente evidente in un paese come l’Italia, dove accanto alla scarsa tradizione e dimestichezza nei confronti di pratiche pluri- e inter- disciplinari, si aggiunge una sviluppatissima ansia di ottenere conferme sul piano scientifico, troppo spesso raggiunte attraverso una esasperata ricerca di regole e ordine, di costruzione di 'gabbie' per ingabbiare i saperi che sfuggono, sistemandoli in aree di recente nascita su cui si reclamano diritti di prelazione. L'ossessione concettuale, e la sua conseguente pericolosità, è evidente (ahinoi) nella fortuna di cui ancora godono le 'mappe concettuali' nell'ambito della didattica scolastica, in particolare per ciò che riguarda la storia.[20]

Dall’altro lato, il processo di nomadismo concettuale è diventato quasi inarrestabile, e con esso sono anche proliferate le commistioni, le mescolanze tra aree di sapere anche molto distanti per origine e obiettivi, la nascita di nuove conformazioni. Una conferma in proposito è data da alcuni lavori che vanno in questo senso, importanti per le scienze sociali e/o umane che si voglia (a mio avviso ogni ulteriore tentativo di separarle e distinguerle, oltre che poco utile, è destinato a fallimento); mi riferisco allo studio del sociologo nordamericano Andrew Abbott, Chaos of Disciplines, pubblicato nel 2000,[21] e al volume di una studiosa di narratologia e semiotica, l'olandese Mieke Bal, Travelling Concepts in the humanities. A rough guide, del 2002.[22]

Anche se è inevitabile avviarsi verso un progressivo indebolimento degli steccati tra quelle che ormai non sono più né scienze né aree di conoscenza ben definite, ma solo vuote etichette, percorrere una strada non disciplinare è comunque assai difficile nel nostro paese.[23] D’altra parte, si tratta di un percorso obbligato, e dovendo pensare a qualche strategia per favorire una tendenza ad abbattere gli steccati disciplinari, mi viene da dire che le scuole, e in particolare i licei dove si insegnano scienze sociali (e insieme naturalmente quelle umane ed esatte), sono dei luoghi molto adatti per sperimentare forme di diffusione di conoscenze appartenenti ad aree ormai disciplinarmente ibride; molti moduli sono da anni di fatto concepiti così. Occorre infatti capire che siamo già ben oltre alle schermaglie su discipline, etichette e materie, prive ormai di ogni significato. Come giustamente ha sottolineato Immanuel Wallerstein, uno studioso che da anni proclama la necessità di trasformare radicalmente il modo di concepire le scienze sociali: il compito più urgente è oggi quello di "aprire" le scienze sociali, abituandoci a considerare le discipline, per parafrasare il titolo di una sua recente conferenza, come entità problematiche e dal significato altamente incerto.[24]

  

 

Parte II

 

4. Sociale, umano, e poi…? 

Poiché continua a essere un elemento problematico nella definizione dei saperi, e si tratta di un punto assai rilevante anche per la organizzazione curriculare, vorrei riprendere quanto sopra accennato circa il fenomeno di sovrapposizione e scambio esistente tra i termini “sociale” e “umano”. Al di là della maniera disinvolta con cui ministri di orientamenti diversi decidono di utilizzare l’uno o l’altro termine in base all’ispirazione del momento e alle proprie convinzioni politiche e/o religiose. Lo scambio e la sovrapposizione tra i due termini, più che essere frutto di superficialità, ignoranza, o preconcetto ideologico, rappresentano a mio avviso anche dell’altro. Credo infatti che in tale confusione ci siano elementi di grande interesse da non sottovalutare, che forse nascondono qualcosa di inquietante. E su questo vale la pena di soffermarsi, per capire che non siamo precipitati in questa situazione all’improvviso, e senza soluzioni di continuità, ma ci siamo arrivati seguendo dei percorsi anche tortuosi, per quanto spesso a una velocità che ha impedito di cogliere passaggi, transizioni e svolte.

Tentiamo un brevissimo, quasi fulmineo profilo di questi mutamenti.

Anche a uno sguardo superficiale appare evidente che il termine ‘sociale’, fino a quel momento di uso poco frequente e circoscritto, si espande grandemente negli anni ’60 e ’70; vale a dire nei decenni effervescenti di mobilitazione di ampi strati della società; delle rivolte operaie, studentesche, femministe; delle ideologie marxiste e marxisteggianti. ‘Sociale’ si affermerà stabilmente nel passaggio tra gli anni ’70 e ’80 un po’ in tutte le aree disciplinari, discorsive e politiche.

Il termine ‘umano’, invece, in questo stesso periodo viene utilizzato soprattutto in alcuni contesti specifici – in particolare nel linguaggio filosofico e religioso; ha un aspetto ancora troppo vago, astratto, sfuggente, per poter essere utilizzato da tutti. Anzi, in qualche caso sembra addirittura contrapporsi alla più concreta e materialistica realtà che sostiene ‘sociale’ come una polarità più indeterminata, quasi spiritualista.

Nel passaggio tra gli anni ’80 e ’90 avviene invece un processo di convergenza che porterà a una progressiva dislocazione dei due termini, e ‘sociale’ tenderà ad arretrare, rattrappirsi, ritirarsi per ricomparire mutato. Già verso la fine degli anni ’70 ‘sociale’ aveva cominciato a perdere parte della propria centralità; i suoi stretti collegamenti con ‘collettivo’, ‘comunitario’, e soprattutto la contrapposizione a ‘individualistico’, ‘egoistico’, ‘personalistico’, divennero meno accentuati e rigidi, fino ad assumere una fisionomia sfumata e più nebulosa. Questo processo è parallelo alla valorizzazione di parole come ‘privato’ e ‘personale’ - a lungo considerati termini estranei alla sfera pubblica e politica, e marginali all’interno del dibattito scientifico - che il femminismo aveva cominciato a operare fin dagli anni ’60. (Vi ricordate le famose “Lettere dei compagni di base a ‘Lotta continua’ ”? Il fenomeno si accompagnava a quello che venne definito dalla stampa quotidiana di allora come un ‘ritorno nel e del privato’, e che aveva peraltro già attraversato una profonda trasformazione nel corso dell’elaborazione femminista relativa alla formula “il personale è politico”).  

Intanto, ‘umano’ acquistava nuove e inaudite connotazioni. Basta ricordare che sono questi gli anni in cui si comincia a parlare di ‘genoma umano’ [il progetto sul genoma umano ha inizio negli Stati Uniti intorno al 1990], e i paradigmi che per tanti decenni avevano posto la fisica al centro dei modelli prevalenti nelle scienze, lasciavano il posto ad altri provenienti da elaborazioni in biologia e nella genetica. Questo fondamentale cambiamento di prospettiva in campo scientifico avrebbe contribuito a trasformare radicalmente le concezioni dominanti relative ai due ambiti fondamentali di ‘natura’ e di ‘vita’, sui quali l’attenzione è stata crescente. (basti pensare alle questioni riguardanti le tecnologie riproduttive).  

A livello più generale, in concomitanza con il crollo del muro del Berlino, la fine dei blocchi e delle ideologie prevalenti nei decenni precedenti, si verifica l’emergere di forti preoccupazioni relative ai diritti umani e ai crimini contro l’umanità: nei primi anni ’90 la guerra del golfo e i massacri in Bosnia avrebbero riportato in posizione dominante e a pochi chilometri dall’Italia la questione dei massacri di civili inermi, le violenze e gli stupri di massa. Non meraviglia che proprio questo sia il periodo in cui si assiste alla crescente e inarrestabile fortuna di alcune pensatrici e pensatori che hanno messo al centro del proprio impegno intellettuale la condizione umana, prima tra tutti Hannah Arendt. La quale infatti così aveva deciso di chiamare un suo libro del 1958 – The Human Condition

Come noto, in italiano il libro era stato tradotto nel 1964 con il titolo di Vita activa, privo di riferimenti al titolo originale, tanto il termine sembrava in quegli anni poco appetibile. Nella seconda edizione del 1989, che ha una introduzione di Alessandro Del Lago, anche il titolo ha subito un significativo mutamento, e rispetto al precedente diventa: Vita activa : la condizione umana. Con la scusa di una maggiore fedeltà alle intenzioni dell’autrice, si utilizza un termine che ormai non desta più problemi.

Nei decenni ’60-’70 l’uso del termine “sociale” circola parallelamente alla diffusione in Italia – finalmente! – di discipline come la sociologia, la psicologia, l’antropologia (note infatti come ‘scienze sociali’), mentre la parola “umano” compare di solito in secondo piano. La sostituzione e slittamento successivi dell’uno con/sull’altro, come ho sostenuto nelle pagine precedenti, rispondono tuttavia a una logica che discende da ragioni assai profonde e complesse. 

Infatti, è proprio degli ultimi vent’anni una serie di grandi cambiamenti all’interno dei processi di conoscenza e delle principali aree del sapere, siano esse variamente distinguibili in scienze sociali, umane, naturali o esatte; come noto la discussione otto-novecentesca sulla classificazione delle scienze è stata in larga parte superata da una visione sincretistica, dialogica, di “traduzione” tra un ambito e l’altro (per riprendere le riflessioni di Yehuda Elkana[25]), e anche di pura e semplice apertura di confini. Questi mutamenti sono stati diversamente analizzati e denominati dagli studiosi.[26]

Per semplificare fenomeni assai complessi che richiederebbero analisi ben più particolareggiate di quanto io non riesca a fare qui, riprenderei l’esempio dell’Enciclopedia Einaudi cui si accennava nella prima parte di questo articolo, e ben nota a gran parte del corpo insegnante. La struttura formale di quest’opera è assai interessante: non più un albero con rami che vanno verso l’alto gerarchicamente costituiti, bensì un disegno, denominato “grafo”, dove tutte le voci, seppure incluse all’interno di alcune grandi spartizioni, sono però collegate l’una alle altre, e fluttuano in questo spazio; sono in movimento e non gerarchicamente sistemate.

Negli anni ’70-’80, attraverso progetti innovativi come quello dell’Enciclopedia Einaudi, si entra in un clima assai diverso da quello del periodo precedente: non si tratta più di introdurre nuove nozioni, di ridefinire o aggiornare le antiche aree disciplinari sostituendole con altre, bensì di procedere a operazioni di rinnovamento degli ambiti compresi da un concetto o da una parola. Si afferma inoltre la consapevolezza del carattere transeunte e transitorio degli strumenti con cui si lavora intellettualmente; cominciano ad avere ampia circolazione parole come ‘rete’ e ‘complessità’; infine, l’onnipresenza del termine ‘sociale’ si attutisce per fare spazio al nuovo astro sorgente - “culturale” – che lo spodesterà nel volgere di poco tempo. Le enciclopedie e dizionari di nuova generazione, come anche iniziative editoriali di divulgazione, collane intitolate “bussole” o “farsi un’idea”, riviste e anche supplementi di quotidiani come “Diario” su “Repubblica”, sempre più spesso si richiamano al concetto della “parola-chiave”. La rivista “Problemi del socialismo”, fondata negli anni ’50 da Lelio Basso, cambierà veste ed editore e uscirà dal 1993 in poi con il nome appunto di “Parolechiave”.

Queste iniziative sono ormai caratterizzate da una impostazione dove l’esattezza e rigore delle definizioni si accompagnano a una diffusa consapevolezza di una loro intrinseca natura instabile e mutante, che le destina ad esistere in una permanente condizione transeunte. Ormai, alle richieste di un tempo di costruire alleanze tra discipline, di abbattere steccati, si sostituiscono obiettivi più realistici, basati sulla constatazione di una avvenuta perdita di forza, unicità, compattezza, impenetrabilità del linguaggio e degli strumenti della conoscenza.

 

5. Biopolitica 

Mentre sul piano più squisitamente economico-sociale, termini come ibridazione, flessibilità, globalizzazione, e anche neologismi come “meticciato”, trascinati dai massicci flussi e migratori, prendevano quota, a livello filosofico – sulla spinta di Foucault - si imponevano “vita” e “politica”, variamente combinate insieme al greco “bios“. “Biopolitica” è un termine che sarebbe prevalso dalla fine degli anni ’90, anticipato dal corso di Foucault del 1976 al College de France intitolato Bisogna difendere la società, e dal capitolo conclusivo de La volontà di sapere, sempre del 1976.[27] In esso Foucault sostiene che a un potere di vita e di morte prevalente fino al XVIII° secolo, si viene a sostituire nel corso del secolo XIX, un potere sulla vita:

“Concretamente, questo potere sulla vita si è sviluppato in due forme principali a partire dal XVII° secolo… Uno dei poli… è stato centrato sul corpo in quanto macchina: il potenziamento delle sue attitudini,.. la sua integrazione a sistemi di controllo efficaci ed economici… Il secondo, verso la metà del XVIII° secolo, è centrato sul corpo-specie, sul corpo attraversato dalla meccanica del vivente e che serve da supporto ai processi biologici: la proliferazione, la nascita e la mortalità, il livello di salute, la durata di vita, la longevità con tutte le condizioni che possono farle variare…”

…La vecchia potenza della morte in cui si simbolizzava il potere sovrano è ora ricoperta accuratamente dall’amministrazione dei corpi e dalla gestione calcolatrice della vita.” [28]

           E poche pagine più avanti commenta: “Su questo sfondo si può capire l’importanza assunta dal sesso come oggetto di scontro politico: esso è l’elemento di connessioni di due assi lungo i quali si è sviluppata tutta la tecnologia politica della vita. Da un lato partecipa delle discipline del corpo: dressage, intensificazione e distribuzione delle forze, adattamento ed economia delle energie. Dall’altro partecipa della regolazione delle popolazioni attraverso tutti gli effetti globali che induce.”

… “Il sesso è contemporaneamente accesso alla vita del corpo ed alla vita della specie”.[29]

Si tratta di osservazioni di cui è difficile sopravvalutare l’importanza; ciò di cui 30 anni fa Foucault scriveva, costituiscono i temi cruciali su cui ci interroghiamo incessantemente da anni e la loro ossessiva pervasività è sotto gli occhi di tutti. Il lucido insegnamento di Foucault è alla base di lavori dell’ultimo decennio che ne riprendono e sviluppano i punti essenziali, come ben illustrato da alcuni importanti libri degli ultimi anni - La nuda vita di Agamben,[30] Bios di Roberto Esposito,[31] Vite precarie di Judith Butler;[32] e anche, da un altro versante, per tornare agli spunti sopra discussi, Nascondere l’umanità di Martha Nussbaum.[33]

Da queste brevi considerazioni è forse possibile ricavare qualche indicazione di carattere didattico, utili sia per chi lavora nelle scuole che all’università. Telegraficamente mi limito a indicare due punti principali. 

Un primo aspetto è quello riguardante i contenuti di ciò che si insegna, la scelta dell’argomento, che comporta la necessità di costruire una base contestuale significativa. Occorre, in poche parole, far capire che le discipline sono utili ma non devono diventare una prigione; al contrario, devono essere come delle case aperte e ospitali, continuamente visitate da amici ed estranei. Questo significa oscillare senza sosta, da un lato per fornire alcune indicazioni di base squisitamente disciplinari, dall’altro per sottolineare il fatto che esse sono costruite con prestiti, alleanze, sconfinamenti, travestimenti, ecc. Lo scopo è quello di mostrare che gli oggetti di cui ci occupiamo, e così anche la scatola disciplinare entro cui si trovano rinchiusi, hanno alcune caratteristiche storiche e strutturali che li tengono in piedi, ma si trovano a essere continuamente in uno stato di trasformazione e di mutamento.[34] Lo sforzo di chi insegna è teso ad ampliare le capacità di osservazione degli studenti, a spostarli da dove pensano di trovarsi; bisogna far vedere come appaiono alcuni concetti, alcuni episodi, alcuni fenomeni, da punti di vista teorici e metodologici meno scontati. Da una parte, quindi, sia come studenti che come insegnanti, ci troviamo tra le mani una strumentazione concettuale “nomadica”, sottoposta a variazioni e svolte, che d’altra parte è anche qualcosa di assai dinamico. Per non affogarli nell’incertezza e nella frammentazione, occorre fornire alcuni punti di appoggio storico e teorico, mostrarne l’utilizzazione e alcuni possibili effetti.

L’altro aspetto, collegato al primo, riguarda una pratica che da tempo è diffusa nelle scuole, ma che assai difficilmente si riesce a introdurre nella didattica delle università italiane: la compresenza tra insegnanti di materie, orientamenti, formazione diverse; l’insegnamento di seminari e di corsi a più voci. Si tratta di una esperienza assai stimolante ma lontanissima dalle tradizioni nostrane, in particolare poco amata dai docenti delle generazioni più vecchie. Eppure, soltanto attraverso un confronto, dialogo, scambio, tra colleghi/e si riesce a mostrare concretamente quanto permeabili siano i confini tra e delle discipline, e come possano essere percorsi in direzioni diverse; quanto, in fin dei conti, il vero obiettivo della conoscenza (e quindi di come si impara e si insegna) sia quello di costruire qualcosa che ancora non si sa bene a chi e a quale luogo appartiene, e di cui non bisogna pretendere il possesso tramite un etichettamento e una chiusura, ma offrire liberamente come un bene da condividere. Anzi, che solo se condiviso, può considerarsi efficace e utile.[35]

 

 


 

 

[1] Questo articolo è composto di due parti. La prima riprende, con qualche cambiamento e aggiunta, un breve contributo del 2003 intitolato Orizzonti mutati nelle scienze sociali, inserito come paragrafo iniziale di un documento a più firme del Consiglio Italiano delle Scienze Sociali (disponibile in rete nel sito www.consiglioitalianoscienzesociali.it). La seconda parte ne costituisce un ampliamento, e sviluppa un intervento fatto al convegno dei Licei delle Scienze Sociali, svoltosi a Sezze nel marzo 2006.

[2] AA.VV. Scienze sociali e riforma della scuola secondaria, Torino, Einaudi, 1977; AA.VV. L'insegnamento delle scienze sociali: dove, come, perché, Torino, Loescher, 1978. Autori e autrice del primo erano: Guido Baglioni, Valerio Castronovo, Alessandro Cavalli, Raffaele Laporta, Clotilde Pontecorvo, Stefano Rodotà, Pietro Rossi, Benedetto Sajeva, Paolo Sylos Labini; del secondo: Luigi Firpo, Pietro Rossi, Alessandro Giordano, Marino Raicich, Ethel Serravalle Porzio, Michele Di Giesi, Enzo Bartocci, Savino Melillo.

[3] Su questo rinvio al mio contributo, Che significato hanno gli studi culturali in Italia?, consultabile in rete insieme a molti altri materiali, cfr. www.culturalstudies.it.

[4] Pierre Bourdieu, La misére du monde, Paris, Seuil, 1993.

[5] Il primo è stato pubblicato in italiano dall’editore il Mulino, gli altri due da Laterza.

[6] Roma, Meltemi, 2001.

[7] Bologna, il Mulino, 1997.

[8] Torino, Bollati Boringhieri, 1995.

[9] Milano, Cortina, 2000.

[10] Bologna, il Mulino, 2002.

[11] Cfr. Rosi Braidotti, Nomadic Subjects, New York, Columbia University Press, 1994. Il plurale è nell’edizione originale in inglese; la versione ridotta italiana singolarizza il titolo, Soggetto nomade, Roma, Donzelli, 1995.

[12] Milano, Feltrinelli, 1996.

[13] Cfr. Paola Di Cori, Tante storie diverse e alcuni obiettivi comuni, "Italia contemporanea", settembre 2000.

[14] Cfr. I saggi raccolti nei due volumi a cura di Clotilde Pontecorvo, Concetti e conoscenza, Torino, Loescher, 1983, e in particolare il suo saggio Concettualizzazione e insegnamento, ivi, pp. 262-354, e Storia e processi di conoscenza, Torino, Loescher, 1983, il saggio di Hilda Girardet, Un curricolo di storia come costruzione di reti concettuali, ivi, pp.269-316.

[15] Cfr. AA.VV., Crisi della ragione, a cura di Aldo Gargani, Torino, Einaudi, 1979.

[16] Cfr. Clifford Geertz, Blurred genres. The Refiguration of Social Thought, in "American Scholar", n.2, Spring 1980, ripubblicato in ID. Local Knowledge, New York, Basic Books, 1983, pp. 19-35.

[17] La traduzione italiana è stata pubblicata l'anno successivo dall'editore di Firenze, Hopefulmonster, 1987.

[18] Cfr. Joan W.Scott, Il "genere". Un'utile categoria per l'analisi storica, in Altre storie, a cura di Paola Di Cori, Bologna, Clueb, 1986, pp. 307-348. Molti dei temi qui accennati sono affrontati nella raccolta a cura di Joan W.Scott e Debra Keates, School of Thought. Twenty-five years of interpretive social science, Princeton, Princeton University Press, 2001, che include contributi – tra gli altri – di Geertz, Butler, Skinner, Sewell, Elshtein, ecc.

[19] Un buon esempio di questa svolta, alla fine degli anni ’80, è costituito dalla raccolta a cura di Lynn Hunt, The New Cultural History, Berkeley e Los Angeles, University of California Press, 1989; e Victoria E. Bonnell e Lynn Hunt (a cura di), Beyond the Cultural Turn, Berkeley e Los Angeles, University of California Press, 1999. Per alcuni riferimenti relativi all’Italia cfr. il sito www.culturalstudies.it; v. anche Christina Lutter, Markus Reisenleitner, Cultural Studies. Un’introduzione, Milano, Bruno Mondatori, 2004. V. anche Marco Aime, Eccessi di culture, Torino, Einaudi, 2004.

[20] Su questi aspetti rinvio a Paola Di Cori, Storiografie implicite. La storia a scuola: tra senso comune e sperimentazione, in Discorso e apprendimento, a cura di Clotilde Pontecorvo, Roma, Carocci, pp. 197-213.

[21] Chicago, University of Chicago Press.

[22] Toronto, University of Toronto Press.

[23] I rischi sono infatti assai alti, come dimostrano le vicende delle aree di cui mi occupo da molti anni - gli studi di genere e gli studi culturali. Se si volesse capire quale avvenire possano avere questi studi in Italia, rispetto alle loro terre d’origine – rispettivamente gli Stati Uniti e l’Inghilterra - basti pensare che nel nostro paese riescono a sopravvivere e magari anche a svilupparsi, ottenendo qualche interessante risultato solo ed esclusivamente se riescono a essere ‘inglobati’ e inseriti all’interno di qualche disciplina o specialità disciplinare. E’ così forte nel nostro paese la resistenza opposta alle mésalliances tra le discipline - una opposizione che si carica di molti significati e vantaggi 'pratici' (conferme professionali, promozioni, carriere, influenza in campo editoriale) - che soltanto acquistando etichette in cui appaiono ‘disciplinate’, le aree ibride ma soprattutto quelle di nuova o recente provenienza, riescono a esistere.

[24] Cfr. Immanuel Wallerstein, Anthropology, Sociology and Other Dubious Disciplines, in "Current Anthropology", n.4, agosto-ottobre 2003, pp.453-466. Wallerstein, autore nel 1991 di un testo importante sulla definizione delle scienze sociali - Unthinking Social Sciences: the limits of nineteenth-ecentury paradigms, Cambridge, Polity Press, 1991 - è stato a capo della commissione internazionale Gulbenkian per la ristrutturazione delle scienze sociali, che qualche anno fa ha pubblicato un rapporto intitolato Open the Social Science, Stanford, Stanford University Press, 1995. Il titolo inglese, mantenuto anche nelle traduzione in spagnolo e in parte in quella francese, è stato in italiano reso con lo stupefacente Le scienze sociali: come sbarazzarcene; i limiti dei paradigmi ottocenteschi, Milano, il Saggiatore, 1995. 

[25] Cfr. Yehuda Elkana, Antropologia della conoscenza, Roma-Bari, Laterza, 1989.

[26] Un convegno organizzato presso l’Accademia Nazionale dei Lincei nei giorni 26-28 ottobre 2006 riflette in maniera evidente quanto sostenuto in queste pagine. Con il titolo di “Le scienze umane in Italia” sono previste tre giornate, con contributi nelle seguenti aree disciplinari: filosofia, storia, antropologia, psicologia, letteratura, filologia, semiotica, linguistica, economia, sociologia, demografia, diritto, scienza politica. In corsivo appaiono quelle che in tutte le università, italiane e non, vengono considerate scienze sociali, le quali vengono qui inglobate con disinvoltura tra quelle umane. Sono scomparse anche le scaramucce para-clericali che avevano portato alcuni rappresentanti del ministero Moratti ai primi anni del millennio, a preferire ‘umano’ rispetto a ‘sociale’ sulla base di squisiti criteri di preferenza religiosa, privi di qualsiasi base scientifica o di richiami a una tradizione accademica consolidata. Occorre inoltre commentare, a proposito di questa iniziativa dei Lincei, che tra i 30 professori invitati a parlare (ai quali occorre aggiungere l’attuale ministro dell’Università e della Ricerca, Fabio Mussi), non è compresa nessuna donna, né – con l’eccezione del ministro - un uomo al disotto dei 60 anni! Quindi, non resta che constatare quanto l’aggettivo “umano” sia non solo storicamente mutevole e rivisitato variamente a seconda dei contesti spazio-temporali, ma come in Italia esso costituisca più che altro un sintomo negativo, specchio di arretratezza e non di democrazia o progresso sociale; in poche parole: l’ennesima conferma di quei caratteri patriarcali e gerontofilici che costituiscono il tratto dominante della stragrande maggioranza degli atenei nostrani.

[27] Cfr. Michel Foucault, “Bisogna difendere la società”, Milano, Feltrinelli, 1998; ID., La volontà di sapere, Milano, Feltrinelli, 1978.

[28] Michel Foucault, La volontà di sapere, cit., pag. 123.

[29] Ivi, pag. 129.

[30] Torino, Einaudi, 1996

[31] Torino, Einaudi, 2004.

[32] Roma, Meltemi, 2004.

[33] Roma, Carocci, 2004.

[34] Per ulteriori indicazioni didattiche sulle discipline rinvio a Paola Di Cori, Indisciplina e disordine. Insegnare in tempo di guerra, in AA.VV. Sconfinare .Differenze di genere e di culture nell’Europa di oggi, Urbino, edizioni Goliardiche, 2002, pp. 119-132.

[35] Una serie di contributi su questi e altri aspetti della didattica e del lavoro universitario, a partire da un testo di Michel de Certeau, Che cos’è un seminario?, sono raccolti in un fascicolo della rivista “Achab”, n.7, 2006, consultabile anche in rete all’indirizzo www.achabrivista.it

 

 

 

 

Il programma del convegno di Rovereto 2012 (Rete Passaggi-SISUS)

 

clicca qui per scaricare il programma definitivo e dettagliato del convegno di Rovereto 2012.

rovereto 2012 

 

L’Istituto Filzi di Rovereto in collaborazione con Passaggi (Rete delle scuole delle scienze umane), e con l’Associazione SISUS (Società Italiana di Scienze Umane e Sociali) organizza il IX° Convegno Nazionale:

IL LICEO DELLE SCIENZE UMANE:
UN NUOVO DIALOGO TRA UMANISTI E SCIENZIATI
SAPERI E LINGUAGGI NELLE PRATICHE EDUCATIVE

 

Il convegno ha l’ambizioso obiettivo di mettere in dialogo umanisti e scienziati in relazione ai saperi e ai linguaggi in educazione partendo da una idea di scuola che si interroga sulle nuove frontiere dell’apprendimento. Il sapere, come afferma E. Morin in Il “nuovo pensiero per il terzo millennio”, deve essere una conoscenza capace di superare l’isolamento e la separazione che caratterizza molti dei saperi della nostra epoca, colpiti da un eccesso di specializzazione. Si presenta la necessità di riscoprire le premesse implicite in ogni conoscenza, le idee generali che fanno da cornice.

Fortunatamente il movimento di cambiamento in questa direzione, come afferma ancora Morin, sembra avviato: assistiamo al nascere di scienze polidisciplinari; all’arretrare delle concezioni riduzioniste; alla maggiore consapevolezza della complessità del reale. Una delle conseguenze possibili riguarda il bisogno di recuperare la complessità del sapere, ad esempio con una maggiore integrazione tra cultura umanistica e scientifica. Ma soprattutto il bisogno di educare gli educatori, educarli all’amore e alla passione per la loro professione (in Nuovo pensiero per il terzo millennio).

L’obiettivo è di dare agli studenti le basi per articolare, collegare e contestualizzare i saperi al fine di permettere loro di “sapersi situare” all’interno della società complessa. Per realizzare questo obiettivo docenti universitari e docenti di scuola superiore sono stati impegnati in una riflessione sul tema della terza cultura e la sua possibile traducibilità in termini pedagogico-didattici.

Il tema del convegno ha alimentato anche il dibattito fra i docenti di scienze umane impegnati, pur nella contraddittorietà delle scelte di politica scolastica a cercare nuove strategie e nuove modalità didattiche tese sia a trovare un nuovo dialogo tra i saperi umanistici e i saperi scientifici sia a cercare nuove conoscenze e competenze che facciano diminuire la distanza, spesso ancora esistente, fra le esigenze di una società in continua evoluzione culturale ed eonomico-tecnologico-scientifica e il mondo della scuola che a fatica e molto lentamente si adegua ai cambiamenti e alle trasformazioni.

Sicuramente questo convegno, che in realtà è un vero e proprio laboratorio culturale, è una grande opportunità non solo per il territorio trentino in quanto la presenza di autorevoli studiosi e il confronto di buone pratiche che si attuano su tutto il territorio nazionale avrà ricadute positive per la comunità scientifica.
Credo sia importante in questa fase storica, di ridefinizione di paradigmi culturali, stimolare i nostri insegnanti a riprendere entusiasmo per il loro compito che non può esaurirsi nel fornire agli studenti strumenti culturali per navigare nella complessità o di sommare conoscenze specialistiche o iper-specialistiche. La sfida del pensiero oggi, che gli insegnanti devono saper cogliere, è quello di organizzare, di ibridare le conoscenze e non di sommarle. Per dirla ancora con Morin: “Questo sapere che abbraccia deve far rinascere una cultura che non sia puramente e semplicemente la copia della vecchia, ma che rappresenti l’integrazione di questa cultura all’interno di una connessione tra la cultura umanistica e quella proveniente dalle scienze”.

Sicuramente l’obiettivo del convegno è ambizioso ma siamo certi che non si esaurisce tutto in questi tre giorni ma è solo il punto di partenza per la costruzione di nuovi paradigmi culturali.

Aldo Muciaccia
coordinatore comitato scientifico

Scienze umano-sociali e scienze naturali

 

di Angelo Morales

 

“L’autocoscienza è in sé e per sé in quanto e perché è in sé e
 per sé per un’altra; ossia essa è soltanto come un qualcosa di
 riconosciuto…Per l’autocoscienza c’è un’altra autocoscienza;
essa è uscita fuori di sé. Ciò ha un duplice significato: in primo
luogo
l’autocoscienza ha smarrito se stessa perché ritrova se
stessa come una essenza diversa; in secondo luogo essa così ha
 superato l’altro, perché non vede anche l’altro come essenza, ma
 nell’altro vede se stessa. Essa deve togliere questo suo esser-altro”.

GWF Hegel, Fenomenologia dello Spirito, 1806

 

 Un corso di studi di Scienze umane e sociali dovrebbe partire da un’idea dell’uomo e della società, o quantomeno dal dibattito in corso sull’una e sull’altra, oggi del tutto aperto e ricco di implicazioni inedite rispetto al passato. Non stupisce che di tale dibattito non si trovi traccia nei nuovi profili dei due indirizzi di Scienze Umane e dell’Opzione, dato che la loro frettolosa stesura semiclandestina rispondeva a criteri non proprio culturali ma molto più prosaici. Ciò che rende ancor più necessario avviare una discussione sul senso attuale dei nostri indirizzi di studio e delle nostre discipline. Riprendendo alcune tematiche indicate in un breve contributo di qualche mese addietro mi propongono di esporre due tesi (non dico argomentare in modo adeguato, perché farlo richiederebbe molto più spazio e qualche competenza in più) su cui credo sarebbe molto proficua una riflessione comune.

 

Scienze umane o Scienze sociali?

   Ha ancora senso la distinzione tra scienze umane e scienze sociali, e cosa la giustifica? La scelta di azzerare l’indirizzo di Scienze Sociali sostituendolo con le Scienze Umane (di cui l’Opzione economico sociale costituisce una sorta di diramazione, o per meglio di dire di parente povero) non ha avuto alcuna giustificazione esplicita, almeno che io sappia, a meno che nella “cabina di regia” vi siano stati avvincenti dibattiti teorici sul tema. La mia ipotesi è che se vogliamo provare a ragionare attribuendo a tale scelta qualche dignità teorica (mettendo cioè da parte le logiche di altro genere che in ultima analisi hanno avuto la meglio) sia utile partire dalla considerazione che dietro la distinzione tra umano e sociale si cela una falsa contrapposizione tra individuo e società. In questa concezione l’individuo esiste prima della società, la quale sarebbe data dalla semplice aggregazione di più individui autonomi e di per sé indipendenti. Le scienze umane si occupano dunque dell’individuo pre-sociale così ipostatizzato, le scienze sociali delle sue relazioni con gli altri, e in questo senso il loro ruolo viene opportunamente ridimensionato. Che dietro questa idea ci stia qualche desueta forma di spiritualismo o si vada a braccetto con alcuni esiti solipsisti del moderno cognitivismo, la sostanza non cambia; anzi è possibile che si sia realizzato un mix di entrambi, ed è perciò che la“metafisica influente” che si intravede dietro il riordino assomiglia ad un indigesto connubio di integralismo e tecnocrazia.

   Il problema è che, da qualunque parte la si osservi, la ricerca attuale porta verso esiti radicalmente diversi. Proviamo a partire dall’Antropologia, che ovviamente si è a lungo occupata della “natura umana”.  In questo caso la nostra storia ha inizio in un lontano passato, con il processo di ominizzazione, così descritto da H. Popitz: “I singoli passi di questa evoluzione organica sono riconducibili all’acquisizione della stazione eretta e al successivo dispiegamento delle possibilità che essa permette: il disimpegno della mano…il ritirarsi della mandibola, l’ampliarsi della fronte, l’accrescersi della massa cerebrale e infine la costituzione della sua struttura”. Si realizza in tal modo un circuito virtuoso tra occhio, mano e cervello, che va visto “come un agente della filogenesi umana, come elemento dinamico della produzione dell’essere umano” (Verso una società artificiale, Editori Riuniti, 1996). E’ evidente che questo processo ha a che fare con la specie nel suo complesso: è la specie che si umanizza, ed i singoli individui ne condividono il destino.

   L’indagine sulla natura umana è stata recentemente stimolata ed arricchita dalla riscoperta di alcuni autori considerati i fondatori dell’antropologia filosofica, come Max Scheler, Helmuth Plessner e Arnold Gehlen (per una visione di insieme cfr. M. T. Pansera, Antropologia filosofica, B. Mondadori, 2001). Di quest’ultimo è stata recentemente ripubblicata in Italia l’opera più significativa, del 1940, (L’uomo.La sua natura e il suo posto nel mondo, Mimesis, 2010), nella quale espone la tesi dell’uomo come essere carente, biologicamente inadatto alla sopravvivenza, che riesce a compensare questa mancanza attraverso la cultura, che per lui si configura come una “seconda natura”. Mentre le altre specie viventi sono caratterizzate da una ricca dotazione di istinti, che consente loro di adattarsi perfettamente all’ambiente, l’uomo è povero di istinti ed il suo ambiente è il mondo. Questa debolezza naturale dell’uomo si rovescia però in un fattore determinante della sua evoluzione, che lo mette in condizione di adattare ogni ambiente ai suoi bisogni, attraverso l’uso combinato della mente e delle mani. L’uomo, dunque, è un essere “naturalmente culturale”: la cultura non è qualcosa che si aggiunge “dopo” (quando?), alla sua formazione, ma caratterizza la specie umana sin dall’inizio. Un ruolo decisivo in questo processo è dato dalla neotenia, così descritta da M. Mazzeo : “L’essere umano è neotenico perché l’infanzia assume per noi un carattere cronico e permanente, grazie al rallentamento del processo di invecchiamento e di maturazione dell’organismo…alla nascita il cervello umano è pari al 28% della grandezza che raggiungerà in età adulta contro il 70% dei gibboni…e la dipendenza dalle figure genitoriali si protrae per diversi anni”. E, citando l’antropologo A. Montagu, prosegue: “…è del tutto erronea l’idea secondo la quale la vita dell’individuo comincerebbe con la nascita. La nascita non è niente di più che la fine del periodo di gestazione; rappresenta semplicemente il ponte tra la gestazione intrauterina e quella extrauterina” (M. Mazzeo, Per un’antropologia dell’ambivalenza, in “Forme di vita”, n.6, 2007). Se passiamo dunque dalla filogenesi all’ontogenesi, possiamo riscontrare che la costituzione della persona umana richiede un lungo periodo di formazione anche oltre la nascita. Ma, se ciò è vero, e mi sembra difficile che oggi lo si possa contestare, anche il processo di formazione del singolo individuo è socialmente condizionato. La socializzazione non interviene quindi solo attraverso il processo educativo, quando ormai, per così dire, la biologia ha fatto la sua parte; essa diviene parte costitutiva della formazione della mente, e dunque della identità di ciascuno, a partire dalla concreta realizzazione dei circuiti neuronali. Scrive Gerald M. Edelman: “nasciamo con un numero di geni insufficiente per specificare la complessità sinaptica di cervelli superiori come il nostro. Com’è ovvio, il fatto che abbiamo un cervello umano e non un cervello di scimpanzé dipende invece dalle nostre reti genetiche. Ma queste, come le reti cerebrali, sono enormemente variabili poiché le loro diverse forme di espressione dipendono dal contesto ambientale e dall’esperienza personale” (G.M.Edelman, Seconda natura. Scienza del cervello e conoscenza umana, R.Cortina, 2007, p 18).

   Una caratteristica essenziale dell’essere umano è il linguaggio, il cui ruolo nel processo di formazione, sia filogenetica che ontogenetica, è determinante. Riprendendo il concetto aristotelico di natura come manifestazione delle specifiche potenzialità di una specie vivente, Felice Cimatti afferma che in realtà la specie umana non è del tutto carente di istinti, perché “un istinto il nostro corpo ce l’ha, per quanto particolarissimo”, ed è “l’istinto del linguaggio. Ma, diversamente da quanto accade con gli altri istinti, che riducono lo spettro delle possibilità a vantaggio di un solo ambiente, il linguaggio umano agisce in senso opposto…è una macchina che genera ipotesi, ossia scenari possibili” (F. Cimatti, Il senso della mente, Bollati Boringhieri, 2004).

   L’analisi della struttura del linguaggio permette di guardare alla relazione tra umano e sociale da una prospettiva illuminante. Già nel 1934 Vygotskij scriveva: “Lo sviluppo del pensiero è, per Piaget, la storia della graduale socializzazione di stati mentali autistici, personali e profondamente intimi. Persino il linguaggio sociale viene considerato come una forma di linguaggio che non precede ma segue il linguaggio egocentrico. L’ipotesi che noi proponiamo capovolge questo corso …la funzione primaria del linguaggio, sia nei bambini che negli adulti, è la comunicazione, il contatto sociale. Il primissimo linguaggio del bambino è quindi essenzialmente sociale…Nella nostra concezione, la vera direzione dello sviluppo del pensiero non è dall’individuale al socializzato, ma dal sociale all’individuale” (Pensiero e linguaggio, ed. it. Giunti Barbera, 1984, pp.37-38). E ancora: “ Ogni funzione nel corso dello sviluppo culturale del bambino fa la sua apparizione due volte, su due piani diversi, prima su quello sociale, poi su quello psicologico, dapprima fra le persone, come categoria interpsichica, poi all’interno del bambino, come categoria intrapsichica” (cit. da F. Cimatti in “Forme di vita”, n.5/2006). Intervenendo su questi problemi 25 anni dopo, Piaget sosterrà a sua volta: “…su alcuni punti mi trovo d’accordo col Vygotskij più di quanto avrei potuto esserlo nel 1934…egli avanzò una nuova ipotesi: che il linguaggio egocentrico sia il punto di partenza per lo sviluppo del linguaggio interiore…e che questo linguaggio interiorizzato possa servire sia ai fini autistici che al pensiero logico. Io sono completamente d’accordo con queste ipotesi…In breve, sono d’accordo col Vygotskij quando conclude che la funzione iniziale del linguaggio deve essere quella della comunicazione globale e che più tardi il linguaggio diventa differenziato in linguaggio egocentrico e linguaggio comunicativo propriamente detto”(Pensiero e linguaggio, cit, pp.242-43). Non è qui essenziale determinare se la tardiva lettura di Vygotskij abbia fatto cambiare in modo significativo il modo in cui Piaget intendeva la relazione tra pensiero e linguaggio, quanto il fatto che la posizione di Vygotskij (e Lurija) ha, in modo carsico, influenzato profondamente la ricerca successiva, nonostante il periodico prevalere di posizioni teoriche opposte, per ultima quella cognitivista.

   La “rivoluzione cognitiva”, come è stata definita da H. Gardner, ha avuto un ruolo che è difficile sottovalutare nel panorama scientifico contemporaneo. Coinvolgendo molteplici discipline (oltre alla psicologia, la linguistica, l’antropologia, le neuroscienze, l’intelligenza artificiale, la filosofia della mente), può essere considerata come un vero e proprio mutamento di paradigma, che ha accompagnato la rivoluzione informatica, che a sua volta ha modificato profondamente il mondo industrializzato. Se, a fronte di tanti meriti, una responsabilità può esserle riconosciuta, è quella di avere riproposto in termini quasi insolubili l’antica contrapposizione tra corpo, mente e mondo, di cartesiana memoria.  Addentrarsi nel multiforme panorama delle teorie della mente in vario modo riconducibili al cognitivismo non è qui ipotizzabile. Per quanto schematico, non credo sia tuttavia fuorviante riferirle ad un denominatore comune: la descrizione dell’attività mentale in termini di rappresentazioni formali e di regole per elaborarle. Da qui l’analogia tra la mente ed il computer e l’idea di una implementazione della mente diversa dal cervello. Ma, mentre da un lato si manifestano significativi ripensamenti interni allo stesso cognitivismo: “l’innatismo computazionale è senza ombra di dubbio la migliore teoria della mente cognitiva che sia mai stata concepita finora…Ciò malgrado, è assai plausibile sospettare che questa teoria sia, in larga misura, falsa” (Jerry A. Fodor, La mente non funziona così, Laterza, 2001), sino ad oggi qualunque tentativo di realizzare delle macchine pensanti si è scontrato con le enormi difficoltà di dare ad un robot, oltre alle funzioni computazionali, anche quelle di un corpo che sente ed ha un ruolo insostituibile, oltre che nel determinare emozioni, sentimenti e desideri, anche nella formulazione dei pensieri. Pare cioè che non sia proprio possibile realizzare una mente umana disincarnata. (Vedi ad es. le ricerche di un esperto di robotica come Domenico Parisi: D. Parisi, Mente. I nuovi modelli della Vita Artificiale, Il Mulino, 1999; Id., Una nuova mente, Codice edizioni, 2006; cfr. anche Edelman, Seconda natura, cit.).  

   Buona parte della ricchissima ricerca teorica di Husserl ha avuto l’obiettivo di cogliere il nesso necessario tra l’io, l’altro e il mondo nella costituzione della soggettività. Anticipando con straordinaria acutezza tante ricerche contemporanee, il fondatore della fenomenologia giunge alla convinzione che “la ragione non risiede nella coscienza del singolo, non è qualcosa che ogni individuo possiede in pari misura. Essa è, al contrario, qualcosa che si costituisce intersoggettivamente. Ridotto al solus ipse io non potrei accedere a quel concetto di ragione che è il correlato del vero essere…Il vero essere si costituisce dunque in atti soggettivi, che però non sono quelli del singolo soggetto, bensì gli atti che fanno capo a una comunità intersoggettiva…La ragione non è, dunque, uno spirito del mondo che aleggia sopra i singoli soggetti, ma qualcosa che accade all’intersezione e nell’interazione tra i singoli soggetti e, proprio per questo, però, si radica in ogni singolo soggetto in quanto questi si interroga sulla legittimità dei suoi atti, aprendosi, nello stesso tempo, alla correzione intersoggettiva” (V. Costa, Il cerchio e l’ellisse. Husserl e il darsi delle cose, Rubbettino, 2007).

   Oggi viene sottolineata da più parti la sorprendente corrispondenza tra gli esiti della ricerca fenomenologica e quelli delle neuroscienze (vedi ad es. il libro curato da M. Cappuccio: AAVV, Neurofenomenologia, B. Mondadori, 2006). Non a caso dalla fenomenologia sono influenzati anche alcuni filosofi della mente fortemente critici del cognitivismo, come H.L. Dreyfus ed Andy Clark. Del primo scriveva Sergio Moravia: “A una possibile domanda sul ‘dove’ avvengono gli eventi mentali la risposta più appropriata è per Dreyfus che ‘avvengono in un mondo condiviso [con altri] nel quale siamo circondati da cose e da individui esterni a noi, e non nei nostri cervelli né nelle nostre menti’. E alla possibile domanda su ‘chi’ sia l’agente, il soggetto reale degli atti mentali, la risposta più appropriata pare essere la persona: non certo la mente” (S. Moravia, L’enigma della mente, Laterza, 1986; ma di Dreyfus vedi Che cosa non possono fare i computer, Armando, 1988). Riguardo ad Andy Clark, Daniel Dennet sintetizza così la sua idea: “…le menti sono composte di attrezzi per pensare che noi non solo otteniamo dal mondo sociale più ampio, ma che prevalentemente vivono nel mondo, piuttosto che ingombrare il nostro cervello”. Direi, con buona pace del solipsimo, da qualunque parte esso provenga. (di Andy Clark vedi Dare corpo alla mente, McGraw-Hill, 1999; ma il titolo originale, ben più significativo è: Being There. Putting Brain, Body and World Together Again).

   Alla metà degli anni novanta Giacomo Rizzolatti ed il suo gruppo di lavoro presso il Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Parma, scoprono l’esistenza, nella corteccia ventrale premotoria della scimmia ed in seguito in altre aree del cervello, dei neuroni-specchio, che vengono attivati non solo quando l’animale compie un’azione, ma anche quando osserva un altro che la compie. Successivamente, lo stesso gruppo, e ricercatori di altre università, confermano l’esistenza dei neuroni-specchio anche nell’uomo. Qual è l’importanza di questa scoperta in relazione al nostro argomento, cioè alla relazione tra umano e sociale? “Essi attestano un livello-base delle nostre relazioni interpersonali, costituito da un meccanismo di ‘risonanza immediata’ non cognitivistico tra me e gli altri…I neuroni –specchio sono una specie di sapere vissuto, conseguente alla capacità di agire e automaticamente funzionante come canone di comprensione degli altri. In questo senso, essi forniscono la base neurofisiologica dell’originaria situazione d’interdipendenza e relazionalità tra gli esseri umani, indipendente da operazioni cognitive” (L. Boella, L’empatia nasce nel cervello?, in AAVV, Neurofenomenologia, cit.).  Quindi, la relazione dell’uomo con i suoi simili è assicurata da una “intersoggettività” originaria, che precede la costituzione della mente individuale. Il “noi” è presente prima ancora che si possa parlare di un “io” autocosciente; i neuroni-mirror costituiscono pertanto il fondamento biologico della socialità della mente (vedi tra gli altri V. Gallese, Le basi cerebrali dell’intersoggettività, in “Forme di vita”, n.4/2005). Da tutte queste considerazioni mi pare emerga con sufficiente chiarezza come una netta distinzione tra umano e sociale non sia sostenibile, perché non esiste un umano pre-sociale. L’essere umano diventa tale, filogeneticamente ed ontogeneticamente condividendo con i propri simili tutti gli elementi costitutivi del suo essere uomo. Riproporre dunque ancora oggi la distinzione tra scienze umane e scienze sociali, non tiene alcun conto degli esiti di un intenso lavoro interdisciplinare che dovrebbe indurre a riformulare radicalmente alcuni elementi di base dell’attività formativa.

 

Scienze naturali e scienze umano-sociali

   Il dibattito sulla relazione, o sulla contrapposizione, tra le scienze umane e quelle naturali, oggi può essere affrontato con maggiore consapevolezza critica rispetto al passato a partire da alcune premesse: 

  1. La crisi dell’epistemologia contemporanea ha di fatto dissolto la vecchia querelle sulle insufficienti garanzie di scientificità delle prime rispetto alle cosiddette “scienze esatte”. Direi che l’itinerario dell’ epistemologica contemporanea, da Popper a Lakatos, sino a Kuhn e Feyerabend, ha progressivamente evidenziato la strutturale incertezza della ricerca scientifica anche nell’ambito delle scienze naturali. Se prima le scienze umane scontavano una storica sudditanza, perché da un lato non erano in grado di adottare rigorosi metodi quantitativi di indagine, e dall’altro non potevano affidarsi sistematicamente ad una verifica sperimentale, oggi il carattere probabilistico delle stesse scienze della natura ha fatto scendere queste ultime dal piedistallo su cui erano state messe.
  2. Abbiamo ormai sufficienti riprove del fatto che la ricerca scientifica riesce ad ottenere risultati significativi se accetta la sfida di rompere le barriere disciplinari. Non occorre ricordare ai frequentatori del nostro sito il lavoro pluridecennale di Morin o quello testimoniato nel volume curato da G. Bocchi e M. Ceruti (AAVV, La sfida della complessità, B. Mondadori, 2007; la prima edizione è del 1983), e accennavo sopra all’esempio della cosiddetta “rivoluzione cognitiva” (vedi H. Gardner, La nuova scienza della mente. Storia della rivoluzione cognitiva, Feltrinelli, 1988).

   L’ottica che vorrei proporre si riferisce però ad un’altra prospettiva di analisi, suggerita dal lavoro della rivista “Forme di vita” (pubblicata da DeriveApprodi) e da molteplici studi dei suoi collaboratori. Rendere conto di una attività di ricerca che spazia dalla linguistica alla filosofia della mente, alla psicologia, alla neurologia, all’antropologia, alla biologia e molto altro non è qui materialmente possibile. Mi limito pertanto ad indicare una delle tesi centrali di questo gruppo di lavoro, ben sintetizzata da Paolo Virno in alcune sue opere. Virno parte da una rilettura di Arnold Gehlen e dalla sua tesi dell’uomo come animale naturalmente culturale, cui ho già accennato. Data l’importanza di questo riferimento, mi sia consentita una lunga citazione, credo di per sé significativa, dello stesso autore.

 “Dal punto di vista morfologico -a differenza di tutti i mammiferi superiori- l’uomo è determinato in linea fondamentale da una serie di carenze, le quali di volta in volta vanno definite nel preciso senso biologico di inadattamenti, non specializzazioni, primitivismi, cioè carenze di sviluppo, e dunque in senso essenzialmente negativo…La tendenza dell’evoluzione naturale è a adattare forme di alta specializzazione ai loro rispettivi e ben determinati ambienti…L’uomo invece, dal punto di vista morfologico, si può dire non abbia specializzazioni…è in quanto essere naturale irrimediabilmente inadeguato. Egli è di una sprovvedutezza biologica unica, e si rivale di queste carenze soltanto grazie alla sua capacità di lavoro ovvero alle sue doti per l’azione, grazie cioè alle mani e all’intelligenza” (A. Gehlen, L’uomo, cit, pp.70-71).

   “L’apertura dell’uomo al mondo significa che egli difetta dell’adattamento animale a un particolare ambiente…La non specializzazione fisica dell’uomo, la sua carenza di strumenti organici, al pari della deficienza stupefacente di autentici istinti sono dunque in connessione reciproca, il cui rovescio concettuale è la scheleriana ‘apertura al mondo’ o, il che è lo stesso, il disancoraggio da un ambiente preciso…Già qui si prospetta un compito di grande rilievo fisico e vitale: l’uomo deve trovare a se stesso degli esoneri…cioè trasformare le condizioni deficitarie della sua esistenza in possibilità di conservarsi in vita” (ib., pp.73-4).

   “In conseguenza del suo primitivismo organico, e della sua carenza strumentale, l’uomo è incapace di vivere in ambiti realmente naturali e originari. Deve dunque surrogare i mezzi di cui organicamente difetta, e lo fa trasformando attivamente il mondo in qualcosa di utile alla sua vita…L’insieme della natura da lui trasformata con il proprio lavoro in tutto ciò che riesca utile alla propria vita dicesi cultura, e il mondo della cultura è il mondo umano. Per lui non si dà possibilità di esistenza nella natura immodificata, non ‘addomesticata’, e non esiste ‘uomo allo stato di natura’ in senso stretto…La cultura è pertanto la (sua) ‘seconda natura’” (ib., p.75).

   Queste caratteristiche, presenti in modo inalterato in ogni essere umano “dal Cro-Magnon in poi”, costituiscono per Virno (come per Gehlen) l’”invariante biologico” dell’Homo sapiens, caratteri permanenti nonostante le profonde diversità culturali che si manifestano nelle diverse epoche storiche. Sbaglia dunque chi, come Geertz o Foucault, tende a dissolvere i caratteri naturali della specie umana contrapponendovi la sua radicale storicità. Geertz propone di superare la distinzione tra scienze naturali e scienze umane annullando le prime nelle seconde, dato che, a suo avviso, anche le scienze naturali hanno un fondamento socio-culturale; quindi, per eliminare la dicotomia tra biologia e cultura occorre umanizzare o socializzare la biologia (vedi C. Geertz, Interpretazione di culture, Il Mulino, 1988, e Antropologia filosofica, Il Mulino, 2001; cfr. anche F. Ferretti, Perché non siamo speciali. Mente, linguaggio e natura umana, Laterza, 2007). Foucault, in uno storico dibattito con Chomsky del 1971, contrappone, al tentativo di quest’ultimo di indicare nel linguaggio una caratteristica invariante della natura umana, una immagine integralmente culturale dell’uomo. “In questa immagine, l’uomo è essenzialmente un produttore di rappresentazioni” ed “è facile vedere che questa immagine integralmente culturale dell’uomo portava con sé la sua indefinita plasticità, o, come a volte si è detto, la dissoluzione della natura umana” (D. Marconi, Il ritorno della natura umana, in N. Chomsy e M. Foucault, Della natura umana, DeriveApprodi, 2005).

   Ora, sostiene Virno, “d’accordo, l’invariante biologico non può mai essere separato dal mutevole decorso storico: ma non è, questo, un argomento sufficiente a negare l’invariante come tale, o a trascurare i modi in cui esso - restando invariante, si badi - erompe sulla superficie dei diversi sistemi sociali e produttivi”(P. Virno, Scienze sociali e natura umana, Rubbettino, 2002). E ancora: “L’invariante biologico che contraddistingue l’esistenza dell’animale umano è riconducibile al concetto filosofico di dynamis, potenza. Sotto il profilo temporale, potenza significa non-ora, inattualità, deficit di presenza…La potenzialità dell’Homo sapiens: a) è attestata dalla facoltà di linguaggio; b) fa tutt’uno con la non specializzazione istintuale; c) trae origine dalla neotenia; d) implica la mancanza di un ambiente univoco” (P. Virno, Diagrammi storico-naturali, in “Forme di vita”, n.1/2004).

   La storia sociale, caratterizzata appunto dalle incessanti conquiste della cultura, che compensano le nostre carenze strutturali, normalmente non fa apparire gli elementi invarianti della nostra costituzione, proprio perché la compensazione è ben realizzata. La prassi sociale e politica pone rimedio alla mancanza di un ambiente specifico dell’uomo costruendo pseudoambienti, “la non specializzazione si esplica come puntigliosa divisione del lavoro, ipertrofia di ruoli permanenti e di mansioni unilaterali…la cultura si impegna a stabilizzare l’’animale indefinito’, a lenire o velare il suo disambientamento, a ridurre la dynamis che lo caratterizza a un novero circoscritto di atti potenziali. La natura umana è tale da implicare assai spesso un contrasto tra le sue espressioni e le sue premesse” (P. Virno, Quando il verbo si fa carne. Linguaggio e natura umana, Bollati Boringhieri, 2003).

“Questi caratteri salienti della nostra specie sono per lo più attutiti nelle società tradizionali, articolate come pseudoambienti in cui predomina la ripetitività, la stanzialità, una rigida divisione delle mansioni (dunque una specializzazione socialmente indotta dell’animale umano, di per sé non-specializzato). La cultura pone rimedio (provvisorio rimedio, e storicamente mutevole) alla carenza di un ambiente definito. Sicché, la ‘natura umana’ emerge sul piano storico-sociale solo in certe esperienze, o stati d’animo, relativamente eccezionali.Emerge nel corso di una crisi (economica, sociale, politica), quando cioè le abitudini pseudoambientali vanno in pezzi, gli automatismi fanno cilecca, torna a farsi sentire apertamente l’incertezza e l’indecisione” (P. Virno, Scienze sociali e “natura umana”, Rubbettino, 2003).

   Nella società contemporanea emergono però proprio quelle invarianti biologiche dell’essere umano che nelle epoche precedenti erano state occultate dal prevalere delle forme storiche dell’attività compensativa della cultura. Il postfordismo, che caratterizza l’epoca presente, attualizza e sfrutta ai propri fini proprio quelle caratteristiche naturali della specie umana che prima potevano emergere solo nei momenti di crisi. Non c’è qui lo spazio anche solo di accennare alla ormai vasta letteratura sull’argomento. Mi limito perciò a riportare una breve sintesi di R. Finelli sui caratteri del capitalismo contemporaneo:

   “Il postmoderno nasce quando oggetto del dominio del capitale sulla forza-lavoro cessa di essere il ‘corpo’ e comincia ad essere la ‘mente’. Quando cioè funzione fondamentale del processo produttivo per quanto concerne la forza-lavoro è la subordinazione e l’omologazione della coscienza. Sia che si tratti infatti di erogazione di energia lavorativa alla macchina informatica sia che si tratti di partecipazione alle procedure della cosiddetta ‘qualità totale’, ciò che è in gioco nella sussunzione reale della forza-lavoro al capitale non è più la materia ma lo spirito del lavoratore. L’intelligenza di questi, la sua capacità di scelta, la sua intera complessità emozionale-intenzionale è ciò che infatti ora serve al capitale da quando l’automazione unita all’informatica espelle forza-lavoro manuale e richiede forza-lavoro mentale e da quando la filosofia dell’azienda tende a richiedere un lavoro cosiddetto riflessivo, capace cioè di assumere il proprio costante miglioramento a oggetto di se stesso. In particolare la macchina informatica richiede una forza-lavoro mentale particolarmente subalterna ed omogenea,essendo la sua caratteristica fondamentale quella di collocare una serie enorme d’informazioni al di fuori del cervello umano e di dar luogo così a una mente artificiale di cui quella umana diventa solo funzione e appendice” (R. Finelli, Alcune tesi su capitalismo, marxismo e “postmodernità”, in AAVV, Capitalismo e conoscenza. L’astrazione del lavoro nell’età telematica, Manifestolibri, 1998).

   A questi caratteri della società attuale fa riferimento Virno proseguendo la sua analisi:

   “Il capitalismo contemporaneo ha modificato alla radice il rapporto tra inalterabili prerogative filogenetiche e prassi storica. Le forme di vita oggi prevalenti non velano, ma ostentano senza remore i tratti differenziali della nostra specie. L’attuale organizzazione del lavoro non smorza il disorientamento e l’instabilità dell’animale umano, ma, tutt’al contrario, li porta al diapason e sistematicamente li valorizza. La potenzialità amorfa, ovvero la cronica persistenza di caratteri infantili, non balena minacciosamente nel corso di una crisi, ma pervade ogni piega della più trita routine. La società della comunicazione generalizzata, lungi dal paventarlo, mette addirittura a profitto l’’eccesso di semanticità non risolubile in significati determinati’, conferendo quindi il massimo risalto alla indeterminata facoltà di linguaggio” (P. Virno, Quando il verbo si fa carne, cit.).

   “La carenza di istinti specializzati e la penuria di un ambiente circostanziato, sempre uguali dal Cro-Magnon in poi, figurano esplicitamente, oggi, come ragguardevoli risorse economiche. Non è difficile constatare la plateale corrispondenza tra certi caratteri salienti della ‘natura umana’ e le categorie sociologiche che più si attagliano alla situazione attuale. La non specializzazione biologica dell’Homo sapiens non resta sullo sfondo, ma guadagna la massima appariscenza storica come universale flessibilità delle prestazioni lavorative. L’unico talento professionale che davvero conti nella produzione postfordista è l’abitudine a non contrarre durevoli abitudini, ossia la capacità di reagire tempestivamente all’inconsueto. Una competenza univoca, modulata in ogni dettaglio, costituisce ormai un autentico handicap per chi è costretto a vendere la propria forza-lavoro. E ancora: la neotenia, ossia l’infanzia cronica e il connesso bisogno di un addestramento continuativo, trapassa linearmente, senza mediazioni di sorta, nella regola sociale della formazione ininterrotta. Le carenze del ‘parto costitutivamente prematuro’ si convertono in virtù produttive” (P. Virno, Diagrammi storico-naturali, p.111).

   Possiamo ora tornare al nostro ragionamento iniziale. Schematizzando si possono individuare due tendenze nel dibattito culturale recente sulla relazione tra natura e cultura, scienze naturali e scienze sociali: da un lato il pensiero ermeneutico, dall’altro il cognitivismo. Entrambi si rivelano, alla luce di quanto sopra esposto, del tutto unilaterali, e perciò inadeguati a dare una soddisfacente soluzione al nostro problema. L’ermeneutica, come si accennava sopra riferendosi a Geertz e a Foucault, nega l’esistenza di ogni invariante biologico e di qualcosa come una “natura umana”. Le scienze cognitive a loro volta, propongono una visione astorica ed asociale dell’uomo, e perciò non appaiono in grado di cogliere la specificità dell’esistenza umana. Il collettivo della rivista “Forme di vita” propone una terza possibilità in un programma di “naturalizzazione delle scienze sociali”, che metta in primo piano l’intreccio tra il momento biologico-naturale e quello storico-linguistico, fra il piano empirico e quello trascendentale della realtà naturale umana (da quello che si è sin qui detto è chiaro che non si tratta di un ossimoro). E’ da qui a mio avviso che può essere utile e molto stimolante continuare il nostro lavoro in direzione di una terza cultura 

 

 

 

 

 

Schede relatori

 
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Angela Mongelli

Angela Mongelli

 

Professore straordinario di Sociologia dell'Educazione presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università degli Studi di Bari, dove insegna anche Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi. È autrice di numerose pubblicazioni di cui si ricordano Trama e ordito della formazione (2003), Il futuro della formazione (2004) e Il non schooling nel quadro del policentrismo formativo (2006).

Docente Università di Bari (sociologia, sociologia della educazione, analisi delle organizzazioni).

 

Pubblicazioni

MONGELLI A. Trama e ordito della formazione (2003)

MONGELLI A. Il futuro della formazione (2004)

MONGELLI A. Il non schooling nel quadro del policentrismo formativo (2006)

MONGELLI A. Architetture culturali, Milano, Angeli (2008)

MONGELLI A. L'intercultura:dalle teorie alle pratiche. In: BOFFO V, TORLONE F. A CURA DI. L'inclusione sociale e il dialogo interculturale nei contesti europei. p. 60-74, Firenze, Firenze Univerity Press (2008)

MONGELLI A. L’immigrazione e le Nuove Sfide Formative: il Contributo delle Tecnologie all’inclusione Sociale. in: Atti del Convegno TICEMED. Milano (2009)

MONGELLI A. Knowledge Society, Lifelong Learning and Organizational Change Management. In: TANUCCI G, CORTINI M, MORIN E. Occupational Well-Being and Boundaryless Careers. LONDON, Palgrave (2009)

MONGELLI A. Il valore formativo del no schooling. In: BESOZZI E A CURA DI. Tra sogni e realtà. Gli adolescenti e la transizione alla vita adulta. Roma, Carocci (2009)

 

 

Clotilde Pontecorvo

 

Clotilde Pontecorvo

 

Clotilde Pontecorvo è Professore Emerito di Psicologia dell’Educazione presso l’Università di Roma “Sapienza” dal novembre 2009.

Fino ad allora è stato Professore di Psicologia dell’alfabetizzazione e di Psicologia dell’interazione discorsiva presso il medesimo ateneo.

Dal 1998 Ordinario di Pedagogia all’Università di Salerno e di Roma, dal 1976 al 1983 di Psicologia dell’Educazione.

Dal 1984 al 1997 è stata, nei due trienni 1983/1985 e 1997/2000, Direttore del Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione dell’Università degli Studi di Roma “Sapienza”.

Ha realizzato ricerche sul curricolo e lo sviluppo cognitivo in diverse aree, sulla formazione degli insegnanti, sulla continuità educativa. I suoi attuali interessi di ricerca vertono sull’acquisizione della lingua scritta, lo sviluppo di concetti sociali attraverso la discussione, i rapporti tra argomentazione e pensiero in contesti educativi, famigliari e scolastici, sulla conversazione quotidiana come strumento di socializzaizione nelle famiglie italiane.

E’ stata coordinatrice dell’ESF Network on Writing and Written Language.

E’ autrice di più di 200 articoli in svariate riviste internazionali e nazionali, di capitoli in testi collettanei e di circa 30 monografie.

 

Pubblicazioni:

Cognition & Instruction, 1993, Special issue on “Forms of discourse and shared thinking”;

Children’s Early Text Construction (LEA, 1996);

Cappuccetto Rosso impara a scrivere (con E. Ferreiro et al., pubblicato in spagnolo, portoghese e italiano nel 1996);

Discourse, Tools and Reasoning (in collaborazione con L. Resnick and R. Saljo, Springer Verlag, 1997);

Writing Development and Written Language (John Benjamins, 1997).

Con A. Fasulo Come si dice?, Roma, Carocci, 1999.

Con A.M. Ajello, P. Di Cori, L. Marchetti, M. Rossi-Doria La scuola deve cambiare, Napoli, L’Àncora del Mediterraneo, 2002;

con A-N. Perret-Clermont, L. Resnick, T. Zittoun & B. Burge (Eds.) Joining society: social interaction and learning in adolescence and youth, Cambridge, Mass, Cambridge University Press, 2003.

Con F. Arcidiacono Famiglie all’italiana. Parlare a tavola, Milano, Raffaello Cortina (2007).

Con P. Di Cori ha curato Tra ordinario e straordinario: modernità e vita quotidiana, Roma, Carocci (2007). 

 
 
 
 

 

Francesca Rigotti

Francesca Rigotti

 

Nata a Milano nel 1951. Dopo aver insegnato presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Göttingen, e visiting fellow al Department of Politics dell'Università di Princeton e docente all´UZH è attualmente docente di Dottrine e Istituzioni Politiche alla Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università di Lugano.

Ha pubblicato diverse monografie dedicate alla metaforologia filosofico-politica e all’etica. I suoi saggi sono apparsi su numerose riviste italiane e straniere. Svolge attività di consulenza editoriale e di recensione libraria, soprattutto per Il Sole24 Ore.

Tra le sue pubblicazioni si segnalano una dozzina di monografie edite da Bibliopolis (1981), Il Mulino (1989, 2000, 2002, 2006 e 2008), Feltrinelli (1992, 1995 e 1998), Interlinea (2004 e 2008).

 

Pubblicazioni:

Gola. La passione dell’ingordigia. I 7 vizi capitali (Il Mulino, 2008)

Le piccole cose di Natale. Un’interpretazione laica (Interlinea, 2008)

Il pensiero delle cose (Apogeo, 2007)

Il pensiero pendolare (Il Mulino , 2006)

Agli estremi della filosofia (Tre Lune, 2005) 

La filosofia delle piccole cose (Interlinea, 2004).

 

Francesco Pavani

Francesco Pavani

 

Francesco Pavani è Professore Associato di Psicologia Generale e delegato del Rettore per il coordinamento delle attività inerenti l'orientamento universitario dell'Università di Trento.

Lavora presso il Centro Interdipartimentale Mente e Cervello (CIMeC) ed il Dipartimento di Scienze della Cognizione e della Formazione (DiSCoF) dell'Università degli Studi di Trento.

Studia i meccanismi funzionali e neurali della percezione e dell'attenzione multisensoriale, con particolare riferimento ai fenomeni di plasticità multisensoriale nella sordità, combinando diverse metodiche di ricerca delle neuroscienze cognitive.

Per la Facoltà di Scienze Cognitive dell'Università degli Studi di Trento svolge dal 2003 attività di docenza nella laurea triennale in Scienze e Tecniche di Psicologia Cognitiva e nella laurea magistrale in Psicologia (indirizzo Neuroscienze).

Svolge inoltre attività di supervisione e docenza all'interno della scuola di dottorato in Cognitive and Brain Sciences del Centro Interdipartimentale Mente e Cervello (CIMeC) dell'Università di Trento.

Dal gennaio 2011 coordina le attività inerenti l'orientamento universitario dell'Università di Trento in qualità di delegato del Rettore.

 

 

 

 

Marco Dallari

 

Marco DallariE’ pedagogista presso il coordinamento scuole dell’infanzia del comune di Bologna e il comune di Carpi fino al 1977.

Dal 1977 al 1994 docente di Pedagogia e Didattica dell’Educazione Artistica presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna e Firenze, è animatore di laboratori didattici presso musei e gallerie d’arte moderna.

Nel 1994 è professore straordinario di Educazione comparata all’Università di Messina.

Dal 1997 è professore ordinario di Pedagogia generale all’Università di Trento e alla Scuola di Specializzazione per l’Istruzione Secondaria (SSIS) di Rovereto.

In questa sede dà avvio al Laboratorio di comunicazione efficace finalizzato alla formazione di soggetti per i quali le capacità di narrazione, di interazione e di comunicazione interpersonale costituiscano know how indispensabile (insegnanti, operatori del pubblico impiego, dipendenti aziendali addetti alle vendite
e alle p.r.) e alla ricerca nell’ambito della narratività.

E’ condirettore, insieme ad Antonio Erbetta, della rivista di studi fenomenologici Encyclopaideia (direttore Piero Bertolini - Bologna, Clueb.)

 

Principali filoni di ricerca
  1. Fenomenologia e ermeneutiche dell’educazione;
  2. Strutturazione delle identità personali, rapporto fra modelli di conoscenza e rappresentazione identitaria;
  3. Animazione e didattiche della produzione artistica e narrativa.

 

Recenti pubblicazioni
 
Saggi

I saperi e l’identità - Milano, Guerini, 2000;

Posta Prioritaria - Roma, Meltemi, 2001;

L’arte come educazione sentimentale - Bologna, Art’è, 2001;

La dimensione estetica della Paideia, estetica, educazione, narratività - Trento, Erickson, 2005

In una notte di luna vuota. Educare pensieri metaforici, laterali, impertinenti - Trento, Erickson, 2008.

 

Narrativa

Figure della memoria (libro per ragazzi)- Bologna, Art’è Ragazzi, 2000;

L’uomo dall’impermeabile (romanzo) - Pesaro, Metauro, 2004;

L’arte come educazione sentimentale - Bologna, Art’è, 2001;

Serie di racconti a fumetti: Ciclo: Il sogno di Cleo in: Encyclopaideia (rivista di fenomenologia, pedagogia, formazione), direttore Piero Bertolini,
condirettori M. Dallari, A. Erbetta, edizioni CLUEB Bologna; numeri: 13 (gennaio-giugno 2003), 14 (luglio-dicembre 2003), 15 (gennaio-giugno 2004),
16 (luglio-dicembre 2004);

Arte per le rime - Bazzano (Bo), Artebambini, 2009;

C-arte per le rime - Bazzano (Bo), Artebambini, 2010;

Facce d’arte per le rime - Bazzano (Bo), Artebambini, 2011 (letteratura per ragazzi);

Il paradosso del Collalto (romanzo) - Bazzano (Bo), Artebambini - Bonobo, 2010.

 

Volumi

La dimensione estetica della Paideia, estetica, educazione, narratività - Trento, Erickson, 2005 (Il saggio esamina i rapporti esistenti fra la dimensione estetica
e i processi di apprendimento, rappresentazione del mondo e rappresentazione di sé).

 

Articoli

M. Dallari: Identità personale e politica dell’insegnante - in: Encyclopaideia – rivista di fenomenologia, pedagogia e formazione diretta da Piero Bertolini,
condirettori M. Dallari e Antonio Erbetta – Clueb – Bologna – n. 12 anno 2002. P.12;

M. Dallari: Continuità e discontinuità della storia - in: Encyclopaideia – rivista di fenomenologia, pedagogia e formazione diretta da Piero Bertolini,
condirettori M. Dallari e Antonio Erbetta – Clueb – Bologna – n. 12 anno 2002. p.145;

M. Dallari: Licenze epistemologiche e risorse poetiche di conoscenza. Encyclopaideia : rivista di fenomenologia, pedagogia, formazione, Bologna, B.U.P 2007. n. 21;

M. Dallari: Quando le parole si stringono alle immagini,. Scritture polialfabetiche e nuove prospettive di apprendimento e di interpretazione. Encyclopaideia : rivista di fenomenologia, pedagogia, formazione, Bologna, B.U.P 2011. n. 30;

M. Dallari: Arti in educazione: alfabeti, enigmi, trasgressioni. 2011. Pedagogia PIU’ Didattica, rivista di teorie e pratiche educative, Trento Erickson n. 3;

M. Dallari: Pensare altrimenti, 2011. Pedagogika, rivista di educazione, formazione, cultura. Numero monografico: Educare alla creatività. Milano STRIPES.

 

 

 

Marino Sinibaldi

Marino Sinibaldi

Marino Sinibaldi è un giornalista italiano, nato a Roma nel 1954.

In Rai ha condotto Fine secolo, Lampi, Senza rete, Supergiovani, Tema.

È stato vicedirettore del GR3 e ideatore e conduttore della trasmissione Fahrenheit su Rai Radio 3.

È direttore di Radio 3.

 

Pubblicazioni:

Pulp. La Letteratura nell’era della simultaneità (Donzelli, 1997)

(con Natalia Ginzburg) È difficile parlare di sé. Conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi (Einaudi, 1999).

 

 

 

 

Nicla Vassallo

Nicla Vassallo

Nicla Vassallo, http://www.niclavassallo.net/, quarantanove anni, specializzatasi al King’s College London, Professore Ordinario di Filosofia Teoretica presso l’Università di Genova, dove appartiene al corpo docente del Dottorato di ricerca, è filosofa di fama.

La sua figura pubblica si distingue per un certo elitarismo, un tipo di eleganza dell’intellettuale di un tempo, consapevole della propria funzione pubblica.

I suoi contributi innovativi si danno in filoni di studio e ricerca analitica che riguardano, da una parte, la natura della conoscenza nelle sue tante declinazioni, dall’altra alcune forme specifiche di espressione epistemica in cui si presuppone l’esistenza di ingannevoli categorie ontologiche.

Fa parte di comitati scientifici di autorevoli fondazioni e riviste specialistiche. Si dedica a prestigiose attività congressistiche, editoriali, organizzative. Scrive regolarmente di cultura e filosofia su giornali e riviste.

Al suo volume Per sentito dire è stato assegnato il Premio di filosofia Viaggio a Siracusa nel 2011.

Tra la sua brillante produzione scientifica, in italiano e in inglese, ricordiamo qui sotto le opere più recenti.

 

Pubblicazioni recenti:

Teoria della conoscenza (Laterza 20082

Per sentito dire (Feltrinelli 2011) 

(con Pieranna Garavaso) Filosofia delle donne (Laterza 2007) 

(con Maria Cristina Amoretti) Piccolo trattato di epistemologia (Codice Edizioni 2010)

 

in qualità di curatrice:

Donna m’apparve (Codice Edizioni 2009) 

Knowledge, Language, and Interpretation (Ontos Verlag 2008)

Terza cultura (il Saggiatore 2011)

Reason and Rationality (Ontos Verlag 2012)

 

fra le introduzioni ad altre opere:

con Concita De Gregorio: Sul velo di Marnia Lazreg (Il Saggiatore 2011)

con Vittorio Lingiardi: Disgusto e umanità di Martha C. Nussbaum (Il Saggiatore 2011). 

 

 

 

Stefano Oss

Stefano Oss

 

Nato il 3 settembre 1959 a Trento, si laurea in Fisica nel 1982 con la tesi di laurea "Risonanze nella diffusione positrone-atomo". Successivamente segue corsi di Dottorato di Ricerca in Fisica a Trento e a Padova dal 1984 al 1986.

  • Ricercatore presso il Dipartimento di Fisica dell’Universita` degli Studi di Trento dal 1986. Ricercatore confermato settore B01A (fisica generale) dal 1989.
  • Visiting Scientific Researcher, Yale University, New Haven, CT, USA 1990 (con Franco Iachello).
  • Visiting Assistant Professor, Princeton University, Princeton, NJ, 1993, USA (con Giacinto Scoles).
  • Professore associato FIS03 (struttura della materia), Universita` degli Studi di Trento, 2001-2004.
  • Professore associato confermato FIS03, Università degli Studi di Trento, 2005-presente
  • Responsabile dell’area insegnamento fisica alla Scuola Specializzazione Insegnamento Secondario dell’Universita` degli Studi di Trento, 1999-2009.
  • Responsabile del Laboratorio di Comunicazione delle Scienze Fisiche del Dipartimento di Fisica dell’Universita` degli Studi di Trento, 2001-presente.

Esercitatore e docente di:

  • Fisica generale (meccanica, elettromagnetismo, termodinamica, ottica) per corsi universitari delle lauree in fisica e matematica, 1986-2001.
  • Calcolo delle probabilità e statistica, diplomi universitari di ingegneria, 1993-1999.
  • Tecniche Lie-algebriche in fisica moderna, corsi PhD, 1995-1997.
  • Fisica moderna e fisica applicata (didattica, scienza del suono, meteorologia, laboratorio informatico di fisica), scuola SSIS e facoltà di scienze, 1999-presente.
  • Comunicazione delle Scienze Fisiche, Facoltà di Scienze, 2005-presente
  • Modern Physics, L.M. in matematica, 2009-presente.
  • Physical Science Communication and Teaching Methods, L.M. in fisica, 2008-presente
  • Fisica I, lauree facoltà di ingegneria, 2010-presente

Collaborazioni con vari laboratori di ricerca sia sperimentali che teorici per lo sviluppo, la divulgazione e l'applicazione di tecniche algebriche nella spettroscopia molecolare
Coordinatore Progetto Lauree Scientifiche - Area Fisica - Regione Trentino AA
Delegato del Preside per la Facoltà di Scienze Orientamento e Relazione con le Scuole
Referente del MTSN-MUSE nell'Advisory Board Accademico di UniTN
Presidente del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale) sezione regionale Trentino AA
Responsabile del Laboratorio di Comunicazione delle Scienze Fisiche del Dipartimento

Interessi di ricerca:

Fisica atomica sperimentale (scattering di elettroni e positroni da atomi, molecole, stato solido ad energie basse ed ultrabasse), 1982-1989
Spettroscopia molecolare teorica (tecniche algebriche nella modellizzazione di gradi di libertà rovibrazionali di molecole), 1989-presente.
Approcci didattici e metodologici alla fisica, scienze fisiche (meccanica quantistica e fisica moderna nei curricula scolastici secondari e museali), 1999-presente.

  • Membro della Societa' Italiana di Fisica dal 1985
  • Membro del Comitato Scientifico di "Frascati Scienza" dal 2008
  • Membro dell'Editorial Board di "The Physics Teacher Journal" dell'AAPT-AIP

Intervista a Stefano Oss a cura di Ustation.it:

 

 

 

Telmo Pievani

 

Telmo PievaniTelmo Pievani è professore associato di Filosofia della Scienza presso l’Università degli studi di Milano Bicocca.

E’ il Direttore scientifico del Festival delle Scienze di Roma, socio corrispondente dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti per la classe di Scienze, membro della Società Italiana di Biologia Evoluzionistica, membro del Comitato Scientifico della Fondazione Umberto Veronesi per il progresso delle scienze.

Dal 2003 al 2010 è stato il segretario del Consiglio Scientifico del Festival della Scienza di Genova, fa parte dell’Editorial Board di riviste scientifiche internazionali, ed é direttore di Pikaia, il portale italiano dell’evoluzione.

Insieme a Niles Eldredge, è direttore scientifico del progetto enciclopedico “Ecosphera – Il futuro del pianeta” di UTET Grandi Opere (2010), e, con Luigi Luca Cavalli Sforza, è curatore del progetto espositivo internazionale “Homo sapiens: la grande storia della diversità umana” (Roma, 2011, www.homosapiens.net).
Collabora con diversi quotidiani nazionali e con le riviste Le Scienze, Micromega e L’Indice dei Libri.

 

Selezione di pubblicazioni:

Introduzione alla filosofia della biologia (Laterza, Roma-Bari, 2005);

La teoria dell’evoluzione (Il Mulino, Bologna, 2006 e 2010);

Creazione senza Dio (Einaudi, Torino, 2006, finalista Premio Galileo e Premio Fermi; edizione spagnola 2009);

In difesa di Darwin (Bompiani, Milano, 2007);

Nati per credere (Codice Edizioni, Torino, 2008, con V. Girotto e G. Vallortigara);

La vita inaspettata (Raffaello Cortina Editore, Milano, 2011);

 

 

 

 

Vittorio Lingiardi

Vittorio Lingiardi

 

Vittorio Lingiardi (Milano, 1960), psichiatra e psicoanalista. Professore Ordinario Facoltà di Medicina e Psicologia, Sapienza Università di Roma. Direttore Scuola di Specializzazione in Psicologia.

Laureato in Medicina e Chirurgia (1985). Specializzato in Psichiatra (1989) e in Pedagogia e Didattica delle Scienze della Salute (Università di Parigi, Bobigny, 1995).
Psicoanalista Centro Italiano di Psicologia Analitica (CIPA/IAAP) e International Association for Relational Psychoanalysis and Psychotherapy (IARPP).

Dal 1988 al 1998 ha lavorato all’Ospedale San Raffaele di Milano. Tra il 1987 e il 1995 ha si è formato negli Stati Uniti e in Canada presso Menninger Clinic, Chestnut Lodge Clinic, McGill University.

La sua attività scientifica e di ricerca si svolge nei seguenti campi:

  • assessment diagnostico dei disturbi di personalità
  • ricerca in psicoterapia e in psicoanalisi
  • meccanismi di difesa
  • alleanza terapeutica
  • identità di genere e orientamento sessuale.

Per Raffaello Cortina Editore dirige la collana «Psichiatria, Psicoterapia, Neuroscienze».

Dal 2004 al 2010 è stato membro del Consiglio Direttivo della sez. Clinica e Dinamica dell’Associazione Italiana Psicologia. È nel Consiglio Direttivo del Collegio Professori e Ricercatori Settore Psicologia Dinamica e dell’Italian Chapter della Society for Psychotherapy Research.

Ha scritto numerosi articoli su riviste italiane e internazionali ed è autore, co-autore e curatore di vari volumi.

 

 

 

Contributi delle scuole

contributi

Raccogliamo qui i contributi inviati dalle scuole della Rete Passaggi, in vista della giornata di venerdì 30 marzo.

Gruppo 1

collaborazione

1° gruppo di lavoro:
Le buone pratiche nelle Scienze Umane: quali competenze?
Scambio di esperienze, buone pratiche, modalità di lavoro
 
 

Laboratori di lettura (Ist. Pieralli, Perugia)

 

Insegnare per competenze

 

 

 

 

La competenza del trasferire, trasformare, comporre

 

 

rubik
di Stefania Stefanini

Possedere una competenza significa anche essere in grado di trasferire conoscenze tacite ed esplicite in altri contesti attraverso il maneggiare, trasformare, scomporre e ricomporre.

La competenza è procedurale, tendenzialmente trasversale, interdisciplinare, opera per connessioni e non si interessa delle parti ma delle configurazioni, è sintesi creativa tra teoria e prassi.
La didattica per competenze è un po’ come imparare a maneggiare il cubo di Rubik , metafora spesso utilizzata come simbolo della complessità e dell'interconnessione, dove le variabili in gioco ( individuali e di gruppo) sono tante e “tessute insieme” e le combinazioni di colore sono combinazioni intenzionali tra scelte multiple.

Dopo una lettura corale e partecipata delle “Cinque conferenze “di Freud, ho chiesto ai ragazzi di distillare i contenuti di ogni conferenza in un massimo di cinque proposizioni, di trasferire i relativi nuclei concettuali in altre forme comunicative, ed infine di cambiar d’abito e collocare le loro narrazioni in un palcoscenico americano dei primi anni del novecento.

Alcuni hanno scelto il fumetto, altri un racconto e altri ancora la trasposizione in un articolo di quotidiano.

 

 


 

Le proposizioni
di Maria Cecere - Classe IIIB

 

I Conferenza

  1. Isteria non come “finzione” del paziente, ma come malattia psichica ( quindi nascita della psicoanalisi);
  2. Ipnosi come soluzione temporanea dell’isteria;
  3. Il trattamento catartico è il primo tentativo di cura dell’isteria
  4. “Talking cure” come soluzione che porta alla guarigione;
  5. L’amnesia ( cioè la rimozione del trauma) è la causa della presenza della nevrosi manifestata grazie ai sintomi;

II Conferenza

  1. L’isterico è costituzionalmente incapace di stabilire una correlazione e un’unificazione delle diverse manifestazioni psichiche) -Scissione psichica e dissociazione della personalità
  2. L’isteria porta ad una regressione generale.
  3. Resistenza ( forza che si oppone al ricordo del trauma vissuto contenuto nell’inconscio) come meccanismo di difesa;
  4. Rimozione ( spostamento del contenuto conscio ad uno inconscio perché non accettabile socialmente e moralmente) come processo responsabile dei contenuti inconsci
  5. Le modalità di soluzione post-cura sono:
    1. accettazione di ciò che si voleva rimuovere;
    2. elevazione del desiderio in qualcosa di sublime (sublimazione)
    3. rifiuto conscio

III Conferenza

  1. 1- Pensieri e ricordi del paziente come sintomo ( cioè come segni e formazioni sostitutive dell’idea rimossa)
  2. 2- Libere associazioni (idee che hanno un legame indiretto con il materiale rimosso) mezzo per arrivare ai contenuti “nascosti”
  3. 3- Interpretazione dei sogni come “ via regia perll’inconscio”; La condensazione è una rappresentazione che contiene più significati, o più significati riconducibili ad una rappresentazione; lo spostamento del contenuto latente subisce una deformazione rispetto al contenuto originario
  4. 4- Gli atti mancati (azioni non compiute o che sostituiscono l’azione che si voleva compiere) che scaturiscono da impulsi e scopi rimossi

IV Conferenza

  1. La nevrosi è legate a problemi erotici e alla sessualità;
  2. Anche i bambini hanno pulsioni sessuali
  3. Libido come forza e pulsione sessuale
  4. Le disfunzioni sessuali sono da ricollegarsi alla regressione o fissazione che si ha sull’oggetto della sessualità, che può essere se stesso o gli altri
  5. Il bambino ama il genitore del sesso opposto ( complesso di Edipo) poi si identifica nel genitore dell’uguale sesso e lo prende come esempio ( identificazione e nascita del Super-Io)

V Conferenza

  1. Malattia come rifugio da una realtà insoddisfacente;
  2. Noi non siamo esenti dai complessi di cui nevrotici si ammalano , ma possiamo esprimere il nostro inconscio attraverso forme diverse; una di queste è l’arte, che può essere utilizzata anche come forma terapeutica di guarigione (arte come rivelatrice dell’inconscio);
  3. Medico come catalizzatore, cioè come accelleratore dei processi psichici;
  4. Ogni frammento della vita affettiva è vissuto dal paziente nel suo rapporto col medico riversando su di lui una notevole aliquota di tenerezza e di affetto”( transfert)
  5. La negazione della sessualità reca danni all’uomo , lo porta all’infelicità; una soluzione per combattere e prevenire le nevrosi proposta da Freud è quella dell’introduzione nella società e nella cultura del tema della sessualità.

 


 

qui sotto è possibile scaricare un "articolo di quotidiano" di Veronica D’Archivio (classe IIIB).

Laboratorio Competenze

Progettare un convegno

 

I ragazzi di una quarta classe hanno simulato , per gruppi di lavoro, l’organizzazione di un convegno.
Queste le consegne:

  • scelta del tema inerente al programma già svolto
  • individuazione dei relatori e sintesi del contenuto degli interventi
  • scelta della location (con ricerche nel territorio)
  • preventivo spese entro i 7000 euro ( ogni voce del preventivo è stata verificata )
  • eventuale presenza di sponsor.

Al termine della progettazione abbiamo simulato gli interventi dei relatori con valutazione “cooperativa” finale.

Questa esperienza ha messo in moto forme di apprendimento per problemi e di tipo cooperativo e ha stimolato inaspettate capacità creative e buone abilità nel sapersi orientare tra le strutture del territorio e nella web-ricerca ( dall’orario dei treni, al costo dei voli aerei, al contenuto delle comunicazioni dei relatori…).

Stefania Stefanini

 

Qui sotto si possono scaricare i materiali dei lavori prodotti dagli studenti.

Gruppo 2

collaborazione

2° gruppo di lavoro:

Il dialogo interdisciplinare; fare ricerca a scuola, lavorare insieme e comunicare in modo efficace: una opportunità

Confronto e individuazione di percorsi strategici per il curriucolo e per il dialogo e l'integrazione delle discipline.

 

Area di apprendimento: Formazione cooperativa (Liceo Filzi Rovereto)

Istituto di Istruzione Secondaria Superiore “Fabio Filzi”


 

Area di apprendimento:
Formazione cooperativa
 

DISCIPLINE COINVOLTE:
Scienze Umane
Geografia
Diritto
Lettere: Videoscrittura
Statistica

Qui sotto è possibile scaricare la nostra programmazione riguardo al Biennio dell Liceo delle scienze umane - opzione economico sociale "Fabio Filzi" di Rovereto, dove approfondiamo l'AREA COOPERAZIONE, un'area interdisciplinare che come buona pratica favorisce il rapporto scuola-territorio.

I Consigli di classe 1LEA e 2LEA.

Andrea Maria Moser e Paola Sterni

Gruppo 3

collaborazione

3° gruppo di lavoro:

I nuovi linguaggi della didattica, un pedagogista dialoga con una regista teatrale

 

 
 
 
 

 

Un nuovo dialogo tra umanisti e scienziati (Lucia Marchetti)

sisus

 

Saperi e linguaggi nelle pratiche educative

Istituto ‘F. Filzi’ Rovereto 29-30-31 Marzo 2012
di Lucia Marchetti
 
Le ragioni dell’associazione: da dove veniamo e quali compiti ci siamo dati *
  1. Fondata nel 2008 con lo scopo di non disperdere l’esperienza accumulata dai licei delle scienze sociali e continuare a dar voce all’esigenza di rinnovamento e di ricerca messa in moto. L’idea originaria è di un gruppo di docenti della scuola secondaria che, pur insegnando discipline diverse, avevano partecipato all’esperienza della costruzione del liceo delle scienze umane e sociali, nelle differenti piegature e articolazioni che si sono realizzate in trent’anni di sperimentazione. In assenza di un quadro istituzionale definito, le scuole periodicamente hanno modificato il piano di studi, i docenti hanno dovuto rivedere assetti disciplinari, i programmi e i modi della didattica. [1] Per una parte del percorso c’è stata la supervisione del Ministero e poi, quando questa è venuta meno, è stata fondamentale la collaborazione fra colleghi, spesso informale e poi organizzata nella Rete Passaggi fondata nel 2004.
  2. Non perdere la possibilità di interagire con il mondo universitario, particolarmente sensibile ai temi della formazione, in modo paritario, in forma di scambio e di sostegno reciproco.
  3. Continuare a collaborare con le istituzioni del territorio particolarmente attente alle politiche sociali e di sviluppo.
  4. Sostenere la Rete Passaggi nella costruzione di un’idea di scuola costruita nel tempo, praticata e verificata dalle migliori esperienze delle nostre scuole. Di questa storia condivisa l’associazione vorrebbe riuscire a salvare alcuni paletti che sono riconosciuti dalla ricerca pedagogica internazionale come decisivi di un modo vincente di fare scuola: 
    • necessità di una profonda rivisitazione dei saperi, approccio transdisciplinare, necessità di individuare nodi/snodi centrali attorno a cui organizzare la didattica: superamento della scansione per discipline
    • ruolo centrale del Consiglio di Classe e quindi modalità di lavoro in team, assunzione collegiale della responsabilità formativa anche nei confronti dei genitori
    • didattica laboratoriale come modalità di lavoro prevalente di tutte le discipline; centralità del testo
    • adozione delle Nuove Tecnologie anche alla luce delle profonde trasformazione nella tipologia umana che esse possono indurre
    • stage formativo come luogo di confronto fra interno ed esterno la scuola, ma anche come occasione di misura per il soggetto delle proprie capacità a tutto tondo
    • delineazione di un modello di formazione dei docenti

Su questi punti SISUS ha costruito un piano di formazione-aggiornamento che offre alle scuole, non solo ai licei delle scienze umane, in quanto ritiene siano validi per la scuola tutta.

Inoltre si propone di approfondire i temi del campo culturale delle scienze umane e degli studi sociali in stretta collaborazione con il mondo accademico per stare al tempo sui processi di cambiamento negli assetti disciplinari sui quali non siamo capaci, ma siamo molto interessati a capire quali applicazioni in ambito di scuola secondaria.

 

Interstizi. La difficile collocazione delle scienze umane e sociali nella tradizione culturale del nostro Paese

E’ probabile che nella cultura italiana le scienze umane e sociali non siano mai entrate come un significativo paradigma interpretativo del mondo contemporaneo. [2]

Noi che proveniamo da un’esperienza di insegnamento di queste discipline nella scuola secondaria pensiamo che, al contrario, proprio questo ‘ nuovo mondo ’ abbia bisogno di strumenti interpretativi ricchi e molteplici, fortemente interrelati e che i temi del mutamento, della integrazione, dei rapporti tra i generi e le generazioni, della disuguaglianza, del lavoro e della formazione debbano ritornare al centro dell’analisi.   In particolare pensiamo che il tema coagulante debba essere l’agire umano e sociale nelle sue caratteristiche di riflessività e complessità e nella molteplicità delle sue rappresentazioni, tema da considerare fondante e generativo di conoscenza.

 

Contraddizioni. Il Liceo delle scienze umane nei Regolamenti

Uno dei problemi è rappresentato da un nome – liceo scienze umane – a cui non corrisponde un coerente profilo. Le scienze umane sono distribuite e rappresentate singolarmente e, a nostro avviso, casualmente, nei cinque anni, così che risulta difficile trovare integrazioni e percorsi che diano sostanza e struttura all’indirizzo. Il documento di Verbania  elencava alcune criticità.[3]

 

Le scienze umane e sociali oggi: quale paradigma, quale campo culturale?
Quale presenza in un liceo? La terza cultura può rappresentare l’approccio corretto?

Questa domanda – sospesa da tempo - è stata raccolta a Verbanianell’ultimo convegnocome possibile tema da lanciare al successivo di Rovereto. SISUS ha individuato alcune domande da rivolgere a esperti e docenti universitari delle discipline che sono indicate come scienze umane nel nuovo piano orario, per rafforzare il profilo del liceo omonimo e per capire se la terza cultura potesse rappresentare il paradigma di riferimento o se fosse preferibile moderare le pretese e accontentarsi di riorganizzare al meglio le Indicazioni ministeriali. Poche sono state le risposte, ma autorevoli e interessanti e le riportiamo quasi integralmente.

 

Domande

1. La disciplina da lei insegnata. Quali sono a suo avviso le questioni, i nodi, i concetti essenziali? Quali sarebbero imprescindibili? Quali in un primo biennio e quali in un secondo e ultimo anno?

Alessandro Cavalli (sociologo) “Premesso che un’impostazione “disciplinare” è a dir poco discutibile, credo comunque sbagliato partire da autori-concetti-teorie e, soprattutto, adottare una prospettiva enciclopedica. Quindi, partire da temi/problemi e approfondirne uno o due. Se si impara ad affrontarne pochi ma bene, poi, all’occorrenza, se ne potranno affrontare anche altri nel corso degli studi superiori e delle occasioni della vita. Meglio pochi temi approfonditi che tanti a volo l’uccello. Ad esempio, la guerra, le migrazioni, la gestione del territorio, i diritti umani, il linguaggio dei media, ecc.. La scelta dei temi/problemi dovrebbe essere lasciata alla dinamica degli interessi e delle competenze degli insegnanti. 

Giuseppe Mantovani (antropologo culturale) – suggerisce alcuni criteri
“Criterio della transdisciplinarietà . Rivedere criticamente i confini tra discipline (cioè attraversarli sistematicamente, collegare, partire dal problema e non dalla disciplina) nella pratica quotidiana, sia tra docenti che tra studenti, fare progetti comuni, interdisciplinari come regola. Psicologia(culturale), antropologia, storia, sociologia, economia non sono separate.

  • Criterio della contemporaneità -nodi: fondare i saperi disciplinari nella loro storia equivale a vederli come storicamente e culturalmente situati; di qui la necessità di situare i programmi nel presente e nel futuro (si studia sempre il presente), cioè di fare sempre e comunque ed esplicitamente storia contemporanea – attualità.
  • Criterio della riflessività.. in questo sapere pratico/teorico situato spuntano continuamente scelte etico / politiche che devono essere fatte in modo esplicito. “

Giuseppe Giordano (storico della filosofia) “ E’fondamentale nell'ottica di una "eziologia" della cultura occidentale. Infatti, le filosofie sono sempre state le punta di iceberg-visioni del mondo, e senza riconoscere le visioni del mondo retrostanti, nessun sapere, nessuna disciplina, nessuna conoscenza ha piena autoconsapevolezza, riesce, cioè, a darsi un senso. In questa prospettiva, sarebbe opportuno articolare l'insegnamento della storia della filosofia per tutto l'arco liceale, così da avere un primo anno di messa a fuoco di quelli che sono i problemi filosofici, un triennio di approccio storico-filosofico, un ultimo anno di ritorno all'approccio per problemi con una nuova e arricchita consapevolezza”

Paolo Cinque (docente di scienze sociali e filosofia) “Superamento di una concezione storico-lineare a favore di una concezione storico-genealogica in ogni disciplina. Utilizzazione dei “classici” come espressioni esemplari di analisi complessa del loro tempo, non come “oggetti di culto”.Essenzializzazione dello studio della filosofia (sul modello offerto, per esempio, da E. Severino e da C. Sini) per evitare di farne un contenitore “tuttologico” di sociologismi, psicologismi e storicismi.
I problemi qui sinteticamente indicati sono fra loro correlati e vanno inquadrati nell’ambito della costruzione di un curriculum organico, orientato lungo un asse culturale storico-antropologico-sociale. Obiettivo imprescindibile è lo sviluppo della capacità di vedere e comprendere in modo complesso, così che l’Università possa completare il processo al livello di una disciplina più settoriale ma non ridotta a limitante specializzazione.
Concezione propedeutica del primo biennio.   La propedeuticità è intesa allo sviluppo di una comprensione del modo di pensare/agire tipico di ogni disciplina (da non confondere con la singola materia), così da rendere  

  • complessi gli “oggetti” di studio e i problemi
  • “contemporanei” i problemi stessi, indipendentemente dal contenuto

Secondo biennio e ultimo anno: Identificazione di problematiche trasversali che rappresentano la condizione umana attuale: un lavoro da compiere a livello dei singoli corsi, con il coordinamento di dipartimenti della didattica o di organismi affini a livello di POF. 

 

2. La sua disciplina nel liceo di scienze umane e nell’opzione economico-sociale
     Condivide le indicazioni nazionali proposte? Quali suggerimenti per migliorare il
     piano di studi?
 

Alessandro Cavalli  “Le indicazioni nazionali sono così generiche che possono andar bene (o male) per tutte le stagioni. E’ comunque già un progresso che le prescrizioni orarie vengano fissate su base annuale in modo da lasciare la possibilità di accorpare gli insegnamenti in blocchi piuttosto che spalmarli su tutto l’arco dell’anno”

Giuseppe Mantovani  “ le indicazioni sono abbastanza generiche,  confuse (si parla di intercultura e di multicultura come se fossero concetti equivalenti);  molto etnocentriche, nel senso che privilegiano la "cultura" "occidentale"
- il concetto di "cultura" é presentato in modo reificato; c' è un richiamo inopportuno all' "identità" ( questo concetto fondamentalista é sempre più criticato in sede scientifica)” 

Paolo Cinque “Non condivido l’impianto e le indicazioni nazionali relative. Li considero una degenerazione e un tradimento della sperimentazione delle Scienze Sociali, una mortificazione irriformabile delle aspirazioni alla valorizzazione della formazione intellettuale.”

 

3.    La terza cultura. Cosa intendiamo oggi con il termine ‘terza cultura’?   Le scienze umane stanno
nella terza cultura? Quale differenza fra le scienze umane e le scienze sociali? Qual è il loro campo di riferimento? Quali discipline comprendono? Quali gli apparentamenti più prossimi?

Alessandro Cavalli  “Terza”, cioè tra la cultura cd. umanistica e la cultura scientifica. La denominazione “scienze umane” è quasi ovunque caduta in disuso. Quando ancora viene utilizzata, normalmente include la “psicologia” che come disciplina si ripartisce tra scienze naturali (sul versante bio-neurologico) e scienze sociali. La “pedagogia” viene, dai pedagogisti, collocata generalmente tra le “scienze umane”, non rientra però in ambito scientifico empirico-analitico data la sua natura essenzialmente “normativa”, è quindi caso mai, una “scienza normativa”, come il “diritto”. Non così le “scienze dell’educazione” (psicologia, sociologia, economia) che sono invece scienze sociali nel senso proprio del termine.

Giuseppe GiordanoTerza cultura è quella che ha deciso di oltrepassare la cesura tra le due culture individuate da Snow: cultura umanistica e cultura scientifica. Emblema della "terza cultura" è Ilya Prigogine, scienziato che scopre - grazie alla "sua" scienza, che unifica tempo dell'uomo e tempo della natura descritta dalla scienza - la possibilità di una scienza "umanistica". Non sono le discipline, sic et simpliciter, a stare o meno nella terza cultura, ma questa è un modo diverso e nuovo di intendere e praticare le discipline.”

 

Osservazioni e prospettive

Osservazioni più generali e più ‘dall’interno’ riguardano il curricolo e la sua identità.

Josette Clemenza (docente di filosofia e scienze sociali) dice che la scommessa per il liceo delle scienze umane può essere giocata solo se l’indirizzo tutto viene ‘preso in carico’, non si può pensare di affidare al docente di scienze umane il compito di “curvare” le discipline; occorre lavorare per definire meglio una dialettica tra i due percorsi che caratterizzi entrambi in un rapporto di unità nella differenza. Pietra miliare per entrambi è la condizione umana, dove il generalista volge verso una formazione che privilegia il peso della humanitas mentre l’opzione il soggetto in relazione ad altri soggetti, storie, culture.

Per Paolo Cinque obiettivo imprescindibile è lo sviluppo della capacità di vedere e comprendere in modo complesso, così che l’Università possa completare il processo al livello di una disciplina più settoriale ma non ridotta a limitante specializzazione. Fortemente richiesto dalla natura dell’indirizzo è un curriculum organico non realizzato a causa, soprattutto del prevalere di una didattica autoreferenziale e isolata, che impedisce una programmazione complessa ma solo una somma di singoli programmi particolari, solitamente molto attenti a riecheggiare gli indici dei libri di testo in adozione.

Sembra di riconoscere nei diversi contributi una convergenza evidente sulle questioni di fondo: critica al piano di studi in vigore, critica a contenuti e al modo di distribuire le scienze umane, esigenza di puntare alla costruzione di un curricolo coerente e convincente, revisione delle discipline e individuazione di nodi coagulanti, pochi,  e strategici per l’indirizzo.

Tutto questo pare oggi assai difficile da realizzare per diversi motivi che qui non è il luogo di analizzare. Tuttavia un’idea si potrebbe lanciare da questo convegno. Su aspetti ritenuti nodali, centrali e strategici individuati nel corso del convegno e in particolare nei gruppi di lavoro, si potrebbe costruire una specie di mappa su cui invitare – tra le scuole della Rete Passaggi - qualche consiglio di classe (sarebbe la condizione migliore) o piccoli gruppi di docenti che fossero disposti a realizzare buone pratiche, per poterle poi condividere e socializzare. In questa operazione SISUS potrebbe avere un ruolo di sostegno, di aiuto nella ricerca di materiali, di accompagnamento nella fase di progettazione, ma potrebbe anche rappresentare un tramite con l’università o con esperti. In questa direzione abbiamo di recente stabilito un apparentamento con l’associazione Context che e magari da questo convegno potrebbe avviarsi una collaborazione con il Centro di studi cognitivi di Rovereto.  In questo senso si potrebbe chiedere al Ministero dell’istruzione un riconoscimento e l’avvallo, dato che SISUS è associazione accreditata per la formazione. Più che di modifiche generalizzate, che non paiono per ora prevedibili, si potrebbe procedere a piccoli passi, ma in modo organizzato e condiviso, per non perdere memoria delle buone esperienze consolidate nel passato e per procedere alla costruzione di una comunità di pratiche che la Rete e SISUS insieme potrebbero trasferire a livello più generale. 

 

 


 

*Parte di queste note è tratta dalla documentazione ufficiale di SISUS in www.sisus.it

  1. Si procedeva per assestamenti successivi e, in particolare nel caso dell’indirizzo di Scienze sociali, c’era un rapporto parallelo e dinamico tra le riforme di carattere strutturale e il sostegno decentrato alle scuole secondo un processo del cambiare-facendo e del cambiare con lentezza e con verifiche periodiche e costanti nelle quali le persone si riconoscessero e non ricominciassero sempre da capo. (…) Ci sentivamo quel professionista riflessivo descritto nei testi, buoni artigiani che tengono insieme teoria, pratica, organizzazione, relazione educativa e interazione con il territorio: stavamo disegnando una nuova identità professionale per l’insegnante di scuola secondaria” L.Marchetti, S.Stefanini, Un itinerario verso la costruzione di una diversa identità professionale per l’insegnante di scienze sociali in C.Pontecorvo, L. Marchetti (a cura di) Nuovi saperi per la scuola. Le scienze sociali trent’anni dopo, Marsilio-Consiglio italiano per le Scienze Sociali, Venezia 2007
  2. Dice al proposito Alessandro Cavalli: “per poter fare delle scelte (anche di voto) consapevoli, per non farsi imbrogliare dal demagogo di turno, per evitare l’effetto accecamento prodotto dalle ideologie, il cittadino deve disporre di un catalogo di “saperi minimi di cittadinanza” (…) L’”educazione civica” e gli “studi sociali” non si sono mai effettivamente radicati nelle pratiche delle nostre scuole. E gli effetti si vedono
  3. in Democrazia e saperi minimi di cittadinanza in una città, mensile di interviste, dic.2011-genn.2012, n°190
    • Le criticità possono essere così formulate:
      1. Contraddizione tra l’inter – pluridisciplinarietà dichiarata e effettiva agibilità, a fronte di un impianto disciplinarista a “canne d’organo”, in cui i diversi saperi sono paralleli e separati

      2. “Pasticcio” epistemologico determinato dalla declinazione delle singole discipline la cui somma non può costituire il senso complessivo delle scienze umane. Questo autorizza peraltro proposte editoriali necessariamente povere ed inadeguate .

      3. Predominanza dell’ impianto pregiudizialmente storicistico-lineare in molte discipline, che impedisce la valorizzazione della dimensione storico-genealogica, condizione fondamentale per la visione complessa.

      4. Scarsa chiarezza nella declinazione delle competenze, che rischiano spesso di essere confuse con l’acquisizione dei contenuti. Conseguente forzatura nei processi di valutazione delle competenze perché esse devono discendere da una visione interdisciplinare e trasversale, mentre l’impianto resta frantumato in discipline non comunicanti .

      5. Eccessiva contrazione oraria del biennio, che peraltro contribuisce a motivare alcune delle carenze qui evidenziate.

      6. Scomparsa delle scienze naturali nel triennio del Liceo delle Scienze Umane opzione Economico – sociale e del Diritto ed Economia nel triennio del Liceo delle Scienze Umane, eliminazioni che squalificano la formazione stessa del cittadino comune.

      7. Richiamo puramente nominale alla valorizzazione dell’uso delle Nuove Tecnologie sia perché mancano figure professionali e fondi, sia perché la proposta è scollegata dai saperi che invece dovrebbe mediare .

      8. Riduzione degli spazi dell’autonomia dovuti a vincoli che impediscono l’utilizzo della quota di variabilità e dell’integrazione oraria dei piani di studio con conseguente impossibilità di ampliare il curricolo.

 

 

Articolo da "Didascalie"

Terza cultura

Articolo sul convegno di Rovereto, tratto dalla rivista "Didascalie"

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La conoscenza come bene pubblico. Le scienze sociali e la Terza Missione dell'Università

 

prima parte

 

seconda parte