Josette Clemenza, Istituto “Emilio Ainis”
Il percorso di formazione che abbiamo intrapreso in questi anni - per alcuni iniziato più di trent’ anni fa, per altri con il seminario organizzato dal Ministero della P. I. a Catania nel 1998 - è stato impegnativo, faticoso ma appassionante.
Si trattava (si tratta) di ri-pensare la scuola, non solo l’indirizzo di scienze sociali.
Noi docenti abbiamo scelto di giocare un ruolo da protagonisti nel processo di ricerca e diffusione del sapere, ponendoci a fianco dei nostri studenti (e non dinnanzi), interrogandoci su valori e scopi dell’educare oggi.
Non è stata - e non sarà- impresa facile, si cammina tra sicurezze, incertezze e innumerevoli ostacoli: difficile non è solo trovare ascolto per le nostre istanze, ottenere riconoscimento sociale da istituzioni scolastiche e non, progettare e attuare buone pratiche di insegnamento-appredimento, difficile è il cammino!
Siamo sostenuti dalla consapevolezza di aver lavorato insieme, anche se dis-locati su tutto il territorio nazionale, e questa sicurezza è rinforzata dalle riflessioni prodotte dalla Rete Passaggi (nel sito web, nelle pubblicazioni, in seminari e convegni) che, come in un canone, si rincorrono generando un comune sentire. Questo intervento, dunque, scaturisce da un processo di costruzione di significati ed esperienze condivise delle scuole aderenti alla Rete nazionale Passaggi.
La sfida che abbiamo accolto è quella lanciata da Edgar Morin “promuovere una intelligenza generale capace di riferirsi al complesso, al contesto in modo multidimensionale e globale” [1]
Crediamo che questo sia lo scopo dell’educazione per le generazioni future (e non saper scrivere e far di conto).
Attrezzarsi per affrontare un compito simile presenta molte difficoltà: prima fra tutte la formazione degli insegnanti che difetta soprattutto nella riflessione epistemologica.
Richiamando una tesi di Howard Gardner [2] potremmo dire di aver smarrito una delle cinque chiavi per il futuro: l’intelligenza disciplinare.
Non si riflette abbastanza sulla struttura logica [3] delle discipline, sullo sguardo peculiare con cui un certo sapere guarda e interpreta la realtà, sugli strumenti metodologici più adatti a raccogliere certe informazioni, su come alcune idee operano sull’esperienza e la organizzano per agire nel mondo.
Se, per saperi disciplinari, intendiamo le materie scolastiche, la risposta è poco o nulla.
Le materie scolastiche offrono una conoscenza inadeguata della realtà che (fuori dall’aula) non permette di affrontare neanche i problemi più semplici.
L’intelligenza disciplinare, invece permette di vivere un’esperienza fondamentale: l’esperienza dell’imparare, apre una strada verso la comprensione, indicando i possibili ragionamenti da seguire per formulare differenti ipotesi interpretative.
“Imparare è un’esperienza, tutto il resto è solo informazione” (Albert Einstein)
Fino a quando nelle nostre aule proporremo e faremo studiare solo informazioni offriremo “morta conoscenza”, inadatta ad un qualsiasi uso nel mondo reale ma ancor più sterile per suscitare la necessità vitale della conoscenza, l’amore per il sapere.
“E’ necessario rovesciare l'insegnamento e dire: l'insegnamento, anzitutto e fondamentalmente, non è altro che insegnare la necessità di una scienza; e non insegnare la scienza stessa la cui necessità è impossibile far sentire allo studente." (Ortega Y Gasset)
Nella sfida lanciata da Morin, e accolta da chi si è impegnato nella costruzione del curricolo del nostro indirizzo, si và oltre l’acquisizione della competenza disciplinare, si cerca: “la capacità di riferirsi al complesso, al contesto in modo multidimensionale e globale”..
Tutte le discipline devono assolvere ad un’esigenza prioritaria di questo corso di studi, che è quella di fare guadagnare gradualmente un’ottica interdisciplinare.
Questa capacità non si conquista affiancando due o più discipline ma integrandole tra loro, perché la loro integrazione permette una comprensione più profonda e autentica dei problemi affrontati, rispetto a quella resa possibile da una sola disciplina.
L’interdisciplinarità produce un valore aggiunto che potenzia il processo di apprendimento e tesse una tela con molti fili che convergono nella creazione di un disegno coerente e ricco di dettagli e sfumature.
Nel nostro indirizzo la convergenza tra le discipline si determina grazie a un perno su cui ruota il curriculum: l’asse storico-antropologico.
Utilizzare una prospettiva che NON mantiene le discipline nella loro separatezza
Perché l’antropologia è una disciplina di confine che tende a cogliere la pluralità dell’esperienza umana piuttosto che l’unicità e il sapere storico (più che la storia) è un sapere situato [4] che tiene insieme dialetticamente i contributi di più saperi.
L’antropologia richiede uno sconfinamento continuo tra oggetti e dentro gli oggetti; tra chi osserva e chi è osservato; analizzando non concetti ma i processi di formazione dei concetti, educa alla provvisorietà del sapere, alla necessità di ri-vedere continuamente le proprie convinzioni.[5]
Di fronte alla difficoltà che pone un simile approccio ci si può arrendere e tornare alla sicurezza dei paradigmi disciplinari oppure fronteggiare la diversità come ricchezza [6] e cercare di creare un contesto di insegnamento-apprendimento, che invece di semplificare e appiattire la nostra conoscenza, aumenti la consapevolezza delle contraddizioni implicite nella complessità.
Il mezzo più potente per attuare questo metodo d’insegnamento e apprendimento è proprio lo stage, che svolge la funzione di un acceleratore di particelle. La sua azione è infatti quella di accelerare il processo di integrazione dei saperi disciplinari che è la logica su cui si costruisce il curricolo.
Per questo è possibile avviare una riflessione sul curricolo, muovendo dall’esperienza di stage e viceversa: il rapporto è speculare perché l’uno si costruisce mediante l’altro, obbedendo alla regola prioritaria di favorire un apprendimento che non segue percorsi banali e lineari, ma potenzia la conoscenza scegliendo proprio quegli aspetti della realtà che fanno implodere il sapere scolastico, esponendolo all’urto delle contraddizioni interne ed esterne.
nel corso dello stage si dà sempre un sapere provvisorio, aperto alla conferma dell’esperienza e su cui il pensiero può ritornare per modificare i concetti appresi con ciò che si è osservato fuori dall’aula.
Nello stage confluiscono i flussi dell’esperienza e del sapere dell’esperienza.
Come ricorda Franca Olivetti Monoukian citata nel vademecum per lo stage “Don’t worry!”, non è tuttavia un lavoro facile:
“Se la pratica è fare, l’esperienza è pensare su quello che si fa. Si può avere o fare molta pratica, ma non avere esperienza, perché l’agire, l’operazione non è stato oggetto di riflessione, non è stato riesaminato, non è stato investito di pensiero.
Esperienza significa elaborazione: questo termine mi è chiaro perché mi sembra che esprima in modo assai appropriato i processi attraverso i quali informazioni sparse di varia natura possono essere riprese, ricomposte, considerate con attenzione e interesse, ma anche prese in mano, modificate, collegate ad altre digerite per sviluppare nuovi percorsi di ricerca.
La radice labor denota esplicitamente la fatica che tutto ciò comporta” [7]
[1] Edgar Morin, I sette saperi necessari all’educazione nel futuro, Cortina, Milano, 2001.
[2] Howard Gardner, Cinque chiavi per il futuro, Feltrinelli. Milano, 2007.
[3] “ …una materia presentata in modo da portare alla luce la sua struttura logica avrà una forza generativa che permetterà all'individuo di ricostruire i particolari, o perlomeno, gli consentirà di preparare uno schema funzionale dove i particolari potranno essere sistemati via via che si incontreranno." J. S. Bruner, Dopo Dewey: il processo di apprendimento nelle due culture, Armando, Roma, 1966.
[4] Cfr. K. Kumar, Le nuove teorie del mondo contemporaneo. Dalla società post-industriale alla società post-moderna, Einaudi 2000.
[5] Un utile esercizio per imparare la de-costruzione di concetti che tendono ad istituzionalizzarsi può essere quello di esaminare alcune parole es. democrazia: di quale democrazia si parla di quella di Bush, di Atene nel V° sec, di quella attuatesi in India nel XV° sec? – diritto di cittadinanza di suolo?- di sangue? Di censo? Laica? Universale? Religiosa?
[6] Cfr. g. Mantovani, L’elefante invisibile; Giunti 1998, e M. Herzfeld, L’intimità culturale, ed. L’ancora del mediterraneo, Napoli, 2003.
[7] Olivetti Manoukian F., Tirocinio professionale e apprendimento dell’esperienza, in E. Neve, M. Niero, Il Tirocinio, Franco Angeli, Milano, 1990, p.138l.
Parlare dello stage non significa discutere solo di una pratica didattica come le altre, non è una strategia per rendere più piacevole l’insegnamento introducendo momenti extra-scolastici, e non si può intendere come un’attività finalizzata all’orientamento professionale: lo stage è - come ha felicemente detto Paolo Cinque nel suo intervento nel libro “Nuovi saperi per la scuola”- il curriculo visto da un’altra parte.
Pertanto la prima questione da affrontare è :
Qual è l’oggetto da osservare?
Quale contesto di apprendimento si sostituisce all’aula per attivare un insegnamento-apprendimento più efficace?
Quale fenomeno della realtà complessa è degno di essere oggetto di uno stage formativo?
La scelta deve cadere innanzitutto sul problema da affrontare, su cui si spenderanno i saperi, perché – come diceva Popper – nella realtà non esistono le discipline, esistono i problemi.
Per questo occorre affrancarsi da una visione riduzionista che vorrebbe confinare l’azione dello stage agli ambiti consueti del vecchio magistrale o degli istituti professionali: assistenza all’infanzia e/o servizi sociali.
I problemi che si incontrano nello stage sono gli stessi su cui si costruisce il curriculo, tra questi alcuni sono irrinunciabili, da affrontare ad ogni costo perché più atti a cogliere la multidimensionalità dell’azione educativa. Sono problemi che si prestano ad essere colti da più prospettive (es. città come immagine frattale della società) e che connettono teoria e pratica, ricerca e prassi, tempo passato e tempo presente, bisogni cognitivi e bisogni esistenziali.
E’ bene privilegiare stage che permettano di adottare una prospettiva storico-antropologica: studiando anche la normalità e non solo le emergenze (es. gli stage sulla migrazione si aprono a questioni non riconducibili esclusivamente alla dialettica incontro-scontro tra culture, ma investono l’organizzazione dei contesti politici, storici, istituzionali).
Bisogna osservare e saper vedere non categorie, ma i processi che formano certe condizioni.
Per orientarci nella scelta possiamo servici di ciò che il collega Luigi Mantuano ha definito “I sette indicatori di decodifica della contemporaneità” [8].
Ci sono dei contenuti disciplinari da acquisire e delle competenze da sviluppare: l’azione sinergica degli uni sulle altre favorisce non solo una comprensione più profonda del fenomeno osservato e incontrato in carne e ossa ma anche, si auspica, una consapevolezza che può far sviluppare una diversa sensibilità, spingendo l’alunno/a ad assumere la propria responsabilità riguardo ad aspetti critici della realtà contemporanea.
Alcuni esempi
(i progetti degli stage citati sono visionabili qui nella pagina dell’Istituto “Emilio Ainis” di Messina)
1. LA COMUNICAZIONE (stage DENTRO LA NOTIZIA)
Non solo
Teorie della comunicazione, lettura del saggio “Apocalittici o integrati?”; Le ricerche della Scuola di Palo Alto; Gli effetti sociali dei media; Habermas
Ma soprattutto
conoscenza reale dei meccanismi di costruzione e diffusione delle notizie; inchieste sull’uso dei new media; registrazione e studio dei programmi televisivi; nuova alfabetizzazione mass mediale; uso più discriminato dei media.
2. Il GLOCALE (stage BOTTEGHE DEL MONDO)
“Chi vede solo ciò che si situa a distanza è miope quanto chi vede solo ciò che sta dall’altra parte della strada o del confine” [9]
Contestualizzare gli argomenti trattati nel territorio ma studiati e comprendesi in una sua dimensione globale.
E’ necessario operare continuamente sul fronte interno ed esterno delle conoscenze, servendosi di una solida riflessione scientifica che sottragga al rischio di considerazioni viziate dalla territorialità o dal senso comune
3. LA RELAZIONE (stage RADICI PER CRESCERE)
Si determina e definisce mediante l’incontro con l’altro inteso come altro me stesso (processo di costruzione dell’identità); altro per genere; altro per cultura; altro per generazione.
Statern: "Non c’è altro modo di cogliere la costruzione del sé al di fuori delle relazioni sociali".[10]
4. L’ ARTICOLAZIONE DEL PENSARE E DEL FARE
5. IL QUOTIDIANO
6. RAPPRESENTAZIONE DEL MONDO (stage NON SOLO LOOK) (SONORA-MENTE)
7. RADICAMENTO E TRASFORMAZIONE (stage OCCHI SULLA CITTA’)
Bisogna saper maneggiare concetti e conoscenze di varia provenienza che, come in un imbuto, confluiscono nelle riflessioni degli scienziati sociali.
Il consiglio di classe definisce preliminarmente l’apparato teorico che è necessario fornire agli alunni per attivare un processo di apprendimento efficace.
(es. rinforzo del monte ore di Fisica per lo stage “Energia in gioco”; lezioni di urbanistica per lo stage “Occhi sulla città”; studio della Costituzione per lo stage “Politica è cittadinanza”; etc.)
Attenzione a non cedere alla tentazione di demandare alle scienze sociali l’intera capacità di leggere e comprendere la complessità (tentazione “idealistica” come se le scienze sociali fossero le discipline più adatte a cogliere la complessità).
Ricordare il monito di Geoffrey Barraclough: "nessuna scienza sociale costituisce un’unità autosufficiente".
Nessun docente di scienze sociali può racchiudere in un colpo d’occhio i saperi necessari per affrontare problemi complessi.
A conclusione del seminario di Suzzara, il sociologo Umberto Chiaramonte concludeva il suo intervento ponendo un quesito di non facile soluzione:
“Se è più semplice definire il profilo dello studente che accederà a questo tipo di formazione, più complesso diventa disegnare la tipologia dei docenti che vi debbono insegnare.
Quali saranno gli insegnanti ideali che potranno accreditare conoscenze, competenze e capacità disciplinari e didattiche per affrontare un lavoro di programmazione multidisciplinare con un massiccio coinvolgimento di scienze sociali?”
La comprensione di un territorio comincia dall’osservazione dei bisogni reali del contesto fisico, politico, economico,storico, culturale.
Le discipline offrono i loro contributi specifici per aumentare la capacità di abbracciare con un colpo d’occhio diversi aspetti, ma al tempo stesso, forniscono lo zoccolo duro delle riflessioni.
Arte:
Contenuti: Riconoscere dalla forma urbis la mission della città
Diritto
Contenuti: Compiti e funzioni degli enti locali
Scienze
Contenuti: Geomorfologia del territorio
Italiano
Contenuti: La città e l’immaginario
Scienze sociali
Contenuti: Bisogni individuali, bisogni sociali
1° momento
Diritto (Storia del Parlamento – Le nostre istituzioni – Iter legislativi)
Storia (Genesi della Costituzione Italiana)
Italiano ( La scrittura della Costituzione)
Scienze sociali ( Costituzioni a confronto: l’esempio americano ed europeo - Le minacce alla nostra Costituzione)
2° momento
Diritto (Struttura e funzioni del Parlamento - Ricerca Storia del Parlamento Italiano)
Scienze sociali (Come mutano gli atteggiamenti rispetto alle Istituzioni politiche - Le istituzioni politiche necessità storica o culturale?)
Filosofia ( La rappresentazione del potere nel mondo antico)
3° momento
Diritto (Iter legislativi)
Scienze sociali (La legge di fronte alle emergenze del sistema -uso dei ddl precedenti storici e attualità)
4° momento
Diritto (Acquisizione della cittadinanza in Italia)
Scienze sociali (Ricostruzione del processo di formazione del concetto di cittadinanza - Cittadini migranti: legislazioni a confronto)
Arte - Italiano (La rappresentazione del valore di cittadinanza)
Scienze sociali (Produzione di uno spot per promuovere il valore della cittadinanza)
Filosofia (Concezione laica e religiosa della cittadinanza)
La ricerca di attività di apprendimento mirate a sviluppare competenze non è solo un’ultima “moda” pedagogica, la tavola delle abilità per la vita, le life skills sono state riconosciute dall’Onu, dall’Unicef e dall’Organizzazione mondiale della Sanità prima di trovare eco nelle Conferenze europee dei Ministri dell’Istruzione ed essere promulgate dal Parlamento Europeo nel Dicembre 2006.
Al di là delle applicazioni più o meno tecniche (e tecnicistiche), sviluppare competenze significa innanzitutto far sì che i giovani escano dalle aule scolastiche sapendo usare intenzionalmente e correttamente ciò che hanno appreso, adeguandolo alle situazioni, scegliendo tra gli strumenti acquisiti, sospendendo il giudizio e tollerando l’incertezza quando si accorgono di dover acquisire nuove competenze” [12]
Lo stage è un’occasione privilegiata per potenziare ed esprimere competenze, abilità, conoscenze trasversali, utile anche per fare da connettore tra le diverse programmazioni del consiglio di classe.
Asse dei linguaggi
Italiano, Arte, Musica, Lingue straniere
L’asse dei linguaggi ha l’obiettivo di fare acquisire allo studente:
Competenze di base
In grassetto alcune attività svolte durante gli stages
Competenze | Abilità/capacità | Conoscenze |
Padroneggiare gli strumenti espressivi ed argomentativi indispensabili per gestire l’interazione comunicativa verbale in vari contesti |
- Cogliere le relazioni logiche tra le varie componenti di un testo orale (es. partecipare a conferenze, comizi, dibattiti e redigere un testo che ricostruisca anche il contesto) - Esporre in modo chiaro logico e coerente esperienze vissute o testi ascoltati - Riconoscere differenti registri comunicativi di un testo orale - Affrontare molteplici situazioni comunicative scambiando informazioni, idee per esprimere anche il proprio punto di vista - Individuare il punto di vista dell’altro in contesti formali ed informali (es. esperienza Riace e Circolo Arci , stage “Radici per crescere…) |
- Contesto, scopo e destinatario della comunicazione
- Principi di organizzazione del discorso descrittivo, narrativo, espositivo, argomentativo |
Leggere, comprendere ed interpretare testi scritti di vario tipo |
- Individuare natura, funzione e principali scopi comunicativi ed espressivi di un testo
(es. lettura e analisi delle relazioni di Commissioni parlamentari, codici, letteratura scientifica, piante urbanistiche, rilievi, testi poetici,quadri… vedi “Occhi sulla città”)
- Cogliere i caratteri specifici di un testo letterario (vedi “Vicini perciò lontani” sulla letteratuta araba) |
- Varietà lessicali in rapporto ad ambiti e contesti diversi - Tecniche di lettura analitica e sintetica (es. indagini, letteratura scientifica, rassegne stampa) - Tecniche di lettura espressiva |
Produrre testi di vario tipo in relazione ai differenti scopi comunicativi |
- Ricercare , acquisire e selezionare informazioni generali e specifiche in funzione della produzione di testi scritti di vario tipo - Prendere appunti e redigere sintesi e relazioni - Rielaborare in forma chiara le informazioni - Produrre testi corretti e coerenti adeguati alle diverse situazioni comunicative |
- Modalità e tecniche delle diverse forme di produzione scritta: riassunto, lettera, relazioni, ecc. - Fasi della produzione scritta: pianificazione,stesura e revisione |
Utilizzare una lingua straniera per i principali scopi comunicativi ed operativi | - Ricercare informazioni all’interno di testi di breve estensione di interesse personale, quotidiano, sociale o professionale
- Interagire in conversazioni brevi e semplici su temi di interesse personale, quotidiano, sociale o professionale
- Scrivere brevi testi di interesse personale, quotidiano, sociale o professionale
- Riflettere sui propri atteggiamenti in rapporto all’altro in contesti multiculturali |
- Lessico di base su argomenti di vita quotidiana , sociale e professionale
(es. lettura giornali stranieri, ricerche sul web) - Corretta pronuncia di un repertorio di parole e frasi memorizzate di uso comune - Semplici modalità di scrittura: messaggi brevi, lettera informale (es. e-mail, sms) - Cultura e civiltà dei paesi di cui si studia la lingua |
Utilizzare strumenti fondamentali per una fruizione consapevole del patrimonio artistico | - Riconoscere e apprezzare le opere d’arte
- Conoscere e rispettare i beni culturali e ambientali a partire dal proprio territorio (progettazione e realizzazione brochure turistiche; denuncie con foto e articolo ai quotidiani cittadini sull’o stato di abbandono di alcuni monumenti..) |
- Elementi fondamentali per la lettura/ascolto di un’opera d’arte (pittura, architettura, plastica, fotografia, film, musica…..)
- Principali forme di espressione artistica |
Utilizzare e produrre testi multimediali |
- Comprendere i prodotti della comunicazione audiovisiva - Elaborare prodotti multimediali (testi, immagini, suoni , docufilm, spot pubblicitari), anche con tecnologie digitali |
- Principali componenti strutturali ed espressive di un prodotto audiovisivo
- Semplici applicazioni per la elaborazione audio e video - Uso essenziale della com. telematica |
[12] AA.VV., La scuola deve cambiare, ed. L’ancora del mediterraneo, Napoli, 2002.
E’ impossibile riprodurre uno stage identico in due classi diverse, perché ogni stage è frutto dell’integrazione fra vari elementi interni ed esterni alla scuola, interni ed esterni alle discipline.
E’ co-prodotto dagli allievi (perché di questi asseconda gli interessi, cerca di suscitarne la motivazione e di indurli a sentire il bisogno di conoscere) ma soprattutto è l’espressione della creatività e dell’incontro tra professionalità diverse: quella dei docenti e quelle del mondo del lavoro.
I contributi formativi devono essere equilibrati: non si può sminuire l’importanza di uno spazio neutro da dedicare alla riflessione e alla meta cognizione buttandosi troppo in fuori; la pratica dell’osservazione non può sostituire un ritorno del pensiero e dei saperi sull’esperienza, e non può rinunciare ad una lettura teorica, pur considerando le interpretazioni provvisorie e suscettibili di mutamento.
Lo stage deve introdurre discontinuità nel lavoro d’aula: ha senso chiedere l’intervento di esperti esterni e condurre i ragazzi fuori dall’aula se si offrono reali opportunità, non solo di approfondimento teorico, ma anche di contatto con contesti e figure professionali diverse dalla scuola.
Occorre individuare (o far individuare) nelle aziende delle figure di sfondo, che facciano da cerniera tra scuola e lavoro, con le quali sia possibile instaurare un rapporto basato sulla volontà di fare dell’esperienza di stage un’occasione per produrre cultura (nel senso più ampio del termine).
La scuola potrebbe svolgere nel tempo un ruolo di orientamento [13] anche per il sistema delle imprese che, se vogliono stare al passo con il nuovo che avanza e accogliere la sfida di una riflessione sul sapere contemporaneo, devono attrezzarsi per diventare partners delle nuove strategie educative, investendo nella formazione dei tutor aziendali o in altre figure che possano relazionarsi in modo efficace agli studenti in formazione.
Come sottolineava la prof.ssa Fiorella Farinelli al primo seminario di formazione di Ferrara: "E' una grande opportunità, un privilegio, per i giovani in formazione, conoscere un aspetto del mondo del lavoro senza essere in una situazione lavorativa"
Ma anche per il mondo del lavoro lo stage potrebbe diventare un privilegio riconoscendo per sé il ruolo di educatore implicito in un rapporto di co-educazione, secondo una necessità non solo pedagogica e civile, ma quasi etica, l’avvio di uno spazio di confronto e costruzione di significati per re-insediarci in una nostra società.
Alcuni esempi di individuazione dei luoghi
La scelta non è stata determinata dalla volontà di confrontare due realtà così diverse tra loro ; il criterio che ci ha condotti ad accostare queste due città è frutto di una coincidenza: nell’indagine del Sole 24 ore sulla qualità dei servizi nelle città italiane Messina figurava all’ultimo posto e Ferrara tra le prime dieci città, prima in assoluto per i servizi all’infanzia.
Mi soffermo sulla casualità di questa fortunata coincidenza: se la nostra azione didattica, o meglio l’efficacia dello stage formativo, è di aprire alla comprensione della società contemporanea, i docenti hanno l’obbligo di essere antenne riceventi di ciò che accade intorno e di lavorare tenendone in giusto conto, altrimenti si rischia di “confezionare” uno stage a tavolino secondo i propri interessi, i propri contatti e …le proprie intenzioni.
Lo stage “Radici per crescere, ali per volare”, sui processi di formazione delle identità, prevedeva la permanenza di una settimana nell’isola di Lampedusa per osservare il modo come i cittadini lampedusani vivono l’emergenza migranti e comprendere come si possono costruire degli atteggiamenti di esclusione dell’altro quando la politica gestisce solo l’emergenza senza programmare interventi per costruire un progetto di integrazione. Il commissariamento del comune di Lampedusa e alcune difficoltà finanziarie ci hanno costretto a rinunciare a questa meta ma, grazie a questa rinuncia abbiamo scoperto Riace, il paese dell’accoglienza, dove l’iniziativa di accogliere i rifugiati politici è partita dal basso, dalle Associazioni di volontariato e dalla gente del posto e ha stimolato le istituzioni locali a costruire un progetto per l’asilo politico che è attualmente riconosciuto e finanziato dalla Comunità Europea e dalla regione Calabria.
[13] “Il sistema formativo integrato indossa gli abiti di un vero e proprio "sistema copernicano":
Al centro vi è il sole-scuola (crocevia obbligato per i molteplici sentieri dell’educazione), alla periferia il triangolo dei macrosatelliti (famiglia, enti locali, associazionismo) e sullo sfondo – in un’orbita lontana – il sistema solare “informale” dei microsatelliti (il firmamento della cultura diffusa, di mercato: mass media, personal media e attività formative a paga,mento) del tutto slegato dal sistema integrato, non in-rete, spesso in posizione antagonistica e conflittuale nei confronti della scuola e delle altre agenzie formative extra scolastiche”.
Vedi saggio di F. Frabboni La formazione universitaria dell’operatore socioeducativo, in Il tirocinio nella formazione dell’operatore socioeducativo, La nuova Italia, Roma, 1995, p.15 e ss.
Il metodo/ i metodi da scegliere sono un banco di prova della innovazione della formazione che lo stage introduce.
Infatti l’applicazione di più metodi di ricerca permettono a docenti e alunni di “disporre di più corsie investigative ed euristiche (per) padroneggiare più punti di vista logici ed inventivi nel processo di ricostruzione-trasfigurazione dei saperi curriculari” [14]
“Significa ripensare le proprie metodologie alla luce di un curriculo sempre tridimensionale” [15] cercando di integrare il sapere teoretico, operativo e poietico.
Questa del resto è la richiesta della nostra società avere “menti d’opera” più che solo “mano d’opera”.
Es. stage “Innovare nella scuola”
Resta non risolto un aspetto importante che giustamente occupa buona parte del nostro lavoro di insegnati: come valutare un’esperienza, come riconoscere le competenze, abilità, conoscenze acquisite?
Ogni alunno porta dentro la scuola le sue conoscenze antropologiche, il suo vissuto, il suo sapere pregresso, che non di rado - durante lo stage - diventano risorse in più per accorciare le distanze determinate da successo e insuccesso scolastico.
A. Rivalutazione del sapere antropologico
Ognuno per poter offrire i suoi saperi deve imparare a “sapere sui suoi saperi”, essere in grado di fornire un “curriculum mentis”
Questo riconoscimento dei saperi pre-gressi è molto importante: mette sullo stesso piano la teoria e la pratica, l’esperienza di vita e le nozioni apprese sui libri e nelle aule.
B. Ri-motivazione: Lo stage interrompe la lungodegenza degli alunni negli studi teorici, avvicinandoli a momenti di visibile spendibilità dei saperi in ambienti operativi.
C. Maggiore efficacia nella gestione del tempo e delle risorse
D. Nuove modalità di relazione con i docenti, compagni, realtà esterna
E. Più coinvolgimento delle famiglie
F. Capacità di autovalutazione
Permette di riconoscere l’adeguatezza degli strumenti cognitivi, metodologici, relazionali rispetto ai problemi da trattare, è un’occasione per mettersi alla prova.
E’ possibile misurare il sapere?
Alla nostra riflessione comune propongo questo brano tratto da un metalogo di Bateson in Ecologia della mente:
P. Voglio dire che il sapere è come tutto intrecciato insieme, o intessuto, come una stoffa, e ciascun pezzo di sapere è significativo o utile solo in virtù di altri pezzi, e…
F. Pensi che si dovrebbe misurare in metri?
P. No, direi di no.
F. Ma le stoffe si comprano a metro.
P. Si, ma non volevo dire che è una stoffa. E’ solo come stoffa…e certamente non sarebbe piatto come stoffa…ma avrebbe tre dimensioni….forse quattro dimensioni.
F. Che cosa vuol dire, papà?
P. Non so, veramente, tesoro. Stavo solo cercando di riflettere.
F. Una volta ho fatto un esperimento
P. Quale?
F. Volevo vedere se riuscivo a pensare due pensieri contemporaneamente. Allora pensai E’ estate e pensai E’ inverno. E cercai di pensare alle due cose insieme.
P. Allora?
F. Ma mi accorsi che non stavo pensando due pensieri.
Pensavo un solo pensiero a proposito di pensarne due.
P. Certo, è proprio così non si possono mescolare i pensieri, si possono solo combinare. E alla fin fine ciò significa che non li si può contare. Perché contare è proprio aggiungere semplicemente una cosa all’altra. E per i pensieri questo non lo si può fare assolutamente.
F. Allora veramente abbiamo un solo grande pensiero che ha tanti rami…tanti e tanti e tanti rami?
P. Si, penso di si. Non so. Comunque penso che sia un modo più chiaro di dirlo. Cioè più chiaro che parlare di pezzi di sapere e cercare di contarli. [16]
Valutare l’intreccio tra saperi e sapere dell’esperienza messi in campo durante lo stage è impresa ardua, ancora più difficile se consideriamo anche le emozioni che si provano in contesti così reali e, a volte, drammatici.
Ma la conoscenza si costruisce anche attraverso esperienze emotive “le emozioni stesse nel loro verificarsi improvviso e imprevisto, possono imporre confusamente secondo i parametri del nostro pensiero abituale, eppure con la chiarezza di un’illuminazione, verità nuove, piacevoli o sgradevoli da cui, non si potrà più prescindere nella costruzione del proprio progetto esistenziale” [17]
Ciascuno di noi potrà completare, con i suoi ricordi, la sorpresa e la gratificazione espressa dai nostri alunni/e quando un’emozione ha spalancato una visione nuova, permettendo di incrociare nuovi sguardi, trovare nuove parole, formulare nuovi pensieri.
E’ indispensabile l’impegno di tutti i componenti del Consiglio di classe per creare un clima collaborativo, grazie al quale gli alunni possono comprendere che lo stage è un punto cruciale del loro percorso di apprendimento e della loro crescita umana.
Gli alunni credono all’efficacia didattica dello stage se noi ci crediamo per primi e sosteniamo la partecipazione attiva alle iniziative proposte.
Regole da condividere e rispettare nel Consiglio di classe:
“L’obiettivo fondamentale è di fare entrare gradualmente i giovani nelle maglie complesse della vita della comunità, ma insieme, far interagire le istituzioni con i giovani, chiamarle a mostrarsi, a spiegare che cosa fanno (..) tutto questo si può fare all’interno di patti educativi in cui i giovani abbiano la possibilità di essere protagonisti” [18]
Gestire uno stage è un lavoro in più, e comporta molta fatica. Ma è un banco di prova per la nostra professionalità, che non può dirsi acquisita solo mediante il riconoscimento di percorsi formativi a volte obsoleti: una nuova professionalità docente va conquistata mediante una pratica di riflessione, di approfondimento, di progettazione per poi creare.
Intendiamo creare con tutte le variabili che derivano dal verbo poieo: insegnare è anche un fare, preparare, operare, produrre nuovi insegnamenti e conoscenze per gli alunni ma anche per noi.
“C’è un’età in cui si insegna ciò che si sa, un’altra in cui si insegna ciò che non si sa, è questo si chiama creare” (Roland Barthes)
Certo non è facile, non si impara sui libri ad operare sulla realtà servendosi di saperi sclerotizzati nei libri di testo ma, parafrasando Ficthe, potremmo dire: la scelta di un’ idea di scuola dipende da quale uomo-donna-insegnante si è.
La scelta di investire risorse professonali e umane è una scelta etica. Con questo termine si intende la responsabilità di riflettere e impegnarsi in un’educazione che abbia scopi e valori condivisibili con i nostri alunni, le loro famiglie, il territorio in cui viviamo.
“ Nel lessico delle scienze cognitive, l’etica implica il possesso di una facoltà di astrazione, ossia la capacità di riflettere con chiarezza sui modi in cui l’individuo adempie, o non adempie, a un certo ruolo” [19]
Vogliamo noi dirci educatori, vogliamo riconquistare un ruolo da protagonisti nella costruzione delle generazioni future? E’questo l’interrogativo che ci sveglia dal torpore e ci tiene avvinti ad una professione che richiede energie sempre fresche e tanta, tanta voglia di resistere.
Josette Clemenza