SPILLOVER : passato e futuro delle pandemie

 

Era il 2014 quando usciva "Spillover", di David Quammen, un corposo volume che possiamo realmente definire 'profetico' e di tragica attualità oggi, al tempo del coronavirus. 

La sua lettura, benchè sicuramente impegnativa, può almeno confortare i nostri dubbi e le nostre domande, anche se non darci risposte.

Si può anche cominciare con il seguire l'autore intervistato da Radio Radicale e da Wired.

DIPENDE.... Istruzioni per l'uso di "Spillover" di David Quammen

Perché leggerlo?

Nel 2012, Spillover è valso al suo autore David Quammen il premio Stephen Jay Gould, indetto dalla Society for the Study of Evolution che dal 1946 promuove, negli USA e nel mondo, l'integrazione dei vari campi della scienza connessi con lo studio dell'evoluzione.

David Quammen non è uno studioso di biologia evolutiva, è un bravissimo narratore di letteratura non fiction. Il suo lavoro, come ci dice nei suoi scritti e nelle sue lezioni, consiste nel raccontare, nel modo più coinvolgente possibile, storie vere, non inventate o abbellite o esagerate. Le sue storie raccontano come si costruisce la conoscenza scientifica dei processi e degli ambienti vitali. Le sue storie servono a far crescere la conoscenza sociale, a debellare le mitologie e a difendersi meglio, non solo da virus e batteri ma anche dall'irrazionalità, dai complottismi e dalle fake. E questo è già un buon motivo per leggerle.

Spillover, alla lettera Fuoriuscita dal Serbatoio, cioè salto di un agente patogeno da una specie ospite all'altra, è un imponente reportage di divulgazione scientifica, indagine e avventura. È nato da una serie di articoli scritti da Quammen per National Geografic al tempo dei primi allarmi per il virus Ebola. Ha come argomento le zoonosi, cioè le moltissime malattie che passano dagli animali alla popolazione umana, e spiega come si diffondono, come si identificano e come si combattono. I suoi protagonisti sono biologi in laboratorio e in campo aperto, medici e veterinari, ricercatori, portatori e guide ambientali, fotografi e documentaristi, cacciatori, pescatori e agricoltori, cuochi e turisti. Spesso inconsapevoli agenti e/o vittime di contagio.

Di questi tempi ovviamente di Spillover si parla da per tutto. Soprattutto perché già nel 2012 il reportage lanciava un avvertimento che non è stato raccolto.

Di che cosa ci avvertiva Spillover? Di alcuni fatti importanti.

a) In quanto esseri umani siamo legati agli altri animali, non siamo diversi dagli altri animali, e quindi siamo attaccabili dagli stessi patogeni, virus, batteri, o altro. Quando c'è un salto da una specie - serbatoio, in cui il patogeno era in qualche modo rannicchiato e circoscritto, a una specie nuova e indifesa, e soprattutto numerosissima e onnipresente come la nostra, l'effetto è devastante.
b) Le zoonosi sono in aumento e sono favorite ogni volta che animali selvatici, che non avrebbero mai dovuto essere portati a contatto con gli umani e che ospitano patogeni a noi sconosciuti, entrano forzatamente nel giro antropico perché il loro habitat è stato disintegrato e occupato dalle attività umane, la biodiversità è stata troppo ridotta e gli equilibri tra le specie sono stati alterati.
c) Le zoonosi sono favorite ogni volta che specie domestiche di animali vengono allevate in grandi numeri, spazi ristretti, promiscuità, condizioni igieniche cattive, abuso di antibiotici. Tanto peggio se questo avviene vicino a quegli habitat prima intatti, ma ora invasi e frammentati, da cui sono stati stanati i selvatici. La già malandata specie domestica, a contatto con la specie selvatica serbatoio, può addirittura in certi casi diventare amplificatrice della violenza del patogeno, e trasmetterlo così potenziato agli umani .
 
A questo punto siamo davvero condannati ? Beh, diceva Quammen nell'ultimo capitolo del libro (e lo ripete oggi quando è così spesso interpellato [1] ), dipende..... Le zoonosi rappresentano il 60 per cento delle malattie infettive umane, sono e saranno un elemento costante della nostra vita. Non serve quindi prendersela con le specie animali identificate come serbatoio, perché quando siamo di fronte a una zoonosi il contagio è già diventato umano. Morale: non perseguitate i pipistrelli, di cui i nostri ecosistemi hanno comunque bisogno. Piuttosto lasciateli stare! La nostra specie ingorda e onnipresente ha disegnato in modo praticamente irreversibile il quadro, ma molte conseguenze dipendono ancora in gran parte da noi. In altre parole, possiamo scegliere come comportarci in situazioni che abbiamo imparato a riconoscere come critiche. Nello specifico delle storie raccontate nel libro, per esempio, avremmo potuto scegliere di non bere linfa di palma, di non mangiare carne di scimpanzè, di non tenere porcilaie ai margini di una giungla frammentata, sotto alberi di mango rifugio di pipistrelli in fuga, di non tossire senza coprirsi la bocca, di non prendere un aereo se non ci si sente bene, di non fare sesso senza protezione, di non allevare insieme galline e anatre e di non macellarle insieme alla selvaggina. Avremmo potuto scegliere di non far dilagare come status symbol planetario una vecchia e circoscritta abitudine locale di mangiare animali appena tratti dalla giungla. Più in generale, possiamo ancora scegliere che cosa acquistare, e quali aspetti della nostra vita espandere o comprimere.
Troppo spesso, con le nostre scelte standard di consumatori, esercitiamo una grande pressione sugli ambienti ancora selvaggi, che invece andrebbero lasciati stare non solo per le loro vitali funzioni ecosistemiche, ma soprattutto perché potenziali serbatoi di virus ignoti. "(...) Ogni piccola cosa che facciamo può abbassare il tasso di infezione, se ci rende diversi gli uni dagli altri e non corrisponde al comportamento standard del gruppo... Gli esseri umani possono differire gli uni dagli altri in innumerevoli modi.. questo, e l'intelligenza, è fondamentale. " A queste indicazioni già presenti nell'ultimo capitolo del libro ( intitolato appunto "Dipende") lo stesso Quammen, in recenti interviste, ne ha aggiunte altre importanti "... che ci serviranno a fronteggiare la prossima pandemia, oggi che stiamo combattendo questa..."
  • Quello che ci serve è sviluppare la tecnologia dei controlli delle infezioni e investire di più nella sanità pubblica. Predisporre disponibilità aggiuntive di spazi e attrezzature per la cura dei malati. Costruire un margine di riserva di tecnologie, attrezzature, spazi e personale competente per affrontare questa e le altre epidemie che verranno.
  • Si deve investire di più nella ricerca, nella conoscenza, e nella circolazione e diffusione della conoscenza. Fare in modo che la maggior parte delle persone capisca le necessità e le dinamiche della ricerca scientifica. Oggi questo non accade, nemmeno nelle elite che governano il mondo.
  •  Abbiamo bisogno di ridurre e trasformare i consumi in modo che si arresti la corsa alla frammentazione e disintegrazione degli habitat Le aree ancora intatte vanno lasciate intatte. La biodiversità non va ulteriormente aggredita. Non per salvare il pianeta , ma per salvare noi stessi.
  • Bisogna ridurre i consumi ma non ridurre i legami tra le persone. Conoscenze e idee devono viaggiare, anche se sarà necessario ridurre la velocità e l'affollamento degli spostamenti fisici. Potrà servire distanziarsi fisicamente, ma non dobbiamo perdere i contatti emozionali e l'empatia
  • I muri non servono, né tra gli stati né dentro gli stati. Servono invece strutture e istituzioni che permettano di affrontare insieme i problemi comuni
  • Anche se non c'è un collegamento diretto tra crisi climatica e pandemie, ci sono cause comuni, che dipendono dallo sfruttamento antropico del pianeta, e queste cause vanno affrontate senza perdere altro tempo.
 
Si può usare con gli studenti?
E' un libro affascinante ma drammatico e non facile. Va usato con cautela e non può essere usato tutto.
Ma dai 15-16 anni si possono proporre al suo interno alcuni percorsi di lettura. Che funzionano ovviamente meglio se vi collaborano colleghi di discipline diverse (Arts and Sciences, direbbero alla SSE, la Società che ha premiato nel 2012 il lavoro di Quammen)
 
Il capitolo 1, Il Cavallo Verde, e il capitolo 2, Tredici Gorilla, sono esempi di narrativa scientifica efficace e coinvolgente. Il Cavallo Verde è quello dell'Apocalisse (che noi siamo forse più abituati a chiamare "cavallo pallido") ma è anche il simbolo degli animali attaccati dal virus Hendra. I Tredici Gorilla sono le prime vittime dell'Ebola segnalate col cuore in gola da un ranger gabonese.
Col ritmo di un romanzo poliziesco, Quammen ci guida attraverso paesaggi a noi poco familiari, nel Queensland australiano e nelle foreste del centro Africa, tra personaggi rappresentati nella loro quotidianità sconvolta, nei dubbi, negli entusiasmi, nelle ipotesi sbagliate, nelle reazioni rabbiose (notevole l'invettiva del mandriano di Hendra contro i pipistrelli e quelle mezzeseghe degli ambientalisti che si oppongono – e giustamente- al loro sterminio). Vediamo le scelte difficili in situazioni di emergenza, e le emozioni che uniscono creature umane e non solo. In Tredici Gorilla si impara anche la differenza tra la narrativa che parla di scienza e la narrativa che utilizza la scienza come un pretesto o un punto di partenza per l'invenzione artistica. Imparare a distinguerle, soprattutto di questi tempi sempre a rischio di paranoia, è molto utile. Dato poi che la lotta per il controllo dell'Ebola ha avuto tutto sommato buoni risultati, il messaggio che ne risulta è perfino cautamente ottimista.
 
I capitoli 4 (Una cena alla fattoria dei ratti) e 5 (Il cervo, il pappagallo, il ragazzo della porta accanto) sono più complicati e meno omogenei. Sono fatti di tante storie (e di tante aggressioni patogene) diverse, collegate a volte per analogie. Tutte raccontano però il rapporto tra abuso antropico e risorse naturali, e parlano di mode e di status symbol distruttivi, di calcoli economici sbagliati, di uso irresponsabile del territorio, non solo nei paesi remoti del sud del mondo, ma anche alle latitudini a noi familiari. E' un bel repertorio di storie di economia e di rapporti sociali.
In tutto il libro, vale la pena di non perdere l'occhio geografico. David Quammen evoca paesaggi diversi e singolari, che potrebbero avere come contrappunto visivo le immagini di Sebastiao Salgado, e che meritano di essere esplorati con gli strumenti che ci offre il web.Vedremo, per esempio, le imponenti cupole di granito che emergono dalla giungla di Minkebe nel Gabon, dove vivevano i gorilla poi sterminati dall'Ebola. O gli habitat frammentati ai margini delle foreste, erosi da costruzioni, svincoli stradali, allevamenti industriali. Un mondo minacciato, un mondo a rischio, ma anche un mondo ancora vasto e bellissimo. Nella bolla delle limitazioni in cui ci costringe la pandemia, Il web ci permette di non perdere la consapevolezza di farne parte.
 
L'ultimo capitolo (Dipende) è per studenti grandi. I ragionamenti che riannoda sono complessi, richiedono un po' di conoscenze biologiche e una certa capacità di assorbire realtà e ipotesi inquietanti. Se abbiamo letto uno dei capitoli precedenti, e vogliamo trovare insieme ai nostri ragazzi un quadro interpretativo e sintetico di tutte queste vicende, è probabilmente più utile utilizzare le recenti interviste di Quammen, che ne riassumono con efficacia il pensiero. Citiamo qui dalla conversazione con la giornalista Stella Levantesi de il Manifesto: "....Dobbiamo fare degli aggiustamenti. Potrebbe essere che inizieremo a ridurre il nostro impatto in termini di clima, di tutti i combustibili fossili che bruciamo, in termini di distruzione della diversità biologica, di invasione dei diversi ecosistemi. Forse cominceremo ad avere un passo più attento e più leggero su questo pianeta. Questo è quello che spero, ed è l’unico bene che può venire da questa esperienza."
E in ogni caso, mettiamo anche qualche argine a questa storia.
Nella stessa intervista, è proprio Quammen che ci mette in guardia ".....Viviamo in un mondo dove i media sono attivi 24 ore su 24 e vogliono aggiornamenti e occhi. . Quindi penso che noi, come consumatori di notizie, dobbiamo resistere all’ossessione .... Dobbiamo seguire l’informazione sul virus, prestare attenzione al problema ma abbiamo bisogno anche di altre cose. Abbiamo bisogno di una copertura sul coronavirus che approfondisca le cause e gli effetti, ma anche di storie che non riguardino il coronavirus. Abbiamo bisogno di musica, di comicità, di arte, di persone che parlano di libri – e non solo del mio"
Claudia Petrucci
 
 
[1]I riferimenti sono alle interviste rilasciate a : Il manifesto, 23 marzo 2020; Radio radicale, 28 mar 2020 ; Prendiamola con filosofia – La Repubblica Youtube 04 aprile 2020