EDUCAZIONE AL PAESAGGIO URBANO - di Claudia Petrucci

 

Il lavoro è parte del materiale didattico relativo alle esperienze di collaborazione tra SISUS e la sezione di Italia Nostra di Messina, in corso di pubblicazione presso l’Editore Loescher a cura di Amelia Stancanelli e Claudia Petrucci

 

“…nelle città rumorose dove l'azzurro si mostra/ soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase./ La pioggia stanca la terra, di poi; s'affolta/ il tedio dell'inverno sulle case,/ la luce si fa avara - amara l'anima./ Quando un giorno da un malchiuso portone/ tra gli alberi di una corte/ ci si mostrano i gialli dei limoni;/ e il gelo del cuore si sfa,/ e in petto ci scrosciano/ le loro canzoni/ le trombe d'oro della solarità” (…) (Eugenio Montale i Limoni, in Ossi di Seppia , 1925)

A) Premessa

Territorio e paesaggio sono beni comuni affidati alla sovranità popolare. È la partecipazione dei cittadini che pone problemi, delinea possibili soluzioni, e costringe gli esperti delle discipline a collaborare per trovare quelle più adeguate.

È possibile riorientare intorno a questi temi, almeno in parte, anche i curricoli scolastici e le attività dell’educazione. Possiamo aiutare lo sviluppo di una sensibilità ai contesti ambientali, alle loro caratteristiche funzionali e al loro valore storico, sociale ed estetico. E costruire percorsi da cui gli studenti, di tutte le età, possano capire che cosa fanno gli specialisti e a che cosa serve il loro lavoro, quali problemi può risolvere e di quali altri contributi ha bisogno.

Tra i contesti ambientali, un importante campo di ricerca e pratica didattica è l’ambiente urbano. Attraversare e osservare la città può attivare percorsi di conoscenza e di esercizio della cittadinanza, attraverso attività che permettano di osservare, comprendere, e quindi poter difendere, la varietà urbana.

Il concetto di varietà urbana, contrapposta tanto a disordine, quanto a uniformità, è uno strumento didattico. È una lente di osservazione, un modo per avvicinarsi a una realtà complessa cercando di coglierne gli elementi che vi giocano e che la rendono vitale: è la possibilità, che i luoghi a volte ci concedono, di entrare in rapporto con il patrimonio culturale e con i paesaggi naturali in cui la città è cresciuta, e che ha trasformato.

Esplorare la varietà urbana è un lavoro di collaborazione tra le discipline. È un po’ diverso da quello dell’educazione artistica e dell’insegnamento della storia dell’arte, anche se ovviamente lo interseca in una fitta trama di incontri, insieme con il lavoro della storia, della geografia e delle scienze sociali.

Così scriveva Antonio Cederna già nel 1956: “Il carattere principale di questi antichi centri di città non sta nei monumenti principali, ma nel complesso contesto stradale ed edilizio, nell’articolazione organica di strade, case, piazze, giardini, nella successione compatta di stili e gusti diversi, nella continuità dell’architettura minore, che di ogni nucleo costituisce il tono, il tessuto necessario, l’elemento connettivo, in una parola l’ambiente vitale

Per cominciare a ragionarci a scuola, possiamo dire semplicemente che la “varietà” è la capacità dell’ambiente urbano di :

• dare spazio a elementi, funzioni, strutture, soggetti, tracce e storie, culture, risorse e ambienti naturali e antropici diversi;

• equilibrarli, farli interagire, ibridarli in modo positivo e in un tessuto quanto più possibile continuo.

Tra la varietà architettonica e sociale dei quartieri, la possibilità di percorrerne gli spazi, e i valori più generali di inclusione e di democrazia, il rapporto è strettissimo. Scriveva Bernardo Secchi: “Nelle culture occidentali la città è stata a lungo immaginata come spazio dell’integrazione sociale e culturale(…), in un processo di continua ibridazione, produttore di nuove identità, nuovi soggetti e nuove idee. Ma da sempre e in modi diversi(…) è stata anche potente macchina di distinzione e separazione(…) di gruppi etnici e religiosi, di attività e professioni.(…) Nella città occidentale ricchi e poveri si sono da sempre incontrati, e continuano a incontrarsi, ma sono anche, e sempre più, resi visibilmente distanti” .Nella ambivalenza storica della città, l’indebolimento del mosaico variato di attività, gruppi sociali, modi diversi di vivere e abitare, e luoghi e paesaggi diversi, evoca pericolosamente nuove segregazioni. Questa involuzione può essere accelerata da scelte urbanistiche che non rispettano le caratteristiche uniche e fragili dei nostri territori, e alterano, a volte perfino senza una vera necessità, contesti e prospettive visuali. Riteniamo che una certa cautela dovrebbe accompagnare anche i progetti di “densificazione”, calibrandoli attentamente per non distruggere varietà e “porosità” urbana.

Non sempre, tuttavia, contesti e prospettive urbane emergono come figure di attenzione e composizione significativa di forme dagli sfondi indistinti delle vie del traffico quotidiano. E, se non vengono riconosciuti, è ben difficile salvarli.

Le nostre città sono ricchissime di possibili “figure” della varietà urbana. È necessario abituare i nostri studenti a osservarle e documentarle, nei contrasti e nel tessuto percettivo che le connette. L’uso didattico della caccia fotografica mirata, alla ricerca di combinazioni impreviste, ci riporterà il campanile romanico che spunta dalle tettoie del mercato, l’androne del carrozziere che ospita un’edicola barocca, le arcate dell’acquedotto medievale diventate botteghe. Non sarà troppo difficile far notare che spesso il fascino è dato proprio dall’intreccio e dalla sovrapposizione dei luoghi e delle loro storie, più che dai singoli elementi. E soprattutto dal fatto che luoghi, storie, contrasti e combinazioni sono state in qualche modo integrate, nel tempo lungo della città, in un discorso coerente.

Questo vale anche per le molte tracce di un rapporto con gli ecosistemi naturali che la città a volte coltiva, o che comunque conserva: l’orto con i limoni e i filari di vite intravisto dalla recinzione, gli alberi alti del piccolo parco tra le case, il giardino botanico dietro il muro dell’Università. E i profili dell’orizzonte fisico : colline, litorali, corsi d’acqua . Il carattere liberatorio e perfino “democratico” di questi elementi di varietà urbana era già riconosciuto nei celebri versi di Eugenio Montale “qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza”...

L’importanza degli spazi agricoli è stata riscoperta di recente. Gli orti in città erano stati a lungo considerati “residui” arcaici, ricordi malinconici degli “orti di guerra”, provvidenze concesse dai Comuni a pensionati indigenti. Insomma, angoli senza futuro e senza appeal. Viceversa, negli ultimi anni, si sono rivelati tra gli elementi fondamentali della riqualificazione urbana. Ancora più dei giardini, gli orti possono rendere gradevoli quartieri senza attrattive, aumentare il fascino di antiche mura e terrazze dei centri storici, migliorare l’ecosistema urbano, far recuperare ai giovani l’esperienza delle stagioni, costruire socialità e inclusione, e perfino creare occupazione e produrre reddito.

I corsi d’acqua, invece, dovrebbero essere tra le “figure” più importanti nel paesaggio di una città, ma ancora oggi non è sempre facile recuperarne la percezione. Scelte urbanistiche e di viabilità discutibili, e stratificate per decenni, hanno occultato agli occhi degli abitanti non solo torrenti e canali minori, ma addirittura i fiumi storici delle nostre città. Oggi l’entusiasmo per i tombamenti, che caratterizzò tutto il secolo scorso, sembra, anche per la loro dimostrata pericolosità, molto diminuito, ma le città italiane continuano a voltare le spalle ai loro corsi d’acqua, a ricordarsene solo quando esondano e fanno danni, e a vedere i lungofiume solo come stradoni di scorrimento per il traffico a motore. Rieducarci a convivere con l’acqua è un compito per tutti.

Ritrovare le “figure” della geografia non è un percorso semplice. Il rapporto tra la costruzione antropica della città, le scelte e le occasioni della sua storia materiale e politica, e la sua base naturale, fisica, morfologica, geologica, è quasi sempre conflittuale. Ma non è possibile annullarlo e rimuoverlo.

 

B) Qualche strumento utile

Anche per l’educazione ai paesaggi urbani valgono i principi stabiliti dalla Convenzione Europea del Paesaggio, che non si limita a tutelare i paesaggi d’eccezione, ma estende la responsabilità nei confronti di tutti i luoghi modellati dall’interazione tra ambienti naturali e attività umane. Le Linee guida della Convenzione rivolte alle istituzioni educative delineano strategie didattiche per superare l’indifferenza percettiva dei giovanissimi, e invitano a esplorare, classificare, cercare tracce, immaginare azioni, comunicare, utilizzando i diversi aspetti dell’esperienza sensoriale, e alternando impressioni e percezioni complessive e osservazione dei particolari.

Muoversi alla scoperta del paesaggio, e quindi delle figure, delle funzioni e dei simboli vecchi e nuovi della nostra città, mobilita diverse competenze (orientarsi nello spazio e nel tempo, leggere le caratteristiche e gli usi sociali di un territorio) , e richiede strategie pertinenti (osservare, localizzare, percepire dimensioni, scale e distanze, cercare testimonianze e documenti, confrontare immagini, ecc.)

In queste strategie, conviene utilizzare sia gli strumenti tradizionali (carta, bussola, contapassi) sia le nuove possibilità di visuali e zoomate dall’alto rese disponibili dalla rete, là dove un tempo la ricerca di immagini pertinenti poteva essere laboriosa e forzatamente parziale. Le visuali dall’alto ci permettono di vedere gli elementi nascosti, le “figure” mimetizzate, il verde che c’è ancora e che non bisogna perdere. Aver presente la struttura complessiva urbana è però indispensabile quando si tratta di ricostruire i percorsi attraverso cui i singoli e i gruppi attraversano e usano la città, e di confrontare le abitudini e i mutamenti nel tempo. E qui probabilmente è meglio poter stendere la mappa tradizionale, su cui si possono anche scrivere annotazioni a matita o attaccare post-it.

Molti tra gli strumenti della ricerca sociale che utilizzano, come via per esplorare vissuti e atteggiamenti, la produzione di immagini, disegni e fotografie, integrata da dati verbali e testi di commento, possono infatti trasformarsi in efficaci utensili didattici. Gli strumenti che qui proponiamo, oltre a quelli soliti della geografia sul campo, sono tre: la carta (o mappa) mentale, il “reticolo della varietà” e il questionario di riconoscimento delle “figure” urbane significative.

Mappa mentale e questionario possono essere proposti a singoli individui, ma sono molto più utili se, dopo una prima fase di produzione individuale, prevedono il coinvolgimento di un gruppo, che discute i contributi dei singoli ed elabora una visione condivisa.

• La mappa mentale deriva dalle ricerche di Kevin Lynch sulla percezione e immagine della città. Si tratta di costruire una “nostra” carta, a partire non dai luoghi e dai percorsi canonici, ma dai nostri luoghi e percorsi significativi. La carta “ufficiale” e la nostra possono coincidere o no, e a volte si somigliano ben poco, per numero e importanza degli elementi segnalati, per percezione delle dimensioni degli spazi urbani e delle distanze.

Le mappe mentali possono essere strumenti estremamente sofisticati. Anche se nella nostra pratica didattica ci contenteremo di procedimenti semplificati, alla portata nostra e dei nostri studenti, faremo in ogni caso molte scoperte interessanti…

• Il questionario di riconoscimento delle “figure” urbane significative si richiama alla metodologia di indagine sociale “Photovoice”, che parte dalla scelta di un’immagine per indagare sulle relazioni del contesto e sui punti di vista dei soggetti coinvolti .

E’ importante che le immagini del luogo e del percorso di avvicinamento siano prodotte dall’osservatore. Soprattutto se ci muoviamo in un centro storico, è probabile che molti luoghi siano quasi logorati da infinite rappresentazioni già codificate, da cui si fatica a prescindere, e che alla fine rendono più difficile un’esperienza originale. L’esperienza diretta, con gli aspetti visuali e sensoriali che comporta, è invece indispensabile.

QUESTIONARIO DI RICONOSCIMENTO DELLE “FIGURE” URBANE SIGNIFICATIVE

SCEGLI UN  LUOGO 

• Tra la stesura della mappa mentale e il questionario sulle “figure” urbane può trovare posto quello che potremmo chiamare il “reticolo della varietà”. A differenza degli altri due strumenti, non ha una tradizione consolidata alle spalle. È un dispositivo senza troppe pretese ma che, usato in gruppo e sul campo, e insieme alla caccia fotografica delle combinazioni impreviste, può restituire ai nostri ragazzi la percezione di quanto siano densi di tracce di storia e di vita alcuni quartieri, e magari rendere possibile un confronto tra zone diverse della città.

Il reticolo è fondato su una tipologia di oggetti che contamina categorie geografiche e sociali, e certo non pretende di sostituirsi all’occhio rigoroso del cartografo, dell’urbanista o del sociologo. Come primo approccio alla varietà urbana, tuttavia, in genere funziona: Il nostro reticolo riguarderà la zona, o la parte di un quartiere, che avremo scelto come significativa. Serve una mappa della città su cui poter disegnare quadrati di un km di lato, o anche meno, a seconda delle opportunità. Possiamo scegliere di seguire uno o più dei lati del quadrato (sarà meglio collocarne almeno uno in corrispondenza di una strada, o comunque di una direzione percorribile), o anche la diagonale virtuale (e questo ci darà magari l’occasione di qualche esercizio di orientamento). In ogni caso, lungo il percorso sarà possibile osservare quello che la città ci offre. La varietà non è disordine: si alimenta di molti elementi differenziati, ma anche di un tessuto connettivo più o meno riconoscibile, che desta e suggerisce sensazioni e impressioni. A scoprire questa immagine complessiva servono le prime domande del reticolo (Parte A). Qui sarà utile rispondere individualmente, e magari, per chi lo desidera, esprimere attraverso un disegno percezioni e impressioni. Il resto delle domande (Parte B), finalizzato a rilevare la presenza di tipologie di elementi, è invece più utile se affidato all’osservazione di un piccolo gruppo, anche se ciascuno dovrebbe prendere individualmente qualche appunto per rispondere alla richiesta sugli elementi notevoli (Ne hai/ avete notato qualcuno in particolare? Sai/sapete dire perché ti/vi ha colpito? E’ bello o brutto?)

Nel foglio di rilevazione, a ogni elemento (p.es. “viale alberato”, “scuola superiore”, ”officina di carrozziere”, “negozio di alimentari”) corrisponde una funzione prevalente. Ma ci sono luoghi o edifici che hanno più funzioni (e qui li abbiamo indicati con l’asterisco*). Un parco, o a volte una spiaggia, è anche un luogo di ritrovo. Questo vale anche per lo stadio, il campo sportivo o la piscina (sempre che non sia stata sequestrata da impermeabili società sportive). Luoghi di ritrovo sono ormai anche, e sempre più spesso, i centri commerciali grandi e piccoli, e sempre più spesso emerge la contraddizione tra la proprietà privata, che ne controlla gli accessi, e l’esigenza di libera frequentazione che caratterizza invece gli spazi urbani. Tanto più acuto è il conflitto quando, come a volte accade, il centro commerciale abbia occupato un’area, magari incerta o dismessa, che prima veniva utilizzata dagli abitanti in modo libero e informale. Intorno alle funzioni multiple, e a come identificarle e indicarle, sarà importante discutere.

La presenza di più funzioni nello stesso luogo o edificio ha anche altri aspetti fondamentali nell’identità dei cittadini. Palazzi pubblici o privati, portici e piazze, chiese e basiliche che utilizziamo sono spesso anche monumenti e testimonianze del passato. Con quel passato l’uso di oggi ci mette in relazione, anche se non ne siamo pienamente consapevoli.

 

ESEMPIO DI POSSIBILE “RETICOLO DELLA VARIETÀ URBANA”

ESEMPIO DI  POSSIBILE “RETICOLO DELLA VARIETÀ URBANA”

Limiti geografici del riquadro ( coordinate, se possibile, o altrimenti indicazione dei punti urbani di riferimento)

C) Chi fa che cosa quando

La scuola, soprattutto la secondaria, è piuttosto avara di spazi e tempi da dedicare allo sviluppo di prospettive transdisciplinari o anche solo interdisciplinari. In realtà, come ricorda lo psicologo della conoscenza Howard Gardner, “…… Le discipline non si identificano prioritariamente né con i loro contenuti né con i fatti e i concetti di cui sono intessuti i glossari e gli indici dei testi, … le discipline sono dei modi di pensare, … che consentono a chi le pratica di conferire al mondo un senso particolare e in larga misura non intuitivo. Una volta acquisite ed interiorizzate, le discipline diventano i modi in cui gli esperti costruiscono … gli schemi interpretativi….”

L’identificazione delle discipline con l’elenco dei loro contenuti, che tendono a saturare tutta la proposta formativa e non lasciano spazio per le connessioni, non è un problema solo italiano, tanto è vero che viene sottolineato anche dalle Linee Guida didattiche della Convenzione Europea del Paesaggio Si tratta infatti di un aspetto ben radicato e riconducibile all’intera storia delle culture organizzative che hanno modellato i nostri sistemi educativi, segnate quasi esclusivamente da quel codice che già negli anni “70 Basil Bernstein definiva “a collezione”: “collezione” di percorsi disciplinari separati, e obbedienti solo a logiche di coerenza interna a ciascun percorso.

L’esigenza di un rapporto più equilibrato tra questo codice prevalente e quello che lo stesso Bernstein definiva invece “codice integrato”, in cui cioè il progetto educativo complessivo indirizza e sceglie i contributi disciplinari necessari e le modalità del loro intervento, è un tema ricorrente nella storia dei movimenti e delle esperienze di innovazione educativa. Il fatto che tale rapporto non venga riconosciuto esplicitamente rende difficile la pratica delle cosiddette “educazioni”, cioè dei progetti che si confrontano con i temi cardine del vivere civile (ed. alla salute fisica e affettiva, alla cittadinanza, al patrimonio culturale, ecc.). In una scuola così segnata dallo scarso dialogo tra le materie le “educazioni” possono apparire come attività episodiche e sostanzialmente estranee al curricolo regolare. L’educazione alla lettura della città non fa ovviamente eccezione. Ci sono perciò alcune precauzioni da prendere.

• È importante che il nostro lavoro sia ben visibile e legittimato nel progetto dell’Istituto, sia affidato a docenti impegnati anche nel curricolo disciplinare, sia proposto a tutti gli studenti di una classe, e possa inserirsi anche all’interno delle scadenze scolastiche e degli impegni dovuti, in modo da non rischiare di apparire come un corpo estraneo.

• Nella scuola delle materie, bisogna scegliere da quali materie partire. Da quali, e non da quale, perché fin dall’inizio è importante che il lavoro venga percepito da tutti come un progetto comune e collegiale. Come dovrebbe sempre essere quando si trattano realtà complesse.

• Non occorre mobilitare tutte le materie del consiglio di classe, anche se lo sviluppo del progetto ne farà magari entrare alcune in fasi diverse, e sarà sempre possibile sviluppare relazioni tra diverse discipline che commentano, spiegano e integrano quel che serve. Bastano due (o tre) materie come gruppo trainante. L’importante è che gli insegnanti lavorino bene insieme. È ancora meglio se le materie afferiscono a campi diversi del sapere.. Un’altra condizione facilitante è che non si tratti di materie tutte con orario filiforme, ma che almeno una abbia un orario di qualche consistenza

• Come sceglieremo le materie? La città è una realtà complessa, e si potrebbe dire che c’è posto per tutti . Quindi chi ha voglia di fare questo lavoro ha diritto di farlo. Si tratterà comunque di agganciare (non di aggiungere !) il lavoro sulla città al resto, come espansione di contenuti già individuabili nelle indicazioni ministeriali. Il modo, se si vuole, si trova quasi sempre. Se si espande qualcosa, si contrarrà qualcosa d’altro, ma sempre all’interno di un percorso programmato, esplicitato e condiviso a inizio d’anno con i colleghi, gli studenti, e le famiglie. Non tutte le materie saranno infatti direttamente coinvolte, ma è indispensabile che tutti sappiano del progetto e non si inneschino ostilità o disconferme reciproche .

• Quanto tempo destineremo? Sulla base di esperienza, diciamo non meno di un decimo e non più di un terzo del monte ore che abbiamo a disposizione. Qui saranno ovviamente avvantaggiati gli insegnanti con un orario più consistente ( che hanno però in genere anche una mole più consistente di contenuti e scadenze tra cui destreggiarsi). Ma anche questo bisogna valutarlo prima, per non trovarsi alla fine in difficoltà, e scegliere taglio e dimensioni del progetto sulla base delle reali possibilità. Teniamo conto che è possibile prevedere progetti scalabili e componibili, da riprendere e continuare nel corso del curricolo Una volta fatta una previsione di massima del tempo necessario, un modo di portare avanti il lavoro che in genere funziona è quello di iniziare le attività nelle ore curricolari, sotto il controllo diretto degli insegnanti, e lasciarne una parte come compito a casa . Per esempio, il materiale si raccoglie individualmente e poi si seleziona insieme. Le «riscritture» si fanno a casa. I percorsi di caccia fotografica mirata potranno essere affidati alle uscite autonome di gruppetti, anche se ovviamente sarebbe meglio poterne seguire insieme almeno i più importanti. Una volta scelto insieme il materiale non si aggiunge altro… Solo se assolutamente indispensabile si possono prevedere incontri pomeridiani a scuola. Ovviamente se capita di fare supplenze nella classe si useranno per andare avanti con il lavoro.

• Cerchiamo di prevedere prima di quali contributi esterni avremo bisogno, e quando potremo farli intervenire. Di quali uscite esterne avremo bisogno e come potremo organizzarle.

• La maggior parte del lavoro verrà fatto con gli studenti in piccoli gruppi che lavorano in parallelo, e che poi metteranno in comune i risultati. Sarà quindi indispensabile dare un tempo per finire e controllare che sia rispettato (magari con l’aiuto di un diagramma di Gantt che è, in pratica, un calendario degli impegni reciproci). Teniamo presente che per costruire una presentazione di 40 minuti servono circa otto ore di lavoro.

• Le attività connesse a questo lavoro possono essere oggetto di valutazione scolastica, e anzi, molti indizi ci suggeriscono che sia utile inserirli nel pacchetto delle verifiche. Non in aggiunta, ma in sostituzione di verifiche più tradizionali che operano su competenze analoghe. Ci sono diversi modi per tener conto dell’attività di gruppi e di singoli, non necessariamente intimidenti, non necessariamente competitivi. Anche in questo, è fondamentale la trasparenza delle scelte e dei criteri.

D) Al termine del lavoro

Al termine del lavoro avremo costruito insieme un’immagine condivisa del nostro quartiere o della nostra città. Saremo un po’ più consapevoli delle sue bellezze e dei suoi punti critici, di quello che c’è, e che va protetto e tenuto vivo, e di quello che invece andrebbe cambiato o combattuto. E avremo anche un bel po’ di prodotti individuali e collettivi: immagini, mappe, disegni, risultati di interviste e ricerche storiche, a volte video. E’ fondamentale utilizzare questi prodotti: farli conoscere al pubblico, valorizzarli anche in termini di risultati scolastici, dare importanza a quello che si è fatto. E ricordarsi che ogni lavoro terminato può diventare la possibile partenza per un altro lavoro da sviluppare. Molto sul serio vanno prese le domande che emergeranno quasi inevitabilmente man mano che il lavoro di ricerca sulla città va avanti. Anche se il nostro scopo è la conoscenza e non la rivendicazione, sarà difficile evitare i giudizi su alcune scelte politiche spesso sconsiderate che hanno modellato il paesaggio urbano.

Per evitare rimbalzi di pessimismo, pericolosi sempre, e tanto più a scuola, la prima cautela sta nel metodo. Se il metodo di lavoro aumenterà le percezioni di empowerment, l’autonomia e la consapevolezza dei nostri studenti, sapremo reggere anche la frustrazione di confrontarci con scelte urbanistiche che abbiamo imparato a riconoscere come sbagliate. E questo avverrà se nel corso del lavoro i ragazzi avranno avuto modo non solo di fare ricerche da web, da manuale o anche d’archivio, ma saranno entrati almeno un po’ in relazione con i soggetti, con gli specialisti e con gli abitanti, tutti in diverso modo portatori di competenze e punti di vista pertinenti.

E soprattutto avverrà se i nostri studenti avranno avuto modo di esporre e confrontare il loro lavoro almeno in una occasione pubblica, di fronte a interlocutori esterni che possano validarlo. Anche in questo caso, come in tutti i processi di interazione, vale infatti la pena di distinguere “(…) tra le utilità di risultato e le utilità di processo. Le prime sono gli obiettivi colpiti, i risultati raggiunti, i prodotti ottenuti. Le utilità di processo sono invece i benefici conseguiti nel corso dell’azione, la soddisfazione provata nell’interagire, il piacere derivante dal lavoro collettivo per la produzione di beni comuni